2019-05-31
Staccare la spina ora sarebbe un suicidio. Finiremmo nelle mani di Quirinale e Ue
Far cadere il governo significherebbe beccarsi una manovra pesantissima ed essere esclusi dalle partite cruciali a Bruxelles.Ieri Matteo Salvini ha plasticamente mostrato a tutti (grillini, Colle, Ue) che investe davvero sulla durata del governo: per un verso, facendo cadere gli alibi dei forcaioli sul caso Rixi; e per altro verso, guidando la delegazione economica leghista a un'importante riunione con il ministro Giovanni Tria. Insomma, ora è chiaro a tutti che la Lega farà il possibile per far proseguire questa maggioranza: a patto però che i punti qualificanti dell'agenda Salvini siano rispettati, dalla flat tax al decreto sicurezza bis. Altrimenti - inutile girarci intorno - ci saranno la crisi e le elezioni: e a quel punto la responsabilità non sarà della Lega, ma di chi avrà detto dei «no» di troppo.E allora veniamo a questa seconda ipotesi, cioè all'eventualità di una crisi con scioglimento delle Camere. Da 36 ore, nei palazzi della politica (a partire dal Quirinale), c'è chi ha fatto un circoletto rosso intorno alla data del 29 settembre per le elezioni. Attenzione, però. Quella data e quella tempistica porterebbero con sé un rischio e un trappolone. Il rischio si chiama «esercizio provvisorio», e il trappolone si tradurrebbe nell'addio all'approvazione immediata della flat tax. Proviamo (è una necessaria fatica burocratica) a sfogliare il calendario istituzionale, partendo dall'ipotesi di voto a fine settembre. In genere, le nuove Camere vengono convocate per la prima seduta circa 15 giorni dopo le elezioni: e saremmo già a metà ottobre. Altro tempo (si può arrivare ad altri 10-15 giorni) se ne va per la formazione dei gruppi, l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, più la costituzione delle Commissioni e l'elezione dei rispettivi presidenti. Dunque, ammesso (e concesso, a essere ottimisti) che con l'attuale legge elettorale venga fuori una maggioranza chiara, il nuovo governo potrebbe essere operativo per la fine di ottobre o i primi di novembre (maliziosamente, i quirinalisti accennano alla ricorrenza dei morti). Tutto bene, quindi? Neanche per idea. Infatti, in base alle follie europee del «Two Pack», il doppio regolamento Ue che fissa il calendario comune per i bilanci degli Stati membri, già il 15 di ottobre ogni paese deve inviare a Commissione e Eurogruppo un testo che assomiglia moltissimo alla legge di bilancio. Tecnicamente si chiama «Progetto di documento programmatico di bilancio»: insomma, non ce la si può cavare con due paginette, ma deve trattarsi di un documento che spieghi in dettaglio il budget che il governo intende presentare. Budget che - per inciso - deve essere formalmente presentato alle Camere (già nella forma compiuta del disegno di legge di bilancio) appena 5 giorni dopo, entro il 20 ottobre! Ma come fai se a quel punto un governo nuovo non c'è ancora, e il Parlamento è ai suoi primissimi adempimenti? Ecco dunque il vero rischio (qualcuno, malpensante, direbbe il sospetto): che, al Quirinale o a Bruxelles, a qualcuno non dispiaccia l'ipotesi della «fatale» caduta dell'Italia nell'esercizio provvisorio, cioè alla mera gestione dell'ordinaria amministrazione, sulla base della legge finanziaria precedente, senza altri provvedimenti di spesa. È una situazione che matura se la nuova manovra non viene definitivamente approvata entro il 31 dicembre: ma è abbastanza evidente che, con la tempistica descritta, il rischio diverrebbe assolutamente concreto, con probabilità assai elevate.Attenzione, perché a quel punto le conseguenze sarebbero pesantissime. Primo: scatterebbero le clausole di salvaguardia (per ben 23,1 miliardi: una mazzata terrificante), sotto forma di pesantissimi aumenti Iva, in pratica un'altra botta ai consumi e alla crescita. Secondo: saremmo totalmente legati al pilota automatico di Bruxelles. Terzo: nessuna flat tax. Quarto: nessun altro provvedimento di spesa, se non quelli già fissati dalla manovra precedente. Sarebbe una specie di dono «avvelenato» per i vincitori delle elezioni: ok, avete vinto, ma ancora per alcuni mesi siete costretti a non poter realizzare il vostro programma fiscale, e anzi a rimanere incatenati alla situazione precedente. Per carità, non c'è nulla di irreversibile (tranne la morte), e la politica è il regno delle mediazioni e delle scappatoie. Con la collaborazione di Bruxelles, infatti, si potrebbe provare a scongiurare questo scenario, negoziando sui tempi, e garantendo l'approvazione della manovra entro fine dicembre (magari con una ragionevole compressione dei tempi di esame parlamentare): ma vi pare che questa Commissione Ue sia in vena di concessioni verso l'Italia? Semmai, procede con continue provocazioni contro di noi: ignora gli sforamenti altrui del 3% (Francia), e minaccia noi di procedura, nonostante si tratti di una Commissione all'esaurimento del suo mandato, di fatto con gli scatoloni in mano. E oltre al danno, ci sarebbe pure la beffa. Elezioni a settembre vorrebbero dire che il governo di Giuseppe Conte va in crisi adesso, tra giugno e luglio. E quindi l'Italia sarebbe ulteriormente indebolita nella partita della nomina della nuova Commissione, nella designazione di commissari e nella scelta dei portafogli. Tutte cose su cui grillini ed eventuali kamikaze della maggioranza farebbero bene a riflettere.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)