2018-08-09
Solo Twitter non censura l’uomo più odiato degli Usa
Alex Jones, conduttore vicino alla destra non ortodossa, è stato cancellato da Facebook, Apple e Youtube perché giudicato estremista. L'«uccellino» invece lo lascia libero, anche di dire sciocchezze.Mentre in Italia impazza il caso dei presunti troll Twitter contro Sergio Mattarella, proprio ieri l'ad del social network, Jack Dorsey, ha fatto sapere che il blogger e speaker radiofonico Alex Jones non verrà bannato dalla piattaforma che dirige e che quindi Twitter non si unirà ai giganti tecnologici Facebook, Youtube, Spotify e Apple, che invece hanno bandito lui e il suo sito di destra Infowars, molto noto negli Usa per i toni graffianti delle sue critiche al mainstream ma anche per alcuni scivoloni cospirazionisti. Come ha specificato Dorsey, gli account di Jones tecnicamente non violano gli standard della community e verranno sospesi solo qualora egli commettesse infrazioni in tal senso: «Tocca ai giornali confutarne le affermazioni infondate o sensazionalistiche, è questo che serve di più alla conversazione pubblica». Nel corso degli anni Jones ha sposato, nel nome di una lettura cotrocorrente dei fatti, varie teorie complottiste: dall'attacco alle Torri gemelle, fino alla strage alla scuola elementare Sandy Hook o al Pizzagate. Proprio per la vicenda del massacro di studenti della Sandy Hook, Jones (che ha definito con veemenza «una montatura») è stato querelato dai furibondi genitori delle vittime. Secondo il Southern poverty law center, no -profit che difende i diritti civili e rileva gli episodi di hate speech (i cosiddetti discorsi d'odio), Jones sarebbe «il più prolifico complottista dell'America contemporanea». Dal canto suo il commentatore ha puntato il dito contro le varie piattaforme che lo hanno bandito, accusandole di ingiusta censura «in stile Cina comunista». Alcuni volti noti conservatori si sono schierati a sua difesa, denunciando che il blocco di Jones sui social come una sfida alla libertà di parola negli Stati Uniti. Sul caso è addirittura intervenuto il figlio del presidente Usa, Donald Trump Junior, secondo cui le azioni contro Jones fanno parte di una più ampia campagna di censura per epurare i media conservatori. Non è questa la sede per smontare nel merito tutte le idiozie che Jones avrebbe sposato, però va detto che dilaga a livello globale un vento di censura che sembra al servizio della diffusione del cosiddetto pensiero unico, che ci ha imposto di rivedere tutta la nostra comunicazione -anche personale - alla luce del «politicamente corretto». La demonizzazione di ogni parola non abbastanza edulcorata, tanto che possa urtare la cosiddetta «sensibilità contemporanea», è arrivata a una tale deriva da investire persino la letteratura. Marcello Flores dalla pagine del Corsera denuncia a questo proposito «una sorta di Inquisizione rivolta contro l'intero patrimonio intellettuale dell'Occidente (e non solo)». E aggiunge: «Il fatto è che questa dilagante ossessione censoria tende a rimuovere gli aspetti più oscuri della nostra società senza mostrare la necessaria capacità di comprensione critica». C'è persino la tendenza a occultare delle opere, o parti di esse, con l'auspicio di rimuovere bisogni ancestrali della gente in nome delle frustrazioni di burocrati e mediocri studiosi con tanto tempo a disposizione che certificano il disvalore di questa o quella esternazione (che sia scritta su un libro o su un post). In Inghilterra, ad esempio, dove i paladini del politically correct sono un folto numero, si è arrivati a definire la favola della Bella addormentata come sessista (sic) per via del finale del bacio, secondo alcuni sintesi della violenza sessuale che viene messa in atto da ubriachi e drogati nei locali notturni. Guai a uscire dalla righe in questo clima di requisitorie moraliste, guai a offendere l'orda di permalosi, anche se a farlo, nell'atto di parlare fuori dal coro, è una persona onesta o perlomeno non in cattiva fede. Lo ripetiamo, se il protagonista è Alex Jones, non si tratta dell'epitome dell'uomo giusto, però ci domandiamo se debbano essere davvero Facebook o Apple gli arbitri mondiali del pensiero, i giudici con in mano la bilancia che regola il coefficiente di libertà espressiva, persino dei conduttori radiofonici più pittoreschi. Sarebbe assai interessante chiedere un parare in merito al filosofo sloveno Slavoj ŽZizek, che nel suo Che cos'è l'immaginario racconta anche di cosa accade se le pulsioni - anche tradotte in pensieri esternati - vengono rese proibite dalla legge e di come la sinistra mondiale abbia creato una narrazione ad hoc per domare e rendere inerme il popolo. Un altro testo divertente che aiuta a riflettere è Neuroschiavi, scritto da Marco Della Luna e Paolo Cioni, che racconta nel dettaglio i metodi manipolatori che nel tempo sono stati messi in atto da istituzioni politiche, economiche, religiose e di altro tipo per rendere le masse mansuete e più facilmente governabili. Regolare la libertà di espressione - dunque il linguaggio - è un metodo subdolo perché sottovalutato dalla gente e non percepito come limitativo della libertà, che però sul medio e lungo termine dà dei risultati impattanti. Oggi, forse, con la scusa di operare una censura sui «produttori» di fake news e messaggi di odio, si gettano le basi per un controllo totale del linguaggio, che, come sappiamo, è la struttura su cui si costruisce il pensiero. Se un'altra persona mi fa un torto e non posso dedicarle un bel vaffa, chi mi assicura che domani non lo rifarà?