2020-01-31
Stop alle medicine, carestia e crollo del Pil: le bufale su Brexit (smentite dai fatti)
Fallite le previsioni sulla vittoria del «remain», i media hanno descritto la scissione tra Uk ed Europa con toni apocalittici. Lanciando allarmi persino sui diritti umani.La Gran Bretagna contribuisce per il 9,5% al bilancio dell'Unione (168 miliardi). Dal 2021, tutti questi fondi andranno versati, in proporzione, dagli altri Stati. E il Parlamento vorrebbe addirittura aumentare il budget.Lo speciale contiene due articoliCon l'ok anche del Consiglio Ue, Brexit è ormai realtà. E ci vorrebbe un Requiem per i cosiddetti «competenti» ed «esperti». Avevano detto, all'epoca del referendum (giugno 2016) che il remain avrebbe agevolmente vinto: e invece trionfò il leave. Più di recente, avevano pronosticato che Boris Johnson non sarebbe mai diventato leader conservatore: è invece il più acceso sostenitore dell'uscita del Regno Unito dall'Ue ha vinto alcuni mesi fa il leadership contest per aggiudicarsi la guida del partito e conseguentemente è divenuto primo ministro. Poi avevano detto che Johnson, con i suoi modi fiammeggianti, non avrebbe mai strappato ai negoziatori di Bruxelles un'intesa più forte di quella - striminzita e infatti rigettata dal Parlamento britannico - ottenuta dalla debole Theresa May: e invece Johnson, minacciando la carta del no deal, cioè un'uscita senza alcun accordo, ha smontato le trincee di Bruxelles. Poi avevano detto che il primo ministro britannico non avrebbe mai ottenuto la convocazione di nuove elezioni: e invece Johnson ci è riuscito e le ha pure stravinte, conducendo in porto l'uscita dello United Kingdom dalla gabbia di Bruxelles. Un trionfo per lui, un caso da manuale di rispetto della volontà popolare, e insieme una débâcle per la vecchia politica e i mainstream media. Del resto, già il 23 giugno 2016 in Italia si era capito molto. La notte televisiva del referendum su Brexit andrà conservata e ristudiata, con tesi di laurea da assegnare agli studenti del futuro per capire come non si fa informazione. Fino alla mezzanotte (con il remain in vantaggio), giaculatorie di elogio alla grande democrazia britannica; dopo la mezzanotte, essendo passato in vantaggio il leave, insulti alla Perfida Albione, contumelie contro gli elettori anziani, dubbi sul suffragio universale. Ed era solo l'antipasto di ciò a cui avremmo assistito nei mesi successivi in tv e sui giornali (con poche e pregevoli eccezioni): e cioè essenzialmente servizi ansiogeni sulla sorte degli italiani in Inghilterra, in genere piuttosto esterrefatti nel sentirsi rivolgere domande dagli intervistatori come se il governo di Londra stesse per programmare espulsioni o purghe di massa. Più profezie di sciagura che è il caso di ripercorrere. L'ufficio in Uk di Amnesty International, ancora nel settembre scorso, si è aggiudicato la medaglia d'oro delle ipotesi di sventura, ovviamente smentite dai fatti: «L'addio britannico pone serie preoccupazioni per i diritti umani». Fino a paventare un'emergenza sanitaria: «Non ci devono essere interruzioni nelle forniture di medicinali, che sono cruciali per garantire che tutti godano del loro diritto alla salute». Non scherzarono nemmeno diversi settori delle burocrazie britanniche. Un rapporto governativo riservato, poi sbattuto in prima pagina dal Sunday Times, in caso di no deal preconizzava scenari nefasti: problemi con cibo e carburante, file inenarrabili di camion francesi, rischio di disordini. Ma le previsioni all'insegna del terrore erano cominciate già a cavallo del referendum. Si potrebbe maramaldeggiare sull'81% tra sondaggisti e bookmaker inglesi che scommettevano contro il risultato elettorale pro Brexit, e soprattutto sul 71% di economisti britannici che promettevano, in quel caso, sciagure e recessioni. Ha avuto onestà intellettuale, molti mesi dopo, il capo economista della Banca d'Inghilterra, Andrew Haldane, riconoscendo un eccesso di pessimismo e di catastrofismo nelle previsioni sue e di buona parte degli «esperti». Un report della Bank of England si spinse a preconizzare un calo del Pil dell'8%, il crollo della sterlina, un deprezzamento degli immobili: tutte ipotesi poi smentite dai fatti. «Abbiamo avuto il nostro momento Michael Fish», ha spiritosamente ammesso Haldane, alludendo al leggendario infortunio del meteorologo della Bbc nel 1987, che aveva categoricamente escluso un uragano che invece si verificò puntualmente. Trent'anni dopo, Fish, sentendosi chiamato in causa, è stato anche più spiritoso di Haldane, replicando di aver fatto a suo tempo meno danni di economisti e banchieri. Naturalmente, solo il tempo darà un giudizio definitivo su questa scelta. Ma, a chiunque esamini la volontà dei britannici senza pregiudizi, la loro decisione appare perfettamente razionale. Hanno la sterlina; sono un membro permanente del Consiglio di sicurezza Onu; sono una potenza militare anche nucleare; la loro economia va a gonfie vele (nel recente quinquennio, hanno quasi prodotto più posti di lavoro degli altri paesi Ue messi insieme). Ora, uscendo, saranno liberi di negoziare accordi commerciali a 360 gradi: con gli Usa, con i Paesi legati al Commonwealth, con la stessa Ue, con i giganti asiatici. E senza dover chiedere il permesso ai burocrati di Bruxelles.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/stop-alle-medicine-carestia-e-crollo-del-pil-le-bufale-su-brexit-smentite-dai-fatti-2644985507.