Tanto è misterioso e potente il sottosegretario alla Presidenza, Luca Lotti, da essere una figura letteraria. Nessuno lo conosce bene, fuori della cerchia renziana. Si sa solo che qualsivoglia pratica, prima di approdare sul tavolo del premier, passa al suo vaglio. Lotti è il deuteragonista dei romanzi gotici, il secondo personaggio principale. Stando come un'ombra alle spalle di Renzi, lo orienta nella lettura dei giornali.
Di giornali si intende a fondo poiché da due anni ha la delega per l'Editoria. «Bada, l'articolista è subdolo e ti sta buggerando», «Attento, questo giornale ti fa il pacco e così non va», dice a Renzi che, travolto da mille cose, potrebbe non badarci. «Vuoi che ci pensi io?», aggiunge e l'altro, che si fida ciecamente, gli dà carta bianca. Allora, Lotti fa arrivare il messaggio. Come, non si sa. È un altro dei suoi tratti misteriosi. Ma i mezzi ce li ha. È lui, come responsabile dell'Informazione, che maneggia le leve del contributo pubblico alla stampa. Palate di milioni che dipendono da un cenno.
Però, giornali a parte, gli attacchi al governo e alle ambizioni di Matteo possono venire anche dai poteri forti. Qui, è più difficile individuare chi rema contro. Tutto è subdolo nel mondo dei ricchi. Così, Lotti - sempre come figura letteraria - si appollaia in forma di pipistrello sulle spalle di Renzi e di lì spicca il balzo, dicendo: «Ti farò sapere al mio ritorno chi ti vuole bene e chi ti vuole male». Con lunghi voli spiraliformi, puntando le sensibilissime antenne di chirottero, il sottosegretario scandaglia i cieli e si fa un quadro di amici e nemici. Senza lasciarsi sfuggire se, putacaso, quell'industrialotto arrogante che simpatizza per il Berlusca e ce l'ha con Renzi, è in cattive acque. Oppure, se c'è un intero settore in crisi che, sì, potrebbe essere aiutato, - e lui, Lotti, lo sa bene, essendo anche segretario del Cipe, il comitato ministeriale che decide i finanziamenti all'industria- ma purché sia in linea con la politica ufficiale o, almeno, non ostile.
Insomma, stando alla leggenda, dovunque il governo abbia qualche influenza c'è Lotti in prima linea.
Che so, due anni fa, appena sistemato a Palazzo Chigi, nelle stanze accanto al premier, fu il neosottosegretario a decidere l'avvicendamento - sottoscritto alla virgola da Renzi - di super manager fidati negli enti pubblici: Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, ecc. Non solo, ma è stato altresì il nostro Luca che, prima delle Politiche 2013, ha scelto i candidati pd da eleggere in quota Renzi. Lo ha fatto in base a una rara sensitività, dono di madre natura, che seleziona all'istante gli utili dagli inutili, i fedeli a tutto tondo dagli incerti inaffidabili. Ha così promosso cavalli di razza come Andrea Romano o Emanuele Fiano, che vanno in tv a comando e ripetono a pappagallo la tesi del giorno.
In perfetto contrasto con la sua onnipotenza, Lotti è invisibile. Ha rilasciato, da quando è in carica, sì e no tre interviste. Tutte rigorosamente insignificanti. E non perché non abbia cose da dire ma perché vuole tenerle per sé, come scrigno prezioso che custodisce i segreti di Renzi. I giornalisti, disabituati ai tipi schivi, col Nostro vanno nel pallone e sono in crisi di astinenza. Al punto che, quando casualmente gli sfugge un'interiezione, sbaraccano il giornale e rifanno la prima pagina. A luglio, quando i due treni si scontrarono in Puglia sul binario unico, a Lotti sfuggì nell'emozione: «È colpa delle scelte non fatte in passato». La stampa al completo, doppiata da ottanta canali tv, ritrasmise il giudizio, moltiplicato dai commenti. Dopo giorni di dibattito, si giunse a una conclusione condivisa: Lotti escludeva nell'incidente responsabilità di Renzi ma non di Enrico Letta perché gli scontri ferroviari hanno lunghe incubazioni che dipendono da sbagli pregressi. Così, di due parole zampillate dall'aureo sottosegretario, si fece un romanzo come tutto ciò che lo riguarda.
