2020-11-06
Spediscono i tecnici in tv a giustificare la serrata-spezzatino
Gli esperti in soccorso del governo: Rezza balbetta su zone rosse e cabine di regia. Domenico Arcuri tenta la via del dogma: «Fidatevi di noi»Giuseppi si limita alle informative. Ma anche in Germania piovono accuse sulla MerkelLo speciale contiene due articoli«La Sicilia resta divisa in due zone: a Ovest zona arancina, a Est zona arancino». Ma sì, rievochiamo la battaglia linguistica tra palermitani e catanesi sulla pronuncia del simbolo culinario isolano. Prendiamola sul ridere, pur di non piangere. Perché l'altra sera, alla solita ora del tg, con la conferenza stampa del premier abbiamo raggiunto l'apice della desolazione. Mentre Giuseppe Conte rendeva ancor più carnevalesca l'Italia con la ripartizione tricolore, l'ansia cresceva. Che senso ha scegliere in base a dati vetusti? Come mai la martoriata Campania è colorata di un rassicurante giallo canarino? Perché parrucchieri sì ed estetisti no? La risposta a ogni ipotetica domanda era dipinta sulla faccia del giurista di Volturara Appula: boh. Il presidente del Consiglio, dei criteri e delle logiche che cambiano le nostre vite, ne sa davvero ben poco. Compie scelte politiche, ma si nasconde dietro la tecnocrazia. Dopo i balbettii serali del premier, sono dunque intervenuti gli esperti: Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, e Gianni Rezza, direttore generale della prevenzione del ministero della Salute. Ma la toppa, pure in questo caso, è stata peggio del buco. La premessa dell'ennesima conferenza stampa è d'obbligo: «Bisogna intervenire per abbassare la curva», informa Brusaferro. Dichiarazione che fa il paio con quella di Domenico Arcuri: «Serve collaborazione per raffreddare la curva. Abbiate fiducia». Già: come non affidarsi anima e corpo all'infallibile commissario straordinario? Ma è alla premiata ditta Brusaferro&Rezza che tocca passare, eufemisticamente, al dunque. Regioni italiane divise in tre fasce, quindi: gialla, arancione, rossa. A ognuna corrisponde una serie di crescenti limitazioni. Tutto dipende, delucidano i due, da un «coefficiente di rischio» determinato da 21 indicatori dall'ignoto peso scientifico. A loro volta, raggruppati in tre macrocategorie. La prima: «capacità di monitoraggio». Ossia numero di sintomatici, ospedalizzati, terapie intensive, notifiche, controlli nelle Rsa. La seconda: «capacità di accertamento diagnostico e gestione dei contatti». Ovvero percentuale di tamponi positivi, tempo trascorso tra sintomi e diagnosi, addetti al contact tracing e ai laboratori, quarantene e isolamenti, indagini epidemiologiche. La terza: «stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari». Segue altro elencone: casi negli ultimi 14 giorni, sorveglianze, focolai, accessi al pronto soccorso, occupazione di terapie intensive e reparti Covid. E il famoso Rt: se «stabilmente» superiore a 1,5 si finisce dritti dritti in zona rossa. E schiodarsi da lì, grazie allo scattante sistema approntato, diventa impresa erculea. Chi finisce nel girone, dovrà restarci almeno due settimane. Ma poi, rassicura Rezza, ci potrà essere «una de-escalation». Insomma, se gli espertoni riterranno, il rosso potrà sfumare nell'arancione. E, ipotesi più probabile, viceversa. «Il sistema non è così rigido», si compiace però l'epidemiologo. All'interno della stessa regione sono previste perfino varianti cromatiche. «Si so' sempre fatte le zone rosse, eh…», gigioneggia Rezza. Bergamo o Brescia, per esempio, potrebbero venir colorate di un terra di Siena tendente all'ocra. Sempre se Roberto Speranza, ministro della Salute ed ex assessore all'Urbanistica di Potenza, acconsentirà. «E come mai la Campania è in giallo?». Ecco, ci siamo. Siamo tutti orecchi. «Ha molti casi», ammette Rezza. «Ma l'Rt è molto più basso della Lombardia, perché la trasmissione s'è forse stabilizzata». Forse. «Eppure in Campania restano un numero di casi alti e il sistema è in sofferenza». Quindi? «I provvedimenti già adottati potrebbero aver avuto il giusto effetto». Potrebbero. Ma a chi gli chiede ulteriori lumi, il supertecnico pazientemente spiega: «Bisogna leggere i dati nella loro interezza». Valutare dunque la «tendenza e resilienza del sistema». Senza dimenticare gli «indicatori di processo». Non avete capito un'acca? Tranquilli: nelle tecnocrazie, specie quelle fasulle, funziona proprio così. L'unica cosa chiara, in questo fiume di incomprensibili dettagli, è che ogni colpa sarà delle regioni. Che inviano dati incompleti e indici non aggiornati. Seguono ulteriori e incomprensibili dettagli. Ma poi, finalmente, arriva il lapsus freudiano: «Le decisioni della cabina di regia…». Imbarazzato colpetto di tosse. «Pardon, indicazioni», si corregge Rezza. «Perché», chiarisce, «le decisioni le prende la politica». Bastava vedere lo smarritissimo volto di Conte mentre annunciava l'ultimo dpcm. Ma per fortuna ci sono loro: i professoroni, dietro cui rifugiarsi. «I cittadini devono capire». Appunto. «I nostri sono criteri oggettivi, seppur fallibili e migliorabili». Gli italiani intanto restino a casa. Zitti e buoni, possibilmente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spediscono-i-tecnici-in-tv-a-giustificare-la-serrata-spezzatino-2648637798.