2025-09-08
Stellantis all’attacco del Green deal. Con appena cinque anni di ritardo...
L’ad Antonio Filosa: «Dal Covid l’Europa ha perso più di tre milioni di immatricolazioni su 18, quanto i mercati di Italia e Spagna». La colpa? Di Bruxelles. Ma la proprietà e i suoi giornali hanno sempre detto l’opposto.Che Antonio Filosa spieghi al Sole 24 Ore che le vendite di Stellantis si sono offuscate sta nell’ordine delle cose. Con la luce del giorno le stelle non si vedono. Ma che nella lunga, esclusiva, intervista concessa al quotidiano di Confindustria l’amministratore delegato della fu Fiat, poi Fca e ora Stellantis, con sede legale e fiscale in Olanda, non trovi neppure una riga per dire «ci siamo sbagliati» e chiedere scusa ai contribuenti e agli operai italiani, fa un po’ specie. Anzi, nel lungo «dettato» alla testata Filosa chiede ancora aiuti alla politica, stavolta europea: altri quattrini da versare nella casse del gruppo per evitare, causa green deal, una crisi senza ritorno. E poi c’è una sviolinata a John Elkann - nipote del fu avvocato Agnelli, ha patteggiato 175 milioni di euro per evasione fiscale - che è presidente di Stellantis. Filosa sa che il suo predecessore Carlos Tavares, uno che ne ha azzeccate poche, è stato mandato a casa dalla sera alla mattina, ma con un bonus vicino ai 100 milioni: alla faccia degli operai perennemente in cassa integrazione. Magnifica il Piano Italia: «Lo ha voluto John Elkann: è un’opportunità epocale. Ci aspettiamo molto dalla Jeep Compass e dai modelli Stl a Mirafiori; si aggiungerà la Nuova Panda a Pomigliano d’Arco. I volumi arriveranno grazie a nuove regole realistiche dell’Ue e a nuovi modelli». Siamo al futuro incerto e remoto. Dai volumi che dà Filosa si capisce che le ubbie verdi dell’Europa hanno distrutto la prima industria continentale: l’auto. «Prima della pandemia», spiega, «il mercato auto europeo contava 18 milioni di immatricolazioni, oggi non arriva a 15 milioni. In cinque anni si sono persi tre milioni di veicoli, l’equivalente dei mercati italiano e spagnolo». E per altri settori è peggio: furgoni e veicoli commerciali leggeri sono in agonia. Ammette l’ad di Stellantis: «L’anno scorso, in una industria già in crisi, in Europa si sono immatricolati 2 milioni di pezzi, quest’anno ne perderemo 350.000: sono due stabilimenti e 50.000 occupati in meno. Le soluzioni ci sono: la crisi è dovuta alle regolamentazioni europee che impongono di vendere alti mix di furgoni elettrici che in questo momento il mercato non vuole». Siamo a chiudere la stalla con i buoi scappati, peccato che John Elkann sia stato il più fervente sostenitore dei veicoli elettrici e lo abbia fatto sia da imprenditore (o forse da «prenditore»: Unimpresa stima che dal 2000 al 2024 Stellantis-Fiat abbia ricevuto 19 miliardi di soldi pubblici tagliando come ringraziamento l’occupazione di 10.000 posti) sia da editore dacché i suoi quotidiani - La Stampa e La Repubblica - sono i più ferventi sostenitori di Ursula von der Leyen, del green deal alla Frans Timmermans e dei partiti «verdi» (dal Pd che è entusiasta delle auto a pila ad Avs). Ora però senza pentirsi si deve cambiare: attraverso l’Acea - è l’unione dei costruttori automobilistici europei - si chiederà alla Commissione una nuova politica che favorisca la sostituzione del parco auto indipendentemente dalle motorizzazioni, «il che favorisce molto di più la lotta alle emissioni». «Inoltre», nota Filosa, «serve la neutralità tecnologica che considera non solo il tutto elettrico, ma anche altre motorizzazioni ibride. L’idea è un sistema di offset credits (le compensazioni di emissioni che le «case» pagano e hanno fatto ricco Elon Musk, ndr) che valorizzi tutti i motori elettrificati. Il dialogo strategico è utile, ma ora bisogna agire. Non c’è più tempo per ritardi». Che sarebbe finita così all’Ue, ma anche a John Elkann, glielo aveva però detto già nel 2020 Erik Heimann da Deutsche Bank, quando aveva stimato nella sola Germania 840.000 posti di lavoro in meno col green deal «che può essere imposto solo con un eco-dittatura».A cui Filosa ora prova a ribellarsi, ma ha già «incassato» altri 600 milioni di bonus all’acquisto di auto elettriche che però andranno ai cinesi. Elkann, che si è fatto concessionario di Leapmotor - importa le auto a pila cinesi dirette concorrenti della Panda - qualcosa comunque si mette in tasca. Come ha scritto La Verità ieri, la strategia di Elkann è stata delocalizzare la produzione prima in Serbia e adesso in Africa, in Algeria. A Kragujevac (Serbia) l’azienda ha trasferito operai dal Marocco e poi ha cercato di spostare lì i dipendenti di Pomigliano d’Arco, che si sono rifiutati. Ma ora anche i serbi chiedono salari più alti, così a Kragujevac arrivano operai nepalesi. Forse vale la pena chiedersi perché Repubblica e La Stampa difendono l’immigrazione clandestina. È curioso che Maurizio Landini (Cgil) che fa le barricate contro il fascismo e per Gaza non dica a Filosa una parola. All’ad di Stellantis ha risposto il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso (Fdi): «Lo incontrerò domani (oggi per chi legge, ndr). Sono contento che Stellantis ora sposi le posizioni del governo italiano che per primo ha posto in Europa l’esigenza della flessibilità tecnologica. Se l’Europa cambia rotta in Italia si può tornare a produrre un milione di auto».
Daniel Ortega (Getty Images)
Il governo guidato dalla coppia sandinista Ortega-Murillo ha firmato accordi commerciali con la Repubblica di Donetsk, rafforzando il legame con Mosca e Pechino. Una scelta politica che rilancia il ruolo di Ortega nella geopolitica del Sud globale, tra repressione interna e nuove alleanze.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)