Lotti ha 34 anni, sette meno di Renzi, ed è toscano come lui, di Montelupo Fiorentino, in quel di Empoli. Come l'altro, si è formato in parrocchia. Ma anziché militare negli Scout, si è iscritto all'Azione cattolica. I due si conoscono da undici anni e vivono in simbiosi da allora. Ovunque Matteo sia andato, Luca lo ha seguito.
Le circostanze del primo incontro sono state raccontate dal Foglio con uno scoop memorabile. Montelupo Fiorentino, il borgo natale di Lotti, produce ceramiche di vetro dal Rinascimento. Fu alla fiera annuale del prezioso manufatto che, nel 2005, avvenne il fatale abboccamento. Renzi, presidente della Provincia di Firenze, era l'invitato d'onore e il ventitreenne Lotti, consigliere comunale del Pd, fu il suo cicerone. Scoccò la scintilla, i due passarono ore tra frizzi e lazzi, e il dì d'appresso, Luca ricevette da Matteo questa telefonata: «Oh Luca, sto rimettendo a posto il mio staff. Perché non vieni a lavorare con me in Provincia?». Detto fatto e Lotti cambiò vita. Prima però di prenderlo con sé, Renzi lo mandò a Bruxelles a farsi le ossa. La formazione di Luca - licenza scientifica al Pontormo di Empoli, laurea triennale in Scienze dell'Amministrazione - era infatti piuttosto tenue. Lo piazzò nella segreteria dell'allora europarlamentare, Lapo Pistelli, oggi vicepresidente dell'Eni. Pistelli era il mentore di Renzi prima che costui gli soffiasse la poltrona di sindaco di Firenze, inimicandoselo per lunghi anni (ora sono in buona). Dopo un anno all'Ue, Matteo si riprese il suo Luca e ne fece l'alter ego. Lo portò alla Provincia, poi, da sindaco, al Comune di Firenze - dove sposò un'impiegata della sua segreteria, Cristina Mordini, da cui ha avuto un bimbo - infine a Roma, sistemandolo alla Camera per lo stipendio e a Palazzo Chigi per il potere.
Alla Camera, Lotti è dato per disperso, il seggio malinconicamente vuoto. Le assenze raggiungono il 90 per cento dei casi. Il che, non significa non lavori. Anzi, a Palazzo Chigi è onnipresente e infaticabile al punto che lo chiamano «la ruspa». Un soprannome che si aggiunge a quello di Lampadina, già suo ai tempi dalla scuola, per quella zazzera biondo-spettinata, tipo scienziato pazzo colpito da una scarica elettrica. L'apparenza sbarazzina, favorita dalla giovane età e dall'approssimazione nel vestire - colletto slacciato e cravatta allentata anche nella foto ufficiale di deputato - lo fanno sembrare un frugolotto da liquidare con un buffetto. Invece, è una iena.
La sua vittima principale - assai consenziente, in verità -, è Denis Verdini, l'ex braccio destro del Cav. Da due anni lo tiene agganciato al carro di Renzi. Prima, concependo con lui il Patto del Nazareno e l'alleanza di fatto con Fi. Poi, dopo avergli rifilato la buggeratura dell'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale che gli fece fare una grigia mostruosa col Berlusca, dandogli una mano a mollare Fi e fare gruppo a sé, come pneumatico di scorta del governo. Insomma, è grazie alle arti di Lotti, che Renzi si ritrova 26 voti in più, tra Camera e Senato, di parlamentari usciti a destra dalle urne e finiti a sinistra con le méne.
Resta da dire di quale natura sia il quid che unisce Matteo a Luca. Certo, hanno in comune il progetto, la parrocchia, l'anticomunismo. Ma c'è un contrasto psicologico che, anziché disunirli, miracolosamente li salda. Renzi è un gonfiapetto che vuole per sé la scena. Lotti un timido che aborre i riflettori. Ciò che il Fiorentino apprezza al massimo dell'Empolese è la capacità di dissolversi quando è lui a scendere nell'agone. Lotti può essere il protagonista assoluto di una riunione ma, se appare l'altro, si ritrae confondendosi con le pareti. Il fatto che Renzi non lo percepisca come una minaccia al proprio ego, è alla base della longevità del loro rapporto. Da due debolezze hanno fatto una forza. E chi ce ne libera più?