2025-11-01
Ma quanti a sinistra voltano le spalle alla linea della Schlein sulla riforma Nordio
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)
Dalla Bonino a Di Pietro: in tanti tifano per separare le carriere. Pisapia la sostenne in un libro scritto con l’attuale Guardasigilli.C’è una sinistra che tifa per la riforma della giustizia. Al netto, infatti, delle frasi superficiali del segretario del Pd, Elly Schlein, sul rischio del controllo della magistratura da parte dell’esecutivo, sono diversi gli esponenti del Partito democratico (e persino ex di Rifondazione comunista), a tifare per le novità portate avanti dal governo Meloni. Da Anna Paola Concia a Claudio Petruccioli, da Antonio Di Pietro a Goffredo Bettini, da Vincenzo De Luca a Enrico Morando fino a Emma Bonino: questi sono solo alcuni dei nomi che si sono anche radunati nel comitato «Sì Separa». Del resto, oggi Carlo Nordio è il ministro della Giustizia, padre della riforma costituzionale che separa le carriere dei magistrati e ridisegna il Consiglio superiore della magistratura. Ma nel 2008 era ancora procuratore aggiunto a Venezia, un magistrato esperto e rispettato, lontano dai palcoscenici politici. In quell’anno, in pieno terzo governo di Silvio Berlusconi, quando la parola «giustizia» era sinonimo di scontro, scrisse un libro insieme a uno degli avversari più improbabili: Giuliano Pisapia.L’avvocato milanese, futuro sindaco di centrosinistra e già deputato di Rifondazione comunista, rappresentava allora l’altra sponda della cultura giuridica. Eppure, i due, da prospettive diverse, decisero di parlarsi e ne nacque un libro, In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili (Marsilio). Un confronto civile, quasi controcorrente, che oggi - a distanza di quasi 20 anni - sembra anticipare, nelle sue linee essenziali, la riforma Nordio approvata il 30 ottobre 2025 al Senato.Erano anni in cui la giustizia divideva l’Italia: Berlusconi al governo, le accuse alle «toghe rosse», l’opposizione che gridava al conflitto d’interessi. Parlare di riforme significava scegliere campo. Nordio e Pisapia fecero un’altra scelta: il dialogo. «Negli ultimi tempi», scrivevano, «sembra difficile parlare di giustizia con competenza, realismo e moderazione».Quella difficoltà, allora come oggi, era il vero nodo: la giustizia come terreno di scontro, non di confronto. Il loro libro resta prezioso più per il metodo che per le proposte, punto di riferimento per un certo centrosinistra riformista. Da un lato Nordio, magistrato liberale e garantista; dall’altro Pisapia, avvocato di sinistra e riformatore. Diversi, ma concordi nel diagnosticare le stesse cause: un sistema ingolfato, un codice penale pesante e una politica priva di coerenza. I due individuano le «malattie della giustizia» a partire dal 1989, quando il processo penale divenne accusatorio. Quel modello, pensato per snellire i procedimenti, fallì, portò alla lentezza dei processi e al peso della prescrizione.La parte più sorprendente, riletta alla luce del dibattito odierno, è quella in cui i due affrontano il tema della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, oggi al centro della riforma Nordio. Pisapia, con tono pacato ma netto, scriveva: «Guardo con sfavore a un arbitro che possa indossare una volta la casacca nera e l’altra la divisa del giocatore». E aggiungeva, con una punta di amarezza, che «su questo tema la cultura democratica di sinistra è stata troppo spesso sorda e prevenuta». Nordio, da parte sua, sosteneva la stessa tesi in nome della trasparenza e della fiducia dei cittadini: «Il passaggio automatico da una funzione all’altra mina la percezione di imparzialità della giurisdizione». Ma entrambi mettevano un paletto invalicabile: la separazione delle carriere non deve mai significare subordinazione del pubblico ministero al potere politico. «Imprescindibile», scrivono, «è garantire sempre l’indipendenza assoluta del pm dall’esecutivo». Una distinzione chiara, che oggi il ministro Nordio ripete quasi con le stesse parole quando difende la sua riforma in Parlamento.Oggi Giuliano Pisapia tace. Ma il suo è un silenzio assenso. Non si è espresso sulla riforma Nordio né sul referendum del 2026, ma chi conosce la sua storia sa che le sue idee non sono lontane dalla legge appena approvata. Già nel 2008 scriveva che la separazione delle carriere avrebbe «generato maggiore fiducia dei cittadini verso chi ha il compito di giudicare»: non un principio «di destra», ma una garanzia di equilibrio tra accusa e difesa.Negli ultimi mesi, alcune voci del centrosinistra hanno rotto l’unanimità del «no». Goffredo Bettini, ideologo dem, parla di «principio di terzietà», Claudio Petruccioli, presidente Rai e una storia nel Pci, la definisce «una riforma di sinistra», il costituzionalista Stefano Ceccanti la considera «coerente con l’articolo 111 sul giusto processo», l’ex viceministro Enrico Morando la vede come «occasione per superare un tabù culturale». Anche il governatore Vincenzo De Luca ammette: «Probabile che voterò sì». È un fronte ristretto ma significativo, erede della tradizione garantista e laica della sinistra.A loro si unisce Emma Bonino, storica radicale, da sempre favorevole alla separazione delle carriere: era una battaglia di Marco Pannella. E persino Antonio Di Pietro, ex simbolo di Mani pulite, oggi avvocato, ha sorpreso molti: «Il pubblico ministero non ricerca la verità, ricerca il colpevole. Per questo sono favorevole alla separazione delle carriere». Anche il costituzionalista Sabino Cassese ha ricordato che la riforma Nordio «è la conclusione di un percorso iniziato nel 1988 con la commissione Pisapia e proseguito con le riforme Vassalli e Cartabia», definendola quindi «un atto quasi dovuto».
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)