Nuovo approccio dell'istituto di credito rivolto alle imprese pronte ad operazioni di finanza straordinaria. Le interviste a Stefano Barrese, Marco Gianolli e Alessandro Fracassi.
L’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina (Ansa)
L’istituto chiude «i migliori nove mesi di sempre»: utile su del 5,9%. Confermato l’obiettivo ben oltre i 9 miliardi sul 2025.
Intesa Sanpaolo chiude i conti a settembre con una scia di numeri record. L’amministratore delegato Carlo Messina aprendo l’incontro con la comunità finanziaria annuncia: «Abbiamo chiuso i migliori nove mesi di sempre». L’utile netto sale a 7,6 miliardi di euro, in crescita del 5,9% rispetto allo scorso anno. Una corsa fatta di commissioni record e di un’attività assicurativa che macina risultati. Il traguardo fissato per il 2025 - oltre i 9 miliardi - non è più una promessa. Davanti alla nuova tassa sulle banche, getta acqua sul fuoco delle polemiche esplose in queste ore: «L’impatto sul risultato netto e sul patrimonio netto è completamente gestibile. E quindi non siamo preoccupati». Ovviamente per quanto riguarda l’aliquota vera e propria bisognerà aspettare fino a quando la legge di bilancio verrà varata dal Parlamento. «Quello che posso dirvi», ha aggiunto l’ad, «è che l’impatto che potremmo avere sia sul risultato netto e sul patrimonio netto è assolutamente gestibile per quanto ci riguarda. Il nostro impegno oggi include anche un possibile impatto derivante da questa tassazione».
Tanto più che «Intesa Sanpaolo ha già maturato imposte per circa 4,6 miliardi, pari all’intero importo della misura per l’intero settore prevista in Manovra. È la conferma del contributo straordinario del nostro gruppo alla finanza pubblica e al sostegno dell’economia reale».
Cifre che raccontano più di molte parole l’impegno a vantaggio del territorio. Messina ricorda che nei primi nove mesi Intesa ha erogato 42,7 miliardi di euro a famiglie e imprese italiane, il 40% in più rispetto all’anno precedente, e 63,4 miliardi complessivi a livello di gruppo. «È la prova della nostra vicinanza al tessuto produttivo e alle comunità locali», sottolinea. Non solo utili, dunque, ma un modello che si muove sulla lunghezza d’onda del Paese. Nei primi nove mesi il gruppo ha consolidato programmi a favore di famiglie e territori contribuendo alla creazione di valore per tutti gli stakeholder. Inoltre la banca ricorda che 2.050 aziende sono state riportate in bonis, contribuendo a preservare circa 10.250 posti di lavoro. Dal 2014, il totale delle imprese salvate supera le 146.000 unità, per un impatto complessivo di circa 730.000 posti di lavoro tutelati. Numeri che raccontano un’Italia che funziona, e non grazie ai decreti. Anche i dividendi fanno scuola: 5,3 miliardi di euro maturati nei nove mesi, di cui il 35% – quasi 2 miliardi – finiranno nelle tasche delle famiglie italiane e delle Fondazioni azioniste. «Risorse che assumono particolare significato per le ricadute positive sui territori, anche grazie ai programmi delle Fondazioni nostre azioniste», osserva l’amministratore delegato. Il motore delle commissioni cresce del 5,1%, mentre gli interessi netti arretrano del 6,8%. Il gruppo punta molto sull’industria del risparmio, con 17.100 consulenti che diventeranno 20.000 entro il 2027, e fabbriche di prodotto assicurative e di asset management interamente controllate. Il risparmio affidato alla banca supera i 1.400 miliardi di euro, +33 miliardi in dodici mesi.
Il patrimonio è robusto. L’indicatore patrimoniale al 13,9% è sopra le attese degli analisti e ben oltre le soglie richieste dalla Bce. Il costo del rischio resta ai minimi storici, in linea con lo status – ormai consolidato – di «banca a zero Npl» come ripete Messina agli analisti.