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mentre-conte-umilia-il-parlamento-francia-e-inghilterra-lo-fanno-votare" data-post-id="2648637798" data-published-at="1604607864" data-use-pagination="False"> Mentre Conte umilia il Parlamento Francia e Inghilterra lo fanno votare La seconda ondata colpisce tutta Europa e ogni Paese cerca un modo di difendersi. Non che, trascorsi ormai nove mesi dallo scoppio della pandemia, i metodi siano stati particolarmente raffinati: mettete la mascherina, restate distanti, lavatevi le mani. E poi c'è il lockdown. Ieri, il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ne ha annunciato uno di tre settimane, dopo il balzo in avanti dei contagi. Scatterà domani e i cittadini, per uscire, dovranno chiedere un'autorizzazione alle autorità via sms. Il Paese ellenico è solo l'ultimo della lista: in questi giorni, hanno richiuso totalmente o parzialmente anche l'Italia, la Francia, l'Inghilterra, la Germania. Con alcune sensibili differenze, non tanto nel contenuto delle restrizioni, quanto nel modo d'imporle. Difatti, c'è chi si dimentica della democrazia parlamentare e chi onora l'Aula, anche quando non sarebbe obbligato a prenderla in considerazione. Da noi, ormai, la procedura è arcinota. Giuseppe Conte si chiude in cdm, assiste alla faida tra fratelli coltelli giallorossi, raccoglie i pareri dei tecnici e alla fine tira fuori decreti in serie. Da tutto questo processo, il Parlamento è assente. A partire dalla scorsa estate, dopo le reiterate lamentele delle opposizioni (ma anche di un pezzo di maggioranza), il presidente del Consiglio s'è almeno degnato di andare in Aula per le sue «informative». O «premier time», come l'avvocato vanesio ha di recente ribattezzato il «question time». Si tratta, ovviamente, di una semplice parvenza di coinvolgimento del Parlamento: in sostanza, Conte va a illustrare decisioni già prese, dopodiché i partiti che lo sostengono approvano risoluzioni preconfezionate e bocciano quelle del centrodestra. Con l'eccezione di lunedì scorso, quando, in clima di appelli all'unità nazionale, la maggioranza ha approvato due punti di un documento sottoscritto dagli avversari, su sicurezza scolastica e garanzie nei confronti dei soggetti deboli colpiti dalla pandemia. Ben diversa la liturgia britannica. Boris Johnson aveva sì proposto un nuovo lockdown. Le autorità erano sì pronte, addirittura, a spedire le forze dell'ordine a casa della gente, per prevenire assembramenti (un'idea rubata al nostro Roberto Speranza). Ma la serrata, alla fine, è stata sottoposta al vaglio di Westminster. Che, ieri l'altro, ha dato il proprio via libera, con 516 voti favorevoli e 38 contrari. Una convergenza tra Tories e laburisti, ma non un semplice passaggio formale. Quello di Londra è stato un voto autentico. Perché è vero che siamo in emergenza, ma è vero pure che la natura di un sistema politico non può essere alterata quando le cose volgono al peggio. Gli inglesi lo sanno bene e se ne ricordarono finanche in piena seconda guerra mondiale. Persino la Francia, che è una Repubblica semipresidenziale, il lockdown l'ha rimesso al giudizio dell'Assemblea nazionale. Alla fine, l'Aula l'ha approvato con un'ampia maggioranza, 399 contro 27, il 29 ottobre scorso. Insomma, Emmanuel Macron sarà pure un commander in chief in piena regola, ma ha preferito non trasformare una decisione tanto grave in un one man show, come qualcuno si ostina a fare da tempo a Roma. D'altra parte, bisogna ammettere che Giuseppi ha una buona compagnia. Un metodo simile al suo l'ha seguito, ad esempio, Angela Merkel. Pure la Germania è da poco piombata in un mini lockdown. Ma Christian Lindner, il capo dei liberaldemocratici, che contano su 80 seggi al Bundestag, ha accusato la cancelliera di voler «deformare» la democrazia parlamentare tedesca: «Il dibattito dovrebbe svolgersi prima che le misure siano decise, non dopo». Paese che vai, caudillos che trovi.