2018-08-09
Stipendi al caviale e conti da bluff: così è fallito il casinò di Campione
La folle gestione della sala da gioco comasca mette in ginocchio l'economia del paese: 500 famiglie senza lavoro, nove maestre licenziate. Eppure il buco, evidente dal 2011, non ha fermato i compensi d'oro.Centinaia di persone sono scese martedì per le strade di Campione d'Italia, l'enclave italiana in territorio svizzero famosa per essere la sede di uno dei quattro casinò attivi sul territorio del nostro Paese. Sarebbe più corretto dire tre, perché dal 27 luglio scorso la società che ha in gestione la casa da gioco campionese è fallita, causando la chiusura della struttura. Risultato: oltre 500 famiglie campionesi, su un paese che conta appena 2.000 anime, dovranno fare i conti con la disoccupazione. Senza considerare le inevitabili ripercussioni sull'indotto.Fino a qualche anno fa invidiato da tutto il circondario per l'elevata qualità della vita, oggi Campione d'Italia è un paese completamente in crisi. Gli introiti del casinò, del quale dal 2014 il Comune è socio unico, incidono in maniera determinante sul bilancio municipale. Per questo la chiusura dell'attività corrisponde, di fatto, a un blackout pressoché totale dei servizi pubblici. I dipendenti comunali sono senza stipendio da febbraio e rischiano di perdere il posto. Nove maestre sono già state licenziate, lasciando il paese senza scuola materna. Già, perché Campione non è un comune come gli altri: vista la particolarissima posizione deve farsi carico anche dei servizi essenziali. Ma com'è possibile che uno dei fiori all'occhiello del gioco in Europa sia arrivato a toccare un punto così basso? Una domanda alla quale non è possibile rispondere in maniera univoca, ma grazie ai documenti che la Verità ha potuto esaminare emerge con chiarezza un fatto: la crisi della casa da gioco campionese non nasce all'improvviso, ma affonda le sue radici nell'ultimo decennio. Il fallimento è solo l'ultimo capitolo di una vicenda lunga e contorta della quale proveremo a mettere in luce qualche passaggio. Dal 2007 al 2017 l'amministrazione comunale è in mano alla giunta guidata da Maria Paola Mangili in Piccaluga, appartenente a una lista civica di area centrosinistra. L'ex sindaco ha spesso tirato in ballo la questione del cambio tra euro e franco svizzero per giustificare la crisi del casinò. La casa da gioco, infatti, incassa l'80% in euro, ma paga i propri dipendenti in franchi. Un rafforzamento della moneta elvetica nei confronti della divisa continentale ha l'effetto perciò di incrementare i costi. È quello che è successo negli ultimi anni, basti pensare che il franco è passato da 1,65 contro l'euro nel 2007 a 1,30 nel 2010, fino a toccare quasi la parità nel 2015, anno nel quale la Banca nazionale svizzera ha abolito la soglia minima di cambio fissata a 1,20. Andando a spulciare le carte, però, ci si rende conto che la situazione era già molto grave ben prima che il problema della valuta esplodesse. Nella seduta del consiglio comunale del 21 dicembre 2011, infatti, il dissesto della casa da gioco locale era già al centro del dibattito politico. Da una parte l'opposizione di centrodestra, guidata dall'attuale primo cittadino Roberto Salmoiraghi, che denunciava il mancato versamento da parte del casinò delle rate di agosto e settembre, nonché di parte di quelle di novembre e dicembre e invocava la revoca del mandato, come previsto dagli accordi di convenzione tra il Comune e la Società casinò municipale di Campione d'Italia spa (allora partecipata dalla province e dalle camere di commercio di Como e Lecco). Non solo in quella seduta il consiglio decideva di respingere le obiezioni di Salmoiraghi, ma addirittura prorogava gli accordi di gestione fino al 2021, deliberando di «spalmare» il debito di 22.953.654 franchi (circa 19 milioni di euro al cambio di allora) in dieci rate annuali da rimborsare entro il 2021. Una grossa mano per il casinò, allora amministrato da Carlo Pagan, ex direttore della casa da gioco di Venezia. Nonostante la situazione disastrosa, Pagan terrà il timone fino al 2017, percependo nel solo triennio 2012-2014, come emerge da alcuni documenti ufficiali, la ragguardevole cifra di 1,17 milioni di euro lordi a titolo di compensi. Il buco provocato dai mancati versamenti della casa da gioco e la decisione di non riscuotere per intero tali somme manda in tilt il bilancio comunale, che nel 2012 è costretto a dichiarare il disequilibrio finanziario. È solo il primo atto di quella che è destinata a diventare una tragedia. Nella relazione della Corte dei conti, redatta nel marzo scorso, si parla ancora di una «grave situazione di squilibrio finanziario connotata da una persistente crisi di liquidità», che risulta «principalmente imputabile alla mancata riscossione delle somme accertate verso la Società casinò di Campione spa» (costituita nel 2014 e avente socio unico il Comune). Si parla di importi che, nel solo biennio 2016-2017, sfiorano i 21,7 milioni di euro. Qualche giorno dopo la pubblicazione del fallimento, le forze dell'ordine hanno svuotato il caveau del casinò. Secondo fonti locali, ai curatori fallimentari sarebbero stati consegnati più di 15 milioni di euro tra contanti e titoli. Se la circostanza fosse confermata ci troveremmo di fronte al paradosso di un casinò fallito e di un Comune in ginocchio pur con le casse della casa da gioco piene. «La nostra amministrazione ha raccolto una situazione irrimediabilmente compromessa», dice l'attuale sindaco alla Verità Roberto Salmoiraghi. «Qualcuno doveva mettere le mani nel fango e noi l'abbiamo fatto». L'unico che può metterci una pezza ora è Matteo Salvini. Solo con le dovute autorizzazioni ministeriali, il Comune può subentrare nella gestione del casinò, restituendo la speranza ai campionesi.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.