Intesa non si limita a fare banca: ridistribuisce valore. Il consiglio d’amministrazione ha approvato un acconto dividendi da 3,2 miliardi sui risultati 2025. «Per l’intero anno restituiremo circa 8,3 miliardi ai nostri azionisti, includendo l’interim dividend che sarà pagato a novembre», ricorda Messina. E sul capitale in eccesso, mette subito i paletti: «Non sarà usato per fusioni e acquisizioni. L’eccesso di capitale è dei nostri azionisti». Insomma Intesa continua a tenersi fuori da quello che lo stesso Messino ha definito il «far west» delle banche con la girandola di acquisizioni e fusioni in corso.
Gli analisti i applaudono. Per JP Morgan i risultati sono «solidi», Morgan Stanley parla di un trimestre «leggermente migliore del previsto», mentre Deutsche Bank si chiede retoricamente: «Cos’altro si poteva chiedere?».
In Borsa, però, scattano le prese di beneficio: il titolo chiude in calo del 2,23% a 5,58 euro, un movimento tecnico dovuto al riallineamento con l’Euro Stoxx Banks, dopo settimane di performance superiore all’indice.
A febbraio arriverà il nuovo piano d’impresa e una politica dei dividendi «più competitiva», promette Messina. La banca di sistema, come ama definirla si conferma l’infrastruttura finanziaria del Paese.
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Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
Mauro Micillo: «Le iniziative avviate dall’amministrazione americana in ambiti strategici come infrastrutture e intelligenza artificiale offrono nuove opportunità di investimento». Un ponte anche per il made in Italy.
Ci voleva una grande banca per ricordare all’Italia che il mondo non finisce a Bruxelles. Mentre l’Europa si interroga su come fronteggiare i dazi americani, Intesa Sanpaolo ha deciso di investire sul bicchiere mezzo pieno. Rafforzerà la presenza nel mercato Usa dove negli ultimi tre anni ha supportato operazioni per un valore complessivo di 50 miliardi di dollari. Sono state iniziative in gran parte finalizzate a sostenere aziende che vogliono sbarcare o rafforzarsi negli Stati Uniti, la terra delle opportunità e delle tariffe doganali creative. Un invito alle aziende italiane a non restare prigioniere delle tensioni commerciali ma a giocarci dentro, con la stessa disinvoltura con cui gli americani giocano con il mondo. «Le recenti operazioni che ci hanno visto protagonisti confermano la solidità della nostra presenza negli Stati Uniti e la capacità di mobilitare capitali, offrendo soluzioni strutturate in un contesto tra i più competitivi al mondo» ha spiegato Mauro Micillo, il numero uno della Divisione Imi Corporate & Investment Banking, in missione a Washington per le riunioni del Fondo Monetario Internazionale. Un linguaggio giocato tra finanza e diplomazia: «Attraverso il coinvolgimento di investitori internazionali, Intesa Sanpaolo contribuisce a realizzare progetti in grado di accelerare la modernizzazione delle infrastrutture e la transizione energetica, rafforzando il proprio ruolo di partner di riferimento nei grandi progetti globali». Una missione fatta di contratti, capitali e credibilità.
Dietro i numeri - 50 miliardi di dollari di operazioni negli ultimi tre anni, 30 miliardi di euro di project finance solo nei primi otto mesi del 2025 pari al 15% del mercato complessivo - c’è la prova che una banca italiana può essere globale tenendo ben stretto il radicamento domestico. Dal 2018 al 2024 il mercato del project finance negli Usa è cresciuto del 20% l’anno. La divisione Imi di Intesa, nello stesso periodo, del 34%.
