
Il questionario sarebbe dovuto finire nelle mani dei ragazzi di 54 istituti umbri. Ma il ministro Marco Bussetti blocca tutto: «Basta atteggiamenti ideologici». La ricerca, denunciata dalla Verità, indagava sull'orientamento di alunni dai 12 ai 17 anni.Il questionario sull'omofobia non s'ha da fare. A dirlo, anzi a ordinarlo in modo chiaro, è stato il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti, intervenuto personalmente per stoppare il controverso test sull'orientamento sessuale che, in Umbria, sarebbe dovuto finire agli studenti di ben 54 istituti scolastici e di cui mercoledì ha dato notizia La Verità. L'indagine, messa a punto dal dipartimento di Filosofia, scienze sociali, umane e della formazione dell'università di Perugia, pare avesse già ottenuto il placet dell'ufficio scolastico regionale ed era, pertanto, sul punto di essere iniziata. Questione di giorni. Ma ora Bussetti ha fermato tutto, come lui stesso ha avuto modo di spiegare al Corriere dell'Umbria: «Abbiamo parlato con l'ufficio scolastico regionale e i questionari sono fermi. Li abbiamo bloccati. Abbiamo chiesto di rivederne la formulazione e di cambiare le modalità di realizzazione del progetto».A suffragare l'altolà ministeriale - in aggiunta alle proteste del mondo cattolico, che hanno portato il senatore della Lega Simone Pillon a presentare un'interrogazione - c'è stata la fredda accoglienza ricevuta dal test pensato, a detta dei suoi ideatori, «per garantire la sicurezza e il benessere dei vostri figli», con oltre la metà delle scuole contattate rifiutatesi di partecipare alla ricerca. Un così scarso entusiasmo da parte degli istituti è verosimilmente spiegabile con le modalità con cui il questionario, che sarebbe dovuto essere compilato da alunni di terza media e da ragazzini di quarta superiore, era stato predisposto, vale a dire con domande non solo assai personali, ma a tratti palesemente ideologiche. Basti pensare al quesito sull'orientamento sessuale, con cui si voleva sapere da minori di 12-13 anni e ad adolescenti di 17 - dunque da giovani in una delicata fase di sviluppo - se si sentissero «esclusivamente eterosessuali», «prevalentemente eterosessuali», «bisessuali», «prevalentemente omosessuali», «esclusivamente omosessuali» o «asessuali»: un ventaglio di opzioni che denota l'evidente atteggiamento pro Lgbt di chi l'ha immaginato. Non è un caso il sito Gay.it abbia ricordato come questa iniziativa sia frutto di «un accordo siglato nel 2017, a seguito dell'approvazione della legge regionale 3/2017 contro l'omo-transfobia, tra università degli studi di Perugia, ufficio scolastico regionale, ufficio per il Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della Regione Umbria e Omphalos Lgbti».Anche per questo Bussetti, se da un lato ha ammesso di non aver potuto ancora esaminare di persona il test stoppato («no, non ho avuto modo di leggerlo»), dall'altro ha comunque ritenuto doveroso intervenire, certamente informato dai propri collaboratori, in primo luogo per fermare progetti scolastici poco equilibrati, per usare un eufemismo. «Vanno evitati atteggiamenti ideologici e iniziative calate dall'alto o non condivise», ha a questo proposito dichiarato, «perché non fanno bene ai ragazzi e creano strappi nel tessuto scolastico. Che ha bisogno invece di un clima di serenità e di condivisione».Parole che, fra le righe, evidenziano come il ministro dell'Istruzione, pur non arrivando a negare la problematicità del bullismo omofobico («c'è un allarme bullismo, e sicuramente una parte di questo è legato all'omofobia», ha detto al Corriere), ritenga prioritario che su temi delicati la scuola non eclissi mai il primato educativo delle famiglie. Del resto, è stato proprio il Miur presieduto da Bussetti, lo scorso 22 ottobre, ad inviare agli uffici scolastici regionali una circolare con la quale, per la prima volta, si è introdotta nero su bianco l'obbligatorietà del consenso informato dei genitori per qualsivoglia iniziativa extracurriculare, riconoscendo agli studenti i la facoltà di astenersi laddove degli ampliamenti dell'offerta formativa non apparissero convincenti. Lo stop al questionario umbro non fa dunque che confermare la linea adottata dal Miur. Ed arriva, come si diceva poc'anzi, dopo fortissime polemiche anche locali. «Rimango fortemente perplesso in merito all'iniziativa promossa dalla Regione che ha commissionato un test per verificare gli orientamenti sessuali degli studenti di terza media e quarto superiore», ha per esempio dichiarato Roberto Morroni, capogruppo di Forza Italia dell'assemblea legislativa umbra. «Non vedo l'opportunità di dar luogo a tali programmi», ha aggiunto sempre Morroni, «che per altro travalicano anche le competenze dell'istituzione scolastica».Con l'intervento di Bussetti, però, ora lo scenario muta radicalmente, ed è plausibile che il questionario sull'omofobia sia rifatto daccapo o finisca in soffitta. Nel frattempo, non si muove una foglia. Il che non basterà a scongiurare nuove iniziative ideologiche in una regione che il contrasto all'omofobia l'ha nel proprio ordinamento, ma certamente costituisce un monito per chi voleva approfittare della scuola per veicolare l'ideologia gender. Anche fuori dall'Umbria.
(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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