La stretta di mano invisibile e lo staff che fa da badante. Biden sempre più inadeguato

«I am a gaffe machine». Se l’era detto da solo qualche anno fa, come se l’autoironia ti salvasse la vita. La predisposizione di Joe Biden allo sproposito sarebbe soltanto imbarazzante per lui e per chi l’ha votato se fossimo in un soporifero scenario di liberalsocialismo globale senza Will Smith nella sala, ma così tutto diventa pericoloso. Che il presidente degli Stati Uniti sia «unfit to lead» (per parafrasare Wolfgang Munchau con Silvio Berlusconi ai tempi d’oro) è constatazione vecchia e amara, ma il suo deambulare in mezzo a una guerra come mister Magoo sulle rotative o in mezzo all’autostrada mette i brividi.
L’ultima perla ieri a Greensboro, in North Carolina: al termine di un intervento all’università sull’economia green (fissazione della casa) si è voltato a stringere la mano di un fantasma. Nel senso che accanto a lui non c’era nessuno. Spaesato e con l’avambraccio in posizione ha cercato qualcuno che lo salvasse, senza trovarlo, prima di allontanarsi verso gli studenti. «Sembrava quello che ha perso gli amici e la corriera», avrebbe pennellato Alberto Arbasino. Nell’impero del Bene siamo messi così, con il Capo che va via di testa. Ha l’elmetto, la mimetica, il missile più lungo ma dev’essere marcato stretto per impedire che crei disastri. Tanto per cominciare gli va spiegato chi è l’amico da difendere nel saloon: per tre volte ha scambiato l’Ucraina per la Siria e una per l’Iran. Ma in geografia con gli americani bisogna essere indulgenti; per loro oltre Cap Cod è tutta periferia. E poi non possiamo dare lezioni a nessuno: Mario Draghi ha scambiato l’Algeria per l’Argentina e Luigi Di Maio ha detto che «la Russia si affaccia sul Mediterraneo» (è solo ministro degli Esteri).
Tenere d’occhio Biden è un imperativo dell’amministrazione Usa e il suo staff svolge il compito con la serietà di una decina di badanti ucraine. «Sono pronto ad andare a Kiev», ha tuonato mercoledì The President, forse invidioso di Boris Johnson con la fiaschetta a forma di gallina. La Cia era già alla disperazione più nera quando la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, lo ha corretto: «No, non manderemo il presidente in uno Stato in guerra». Il tono non era quello della dipendente, ma della parente che non regge più lo zio farfallone, alticcio e con le nappe sulle scarpe il pomeriggio di Natale. Ormai ogni giorno c’è una smentita. Quando Biden si alza e spara: «Per l’amor di Dio, Vladimir Putin non può rimanere al potere» è il segretario di Stato, Anthony Blinken, a dover rettificare contro la forza di gravità: «La Casa Bianca non ha mai sollecitato un cambiamento di regime a Mosca».
L’escalation verbale dell’uomo con il berretto a sonagli è un crescendo rossiniano. Mentre l’Europa dei violini e delle candele (senza il gas russo lo scenario è questo) misura le parole per ridurre alla ragione lo Zar, l’ex senatore del Delaware eletto per posta apre la finestra e grida in rapida successione a Putin: «Criminale di guerra», «Autore di un genocidio», «Macellaio». Con il risultato di mandare ai pesci le trattative di Istanbul. Manca solo la minaccia di un conflitto batteriologico. Infatti arriva. «Se Putin usa armi chimiche le useremo anche noi», spara Biden in un giorno dispari. In questo caso è il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan a metterci una pezza: «Il presidente non voleva assolutamente dire questo. Intendeva dire che gli Usa e i suoi alleati decideranno come rispondere in base al tipo di attacco che verrà sferrato dalla Russia». Riusciamo a vederli i suoi consiglieri, tirati, insonni, mastelli di caffè e risatine da isteria galoppante.
Pensavano di limitarsi a gestire il solito cabaret del tempo di pace. Erano convinti che il punto più basso fosse quello «Stupido figlio di…» vibrato a microfono aperto al giornalista della Fox che aveva avuto il torto di fargli una domanda sull’inflazione. O la sonora puzzetta dickensiana dedicata a Camilla Parker Bowles. Per il resto, normale amministrazione: si era solo addormentato a Glasgow durante il summit sul riscaldamento globale, non si era tolto gli occhiali da sole durante l’inno nazionale (effetto Top Gun) e aveva detto della Regina Elisabetta: «Mi ricorda mia madre», pensando di essere tenero. Circo Medrano, una passeggiata di salute. Poi l’armata rossa ha invaso l’Ucraina e il mondo si è accorto che lui non è solo un capocomico ma il Capo dei Buoni.
Il principe delle gaffes va alla guerra, il timore diffuso è che non finirà bene. Lo conferma l’ultimo sondaggio della Nbc che ha visto precipitare la credibilità di Sleepy Joe (come lo chiamava Donald Trump) ai minimi termini: solo 3 americani su 10 lo ritengono ancora affidabile, gli altri 7 lo vorrebbero vedere a Fort Lauderdale con la camicia hawaiana e i bermuda mentre cerca di far partire l’Evinrude di una lancia da pesca. Le tartine con il burro di arachidi le porta Kamala Harris. Anche i progressisti italiani che si nutrono di conformismo diffuso a stelle e strisce (l’ovvio dei popoli) cominciano a nutrire qualche dubbio. Ma da devoti sudditi soffrono in silenzio e non lo ammetteranno mai.