E non si tratta solo di prestiti. È consulenza, emissioni obbligazionarie, copertura dei rischi di tasso, finanza strutturata. È la dimostrazione che si può fare business anche nel cortile di Trump, dove la finanza è politica e ogni dazio è una dichiarazione d’intenti. Il piano americano del gruppo guidato da Carlo Messina è anche un messaggio politico: invece di chiedere sussidi o invocare Bruxelles, le imprese italiane possono reagire con l’arma più moderna che ci sia: investire. Intesa promette di fare da spalla, non da spettatrice. «Le iniziative avviate dall’amministrazione americana in ambiti strategici come infrastrutture, innovazione e intelligenza artificiale offrono nuove opportunità di investimento», aggiunge Micillo, «e la nostra Divisione è pronta a consolidare ulteriormente la propria posizione in questo mercato».
Insomma mentre il mondo si divide tra chi alza i dazi e chi alza le mani, Intesa alza il livello del gioco. Non è solo un piano industriale, ma un gesto di fiducia nella manifattura italiana, che spesso ha più fantasia che capitali. E, forse, anche un piccolo atto di coraggio: non aspettare che Washington ci apra la porta, ma bussare con i progetti sotto braccio. Anche per questo negli Stati Uniti, la Divisione IMI CIB ha rafforzato il team di Structured Finance, ampliando risorse e competenze. Non è la solita «presenza simbolica» che le banche italiane amano ostentare all’estero: è una struttura che lavora in quelle partite, oggi, si gioca la leadership globale. E se c’è una cosa che l’Italia sa fare, è costruire: autostrade, centrali, ponti, data center. Insomma, ingegno e cemento, che poi sono due parole molto più italiane di «dazi».
A Washington, dove si decide la temperatura economica del pianeta, la delegazione di Intesa si muove in terra conosciuta. Un invito alle imprese italiane a non farsi scoraggiare dai dazi, ma a trasformarli in stimolo. In fondo, la finanza è come la politica: la fai, o la subisci. E in un mondo in cui Trump detta i dazi, l’unico modo per restare nel gioco è fare affari in dollari.
Per superare gli ostacoli servono nuove strade e una grande banca è sempre un buon compagno di viaggio. Così, mentre a Roma Confindustria discute di tagli e incentivi, a Washington Micillo e il suo team trattano con investitori globali per portare a casa affari veri. E allora, paradossalmente, possiamo ringraziare i dazi di Trump. Perché, a modo loro, hanno risvegliato un sistema di imprese che troppo spesso si accontenta di lamentarsi. Intesa ha deciso di reagire. Con 50 miliardi di dollari, un passaporto e un’idea di futuro.
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Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini con Stefano Barrese, responsabile BdT di Intesa Sanpaolo
Orsini: «Crediamo nell’energia nucleare». Barrese (Intesa): «Più tecnologia e robotica».
Duecento miliardi destinati allo sviluppo della competitività delle imprese e a dare una spinta alla Transizione 5.0. Sono frutto di un accordo quadriennale tra Intesa San Paolo e Confindustria annunciato all’inizio dell’anno dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, e da Carlo Messina, Consigliere delegato e ad di Intesa Sanpaolo. Ieri a Roma si è svolto «Investimenti, innovazione, credito. Le tecnologie digitali avanzate, i nuovi acceleratori di crescita delle imprese», l’incontro territoriale per presentare il programma nazionale congiunto che mette a disposizione 200 miliardi di euro fino al 2028.
Di questi 14 miliardi andranno alle imprese del Lazio. L’obiettivo è quello di rilanciare lo sviluppo del sistema produttivo e cogliere le opportunità di Transizione 5.0 e Ia, integrando così le risorse già stanziate dalla Banca per la realizzazione degli obiettivi del Pnrr. E in questo contesto va osservato che oltre il 45% delle imprese indica che continuerà ad investire in R&S nei prossimi anni, anche in nuovi prodotti e digitalizzazione.
A presentare l’accordo, lo stesso presidente Orsini per Confindustria e Stefano Barrese, responsabile divisione Banca dei territori di Intesa San Paolo.