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="laddio-di-londra-potrebbe-costarci-almeno-1-miliardo-e-mezzo-di-euro" data-post-id="2644985507" data-published-at="1760902325" data-use-pagination="False"> L’addio di Londra potrebbe costarci almeno 1 miliardo e mezzo di euro L'addio del Regno Unito all'Unione europea darà non pochi problemi agli Stati membri in termini di bilancio Ue. Se infatti per il 2020 la Gran Bretagna continuerà a versare i suoi 16 miliardi di euro nelle casse dell'Unione, dal 2021 la situazione cambierà. Non solo si dovrà trovare un nuovo accordo politico per il budget 2021-2027, ma si dovrà anche capire come andrà gestito il buco di bilancio lasciato dalla Gran Bretagna. Al momento, per il 2020, il budget stanziato è stato di 168,7 miliardi di euro. L'Italia versa circa 15-17 miliardi, il che corrisponde al 9-10% del budget Ue. La Gran Bretagna, in linea con il nostro Paese, versa 16 miliardi (9,5%). Da ricordare che la somma totale del budget Ue è spalmato in percentuali diverse tra i vari stati membri. L'Italia risulta essere uno dei maggiori contributori, posizionandosi al quarto posto. Davanti a lei solo Germania, Francia e Gran Bretagna. Ma visto che uno dei più importanti stati contributori, la Gran Bretagna, lascerà l'Unione europea, come saranno coperti i 16 miliardi di euro che versava l'anno? La risposta la si trova nei 27 Stati membri rimanenti. Ma attenzione, perché la questione non è delle più semplici. Chi subirà le maggiori conseguenze saranno probabilmente la Germania, la Francia e l'Italia, ovvero i Paesi che contribuiscono maggiormente al bilancio dell'Ue. Secondo lo studio The impact of Brexit in the Eu budget, pubblicato dal Ceps policy brief, centro di ricerca specializzato sugli affari europei, che ha fatto la sua simulazione sul budget Ue del 2014 (più basso rispetto a quello del 2020), per coprire il gap inglese la Germania vedrà un aumento di 2,56 miliardi di euro (+9%), la Francia di 1,47 miliardi di euro (7%) e l'Italia di 791 milioni di euro (+5,22%). Se si considera il budget 2020 l'Italia vede questa somma alzarsi a 1,44 miliardi euro. C'è però da dire che queste somme sono variabili e non definitive, per due motivi. In primis bisogna capire dal punto di vista del mercato unico a livello commerciale cosa si deciderà. E i prossimi mesi saranno fondamentali. La Gran Bretagna potrebbe infatti decidere di entrare a far parte di alcuni progetti Ue, dunque di mettere del budget. In questo caso il suo buco economico diminuirebbe. Altro aspetto da non sottovalutare è un'ulteriore proroga che gli inglesi potrebbero chiedere (31 dicembre 2020). E infine altra incognita è che non si conosce ancora quanto ambizioso o meno vorrà essere il budget per il 2021-2027, che verrà deciso entro fine anno. Al momento la Commissione e il Parlamento sono due strade diametralmente opposte, ma dovranno trovare un accordo politico per dar vita alle nuove risorse da stanziare in Ue. E dunque da una parte c'è il Parlamento europeo, che spinge per ottenere un progetto di bilancio ambizioso. L'obiettivo è quindi ottenere un budget pari all'1,3% del reddito nazionale lordo dei Paesi membri (al momento siamo all'1,16%). Il budget stimato sarebbe dunque di 1.324 miliardi di euro. Dall'altra parte la Commissione gioca a ribasso e spinge per un 1,11% del reddito nazionale lordo, con previsioni di bilancio attorno ai 1.279 miliardi di euro. I singoli Stati membri spingono ovviamente per abbassare ulteriormente la cifra per dare meno contributi possibili all'Ue. Il 20 febbraio si terrà una riunione per cercare di raggiungere un accordo o un primo compromesso tra le due posizioni dominanti, ma la strada è ancora lunga. Queste percentuali, che giocano sui decimali, sono di fondamentale importanza per gli Stati membri. Se infatti dovesse prevalere la proposta del Parlamento europeo, e dunque si desse vita a un budget più ambizioso, gli Stati membri non solo dovranno aumentare i loro contributi nazionali (adeguati all'inflazione e della crescita economia nazionale) ma dovranno pensare anche a colmare il buco di bilancio di 16 miliardi lasciati dalla Gran Bretagna. E dunque l'Italia potrebbe arrivare a dare all'Ue più di 17 miliardi di euro, compresi il lascito inglese. Da non dimenticare che in questa ipotesi l'Italia potrebbe ricevere anche una maggiore quota di finanziamenti da parte dell'Unione europea (nel 2017 ne ha ricevuto 9,8 miliardi), dato che ci saranno maggiori stanziamenti a programmi Ue. Questo potrebbe andare dunque a colmare, in minima parte, il maggior contributo che l'Italia dovrà dare per l'uscita inglese. Nel caso invece in cui la Commissione riesca ad avere la meglio si avrebbe un budget meno ambizioso (che significa, per esempio, tagli a progetti) e minore risorse da parte degli stati membri. A questo si potrebbe aggiungere anche il fatto che il gap del Regno Unito potrebbe essere coperto in parte dalle risorse proprie dell'Ue (l'Iva, un prelievo in percentuale sul reddito nazionale lordo degli Stati membri eccetera) e dunque gravare in maniera inferiore sulle casse dei singoli stati membri. L'Italia darebbe dunque sempre come il suo contributo nazionale, ma non dovrebbe garantire anche gli 1,44 miliardi di euro per l'uscita del Regno Unito dall'Ue.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)