Per i sondaggisti, da agosto a oggi la percentuale di chi è favorevole a sostenere il testo licenziato dal Parlamento è passata dal 50 al 70%. I fattori? Opposizioni divise, scarsa fiducia nelle toghe e degenerazione del correntismo.
Per i sondaggisti, da agosto a oggi la percentuale di chi è favorevole a sostenere il testo licenziato dal Parlamento è passata dal 50 al 70%. I fattori? Opposizioni divise, scarsa fiducia nelle toghe e degenerazione del correntismo.Premessa: i sondaggi sono un indicatore di tendenze, i voti veri sono una cosa molto diversa. Detto ciò, il governo ha buone se non ottime ragioni per essere fiducioso rispetto al referendum confermativo della riforma della Giustizia, che si terrà probabilmente tra marzo e aprile del 2026.Numeri e, soprattutto, trend, indicano, infatti, che gli italiani sono sempre più favorevoli alla riforma appena approvata dal Senato. Il referendum confermativo di un ddl costituzionale, ricordiamolo sempre, non deve raggiungere il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto: qualsiasi sarà l’affluenza, la consultazione sarà valida. Vediamo allora qualche dato e analizziamo la tendenza. Prendiamo in esame tre sondaggi effettuati sull’argomento.Lo scorso primo agosto, Youtrend misura per Sky Tg24 le intenzioni di voto degli italiani rispetto al referendum sulla riforma. Il risultato è un bel pareggio: il 49% degli intervistati risponde che voterebbe per abrogarla, il 51% dice che si esprimerebbe per confermarla. L’affluenza è stimata al 55%.Passano poco più di due mesi e lo scorso 8 ottobre, a Porta a porta, va in onda un sondaggio dell’Istituto Noto. I numeri cambiano: i favorevoli alla riforma sono ora il 53%, chi dice che se il referendum si svolgesse il giorno dopo voterebbe per l’abrogazione sono solo il 28% degli elettori. Tantissimi i «non saprei», rappresentavano ben il 28% del totale.E veniamo a ieri: a L’aria che tira, su La7, va in onda un sondaggio dell’Istituto Izi che vede i favorevoli al 70,9% e i contrari al 29,1. Una distanza abissale. Come si spiega? Certo, l’ondata emotiva seguita all’approvazione definitiva in Parlamento può aver influenzato questa ultima rilevazione, ma la tendenza è chiarissima: più passa il tempo, più gli italiani che esprimono un parere positivo rispetto alla riforma aumentano. I motivi di questo fenomeno sono diversi. Innanzitutto, probabilmente, la comunicazione dei fautori del «sì» è più efficace di quella del «no». Argomento che sembrerà banale ma non lo è affatto, in un’epoca nella quale l’efficacia della comunicazione determina più che mai i risultati delle consultazioni elettorali. Il secondo motivo è quello puramente politico: la maggioranza di centrodestra è molto più robusta dal punto di vista elettorale della sinistra e questa differenza di consenso si trasferisce in maniera quasi naturale sui provvedimenti del governo.Non solo: anche le opposizioni sono divise al loro interno mentre, diciamolo con rispetto ma anche con franchezza, le prese di posizioni pubbliche dei magistrati contro la riforma, fatta eccezione per alcuni esempi isolati, come il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, sono quasi sempre troppo tecniche e poco chiare per essere comprese a pieno dalla pubblica opinione. Un altro motivo della crescita esponenziale dei favorevoli alla riforma è, forse, anche il più elementare quanto fondamentale: gli italiani non sono soddisfatti di come funziona la giustizia. Tempi lunghissimi, uffici disordinati, provvedimenti che si contraddicono l’uno con l’altro: la stragrande maggioranza della popolazione italiana ha avuto modo di vivere in prima persona i disservizi del sistema. I contrari al referendum si sgolano nel tentare di spiegare che la separazione delle carriere, o lo sdoppiamento del Csm, non risolveranno i problemi della giustizia italiana ma evidentemente, almeno questo testimoniano i sondaggi di opinione che abbiamo preso in esame, prevale tra i cittadini la voglia di iniziare a cambiare qualcosa. Se un settore della amministrazione dello Stato non funziona o non funziona bene, chi propone di lasciare tutto come è fa inevitabilmente più fatica a convincere gli interlocutori rispetto a chi invece vuole lasciare tutto come sta.C’è poi il tema della vera e propria rivoluzione per quel che riguarda la selezione dei componenti dei due futuri Csm: non saranno più eletti dai colleghi ma selezionati tramite un sorteggio all’interno di una platea ristretta. Su questo punto, chi si oppone alla riforma deve scalare una montagna rocciosa: lo scandalo Palamara ha reso di dominio pubblico quello che in tantissimi già sapevano, ovvero che le correnti organizzate della magistratura hanno, fino a ora, gestito le nomine a loro piacimento, attraverso una vera e propria lottizzazione che non può certo piacere agli italiani, che siano di destra o di sinistra. La degenerazione del correntismo delle toghe ha fatto breccia nella pubblica opinione, e la possibilità di cambiare registro viene vista come una opportunità positiva da cogliere al volo.Nelle prossime settimane inizierà la vera e propria campagna elettorale e vedremo se questi orientamenti verranno consolidati o ribaltati: per quel poco che conta, la nostra impressione è che, alla fine, l’elettorato più motivato a recarsi alle urne sarà quello che vuole che la riforma della Giustizia sia definitivamente approvata, mentre scettici e contrari potrebbero dividersi tra chi si recherà alle urne e chi, invece, preferirà restarsene a casa.
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
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Dalla Bonino a Di Pietro: in tanti tifano per separare le carriere. Pisapia la sostenne in un libro scritto con l’attuale Guardasigilli.