«Il costo dell’energia rende poco competitive le nostre imprese, quindi bisogna potenziare gli investimenti e credere nell’energia nucleare. E serve che tutto il Parlamento sia unito per portare avanti questo tipo di nuova tecnologia che è fondamentale», ha commentato il presidente di Confindustria Orsini, che poi ha avvertito: «Non sono solo i dazi al 10% ma c’è anche la svalutazione del dollaro che vale un 13,5%, vuol dire che siamo a 23,5%, un numero che preoccupa e che secondo le nostre stime può avere un impatto sulla nostra industria di circa venti miliardi con 118.000 posti di lavoro. Bisogna negoziare tutti uniti come Europa».
«Il tema della tecnologia, dalla robotica all’Ia, è un fattore di competitività rilevantissimo, per mantenere alta la qualità di ciò che viene prodotto e per elevare la produttività dell’azienda. Quindi diventa importante il fattore occupazionale e le competenze necessarie. Abbiamo deciso di supportare questo percorso non solo attraverso il credito, ma dando anche incentivi a quelle aziende che fanno investimenti tecnologici e associano a questo l’impegno ad assumere», ha spiegato Barrese a margine dell’evento e poi ha aggiunto: «Noi monitoreremo questo impegno ad assumere, chiedendo di inserirlo nel bilancio delle aziende. Questo consentirà in fase di startup di avere un beneficio importante che poi, nel corso degli anni, proseguirà sotto forma di prezzo arrivando anche a circa 70 punti base. Un incentivo significativo per accompagnare la crescita occupazionale del Paese in aree di competenze rilevantissime».
Durante l’evento sono state evidenziate le peculiarità delle nuove misure messe in campo e c’è stato un confronto con gli imprenditori laziali su robotica, digitalizzazione e intelligenza artificiale quale leva di stimolo per la crescita in termini di connettività e competitività del tessuto economico. Illustrate anche misure ad hoc per favorire il supporto a nuovi insediamenti produttivi, all’ampliamento e ammodernamento di quelli esistenti e agli investimenti nel settore energetico, sostenendo così l’attrattività dei territori italiani con posizione strategica per le rotte e gli interscambi internazionali.
Il protocollo nazionale presentato consolida e rinnova la collaborazione tra Intesa Sanpaolo e Confindustria avviata nel 2009 che, grazie a un volume di crediti erogati al sistema produttivo italiano pari a 450 miliardi di euro in quindici anni, ha contribuito a evolvere il rapporto tra banca e impresa accompagnando i bisogni delle Pmi e delle industrie mature anche nelle fasi più complesse. Un supporto che si è tradotto in numerose iniziative congiunte che, anche attraverso le garanzie governative attivate nelle fasi critiche, hanno consentito di sostenere con nuovo credito decine di migliaia di imprese e prevalentemente Pmi, struttura portante del Made in Italy nel mondo.
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Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina (Imagoeconomica)
L’assemblea conferma l’ad (quinto mandato) e la presidenza a Gros-Pietro. Tra i consiglieri eletti Paola Tagliavini (vicepresidente) e Maria Angela Zappia. Approvato il bilancio (utili record a 8,7 miliardi), i dividendi (rendimento vicino al 10%) e le remunerazioni.
Tutto come da programma. Dall’assemblea di Intesa Sanpaolo arriva il via libera al nuovo consiglio d’amministrazione con la conferma quasi all’unanimità dell’attuale governance. Il 97,7% dei consensi per Gian Maria Gros-Pietro presidente e Carlo Messina che il cda post assise ha nominato all’unanimità consigliere delegato per il quinto mandato consecutivo. In un clima di grande attenzione ai movimenti del risiko bancario, la rotta di Intesa resta indirizzata sui riferimenti tradizionali fatti di continuità, stabilità, crescita autonoma. «Oggi intendo rinnovare il mio massimo impegno nel guidare il nostro gruppo nell’interesse di tutti gli stakeholder: azionisti, clienti, le nostre persone e i territori», ha dichiarato Messina. «Soprattutto in questo momento di forte discontinuità del panorama bancario italiano e in un contesto internazionale in rapida trasformazione».
