2023-07-09
Speranza trema e ci appesta con nuove bugie
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
L’ex ministro della Salute spara contro la commissione d’inchiesta, definendola un «indegno tribunale politico». E ha il coraggio di farsi scudo con la scienza, dopo averla umiliata imponendo chiusure e protocolli. È il terrore di chi verrà condannato dalla Storia.«Miserabile». L’aggettivo più calzante è proprio Roberto Speranza a suggerircelo. È uno dei tanti improperi che l’ex ministro della Salute ha riversato all’indirizzo della commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid (fresca di via libera alla Camera) nell’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera. A suo dire si tratta di «un tribunale politico», di una «operazione indegna», del sotterfugio escogitato dal governo per «accarezzare ancora il pelo ai no vax».Lui, dice, voleva «una commissione seria, che si desse il compito di analizzare quanto avvenuto a 360 gradi, con l’obiettivo di essere più pronti ad affrontare un’emergenza del genere in futuro». Invece si è ritrovato con una commissione che «si è data il compito addirittura di verificare le procedure di Ema per l’approvazione dei vaccini» e che «getterà solo fango sul Paese».Ammettiamo: non era facile raggiungere tale abisso di vergogna, ma Speranza ci è riuscito. Quando pensavamo che non potesse far peggio, di nuovo ci ha sorpreso, rivelandosi una quasi nullità dalle mille risorse. È persino inutile tentare di smentire tutte le falsità che inanella. Certe sue uscite irridenti, ben oltre la soglia sopportabile d’arroganza, ghiacciano il sangue nelle vene. Ad esempio quando ghigna: «Sarà singolare vedere parlamentari vagliare il lavoro di autorevoli scienziati a livello europeo sui vaccini». Già: lui il lavoro degli «autorevoli scienziati» non lo ha mai vagliato. Ignorando le evidenze scientifiche (che ovviamente millanta di aver usato come bussole), si è fatto scudo con la scienza quando questa sosteneva le sue posizioni e l’ha semplicemente scavalcata quando non esprimeva soluzioni di suo gradimento. Oppure si dilettava a mandare messaggini ai membri del Comitato tecnico scientifico affinché chiudessero le scuole anche se costoro non erano d’accordo (lo testimoniano le carte dell’inchiesta di Bergamo).Ritorna allora l’aggettivo, e si riempie di senso: «Miserabile». Non c’è altra definizione per chi s’azzarda ad assumere la posa del risentito e rilascia dichiarazioni a raffica dopo aver esibito uno sprezzante silenzio per quasi tre anni. Peggio di quest’assenza di vergogna c’è solo la sudditanza dei cronisti. I quali persino oggi - con la mole di conoscenze a disposizione sul Covid e su ciò che è stato in realtà - evitano accuratamente di porre domande vere al politico, ancora una volta gli mettono il megafono davanti alle labbra e gli consentono di sproloquiare e offendere l’intelligenza di gran parte degli italiani.«Miserabile», dice Speranza parlando della commissione d’inchiesta. Proprio lui, l’uomo che ha voluto le chiusure scriteriate e dannose, che ha difeso «tachipirina e vigile attesa», che ha ignorato addirittura i dati ufficiali, che non ha voluto nemmeno considerare i danneggiati da iniezione, che non ha speso mezza parola sul grande mistero dei contratti con le case farmaceutiche, che ha scritto un libro su come avrebbe sconfitto il virus e lo ha ritirato dalla vendita per imbarazzo. «Miserabile».È difficile, certo, trattenere il disgusto. È umiliante assistere allo spettacolo di interi settori della politica e del giornalismo intenti a cancellare le tracce, a insabbiare, a rabberciare una versione adulterata del recentissimo passato. Dopo aver abusato del corpo della nazione, ne tormentano le cicatrici. Dopo aver fatto scempio dei diritti e del buon senso, ora s’atteggiano a vittime. E purtroppo non c’è nessuno che - per contrappasso - li possa privare dello stipendio (della dignità si son già privati da soli).Resta, tuttavia, una notevole consolazione. Perché indignarsi è naturale e fors’anche inevitabile, ma pure sterile. Sforzandosi d’osservare con lucidità, invece, si coglie il senso vero dell’intervista apparsa sul Corriere. C’è, in quelle righe in eccesso, una stilla di veleno ogni due parole. C’è l’acredine dello sconfitto. C’è la furia della belva nell’angolo, la disperazione dell’accerchiato, la cattiveria del perdente.Speranza evoca il tribunale politico perché lo teme, e sa di meritarlo. Grida che l’inchiesta sarà monca perché non prenderà in esame le Regioni (scusa patetica che abbiamo già provveduto a smontare), e s’aggrappa a questa giustificazione per non piombare nel precipizio. S’era illuso di uscire a testa alta dalla pandemia, bramava le acclamazioni e il trionfo, ma resterà per sempre quello che ci ha chiusi in casa «per cieca disperazione». E il bello è che a immortalarlo in questo modo è stato il suo primo consigliere.Quand’era potente, Speranza taceva. Adesso, disarcionato, bercia ai quattro venti: al massimo può provare a scansare la sorte del parafulmine. Chiaro: lui, i suoi e l’intera opposizione faranno di tutto per sabotare i lavori d’indagine, e può persino darsi che in parte ci riescano. Ma è tutta fatica sprecata: non si rendono conto che non sarà una commissione a condannarli, poiché ci ha già pensato la Storia.Può darsi che non ci siano sentenze sfavorevoli, che non arrivino sanzioni. Ma a che servono, in fondo? La pena per chi ha ingannato e discriminato è già stata comminata: sta tutta in una parola. Un semplice aggettivo, indelebile, che sarà eterno compagno di tutti i profeti di sventura della Cattedrale sanitaria. «Miserabile».
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