Parole che tracciano la visione di una banca solida. A confermarlo l’utile record di 8,7 miliardi e il dividendo che garantisce ai soci un rendimento vicino al 10%. «Intesa Sanpaolo sarà ancora leader in Europa nei prossimi anni», ha sottolineato l’ad, evidenziando come la presenza di azionisti stabili come le Fondazioni rappresenti un punto di forza strategico. «Grazie alla loro lungimiranza, possiamo costruire piani di lungo periodo e andare oltre gli obiettivi fissati, anche in contesti di grande complessità».
A fare eco a Messina è stato Gian Maria Gros-Pietro, che ha parlato di una banca che «resterà un punto fermo. Il motore dell’economia reale e sociale del nostro Paese». Concetti che si intrecciano: un’istituzione finanziaria non solo orientata alla redditività, ma anche al sostegno concreto di famiglie, imprese, comunità.
Il nuovo consiglio d’amministrazione, rinnovato per il triennio 2025-2027, vede la presenza di 19 membri, di cui ben 8 donne. Dalla lista di maggioranza, presentata dalle fondazioni storiche azioniste del gruppo (tra cui Compagnia di San Paolo, Cariplo, CR Firenze, e altre), arrivano 14 consiglieri. In primo piano, accanto a Gros-Pietro e Messina, l’ingresso storico di Paola Tagliavini, docente della Bocconi, come vicepresidente: è la prima donna a ricoprire questo ruolo nella storia di Intesa. Un segnale coerente con il percorso di innovazione e inclusività che la banca ha intrapreso da tempo.
Tra i volti nuovi del board spicca Maria Angela Zappia, ambasciatrice d’Italia negli Stati Uniti, mentre rientra Paolo Grandi, già chief governance officer dell’istituto e oggi senior advisor. Confermati, sempre nella lista di maggioranza, Franco Ceruti, Luciano Nebbia, Liana Logiurato, Pietro Previtali. Dalla lista di minoranza sostenuta da Assogestioni sono stati eletti cinque consiglieri
L’assemblea ha anche approvato il bilancio 2024, la politica di remunerazione e il dividendo, confermando così una linea di coerenza e affidabilità che il mercato ha premiato: il titolo Intesa ha chiuso la seduta in rialzo dell’1,33%.
Non sono mancati gli attestati di stima. Giovanni Azzone, presidente di Fondazione Cariplo e riconfermato alla guida dell’Acri, ha parlato di «una riconferma ampiamente meritata e condivisa, segno della grande professionalità e del valore umano delle persone scelte». Anche Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, ha salutato con favore la continuità al vertice: «Una scelta di solidità, che dà certezze anche al mondo del lavoro bancario».
Sullo sfondo resta il grande gioco del risiko bancario. Dopo operazioni importanti come il salvataggio delle banche venete e l’Ops su Ubi, Intesa Sanpaolo resta però defilata. Non per timore, ma per scelta strategica, come ha più volte spiegato Messina: «Siamo molto vicini ai limiti Antitrust in diversi settori e territori. Sarebbe difficile realizzare operazioni che creano valore». Un messaggio chiaro: l’espansione non è un fine, ma uno strumento. E la priorità resta consolidare la posizione già acquisita.
Il contesto è turbolento. Mentre Unicredit lancia un’Ops su Banco BPM e Bper guarda alla Popolare di Sondrio, Ca’ de Sass osserva, forte di una governance rafforzata, di una visione strategica stabile e di una guida riconosciuta e apprezzata dal mercato, dagli azionisti e dal sistema-Paese.
Intesa Sanpaolo conferma il suo ruolo di infrastruttura finanziaria del Paese. A confermarlo il fatto che la banca detiene, da sola, circa il 25% del mercato del credito nazionale.
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