2025-04-10
Soldi a Kiev, mezza Ue molla la Kallas. La Nato si sveglia: il pericolo è Xi
Meno della metà dei Paesi membri sposa il piano, passato da 40 a 5 miliardi, per dare proiettili alla resistenza. Roberto Cingolani (Leonardo): fondi da Bruxelles per armi europee. Diplomatica russa fermata a Parigi: ira di Putin.Da falco a piccione. Kaja Kallas, arcinemica di Vladimir Putin, aveva ideato un piano di finanziamenti per Kiev da 40 miliardi, subito ridottisi a 5 nell’arco di pochi giorni. Ieri, l’Alto rappresentante dell’Ue ha provato a passare all’incasso, ma meno della metà degli Stati membri ha risposto alla chiamata. La colletta dovrebbe servire per acquistare munizioni da consegnare alle truppe di Volodymyr Zelensky, così da continuare ad alimentare una guerra che, pur scontrandosi con l’attendismo russo e l’offensiva su Kharkiv e Sumy, l’amministrazione Trump lavora per portare a una conclusione concordata. Anzi, l’estone ci ha tenuto a sottolineare che l’Ucraina ha subito più bombardamenti da quando «ha accettato il cessate il fuoco senza condizioni». Il ciclone dei dazi, d’altronde, ha oscurato la frenetica campagna dell’Europa per riarmarsi. Degli 800 miliardi annunciati da Ursula von der Leyen, al momento, ci sono solo - e solo teoricamente - i 150 garantiti dal fondo Safe per acquisti congiunti da parte di due o più Paesi. Niente a che vedere con la «Difesa comune», checché vada predicando il Pd sulla presunta differenza rispetto al vituperato «riarmo dei singoli Stati». La verità è che le nazioni comprerebbero insieme, ma dopo gestirebbero i loro mezzi bellici in autonomia. Non esistono né possono esistere catene di comando comunitarie. Al massimo, è possibile accrescere l’interoperabilità dei sistemi. È probabilmente a tale capacità di mettere in comunicazione piattaforme diverse che, ieri, ha alluso il presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber, parlando della necessità di una maggiore integrazione europea nel settore. I campioni industriali di Berlino e Roma, Rheinmetall e Leonardo, hanno già stipulato una collaborazione per realizzare un nuovo carro ad alta tecnologia. E non è un caso se, intervistato dallo Spiegel, l’ad della società italiana, Roberto Cingolani, ha invocato lo stanziamento di risorse Ue per l’acquisizione di prodotti europei: «I cittadini pagano le tasse per la Difesa dell’Europa», ha osservato, «ma i governi le usano principalmente per acquistare armi americane. Non è un buon affare». Kiev non sarebbe d’accordo: Zelensky è pronto ad acquisti di armamenti per 50 miliardi dagli Usa. Pro domo sua, Cingolani ha aggiunto che «abbiamo bisogno di una Germania forte».In effetti, la Germania è l’unica a essersi mossa davvero sul fronte del riarmo: la collaborazione tra conservatori, socialdemocratici e verdi ha portato alla riforma costituzionale che consentirà di spendere in deficit 1.000 miliardi per infrastrutture e Difesa. Cifre che nessun altro, nell’Unione, può permettersi e che ridimensionano gli auspici di Emmanuel Macron, pronto a far saziare le aziende francesi al banchetto del ReArm. È comprensibile, quindi, che Parigi cerchi sponde a Londra.I tedeschi fanno sul serio: dopo le rivelazioni sulla base militare ospitata a Wiesbaden, dalla quale americani e ucraini pianificavano azioni al fronte, per la prima volta, hanno schierato all’estero l’esercito; in Lituania, precisamente. E se non bastava il proposito della stessa Rheinmetall di riassorbire alcuni dei dipendenti licenziati da Volkswagen, ora è Thyssenkrupp, costruttore di sottomarini, a voler assumere 1.500 lavoratori.Certo, la postura marziale del Vecchio continente non favorisce il dialogo con la Federazione. Il fermo di una diplomatica russa a Parigi da parte della polizia di frontiera, ha commentato ieri il Cremlino, «aggrava ulteriormente» le relazioni bilaterali. Mosca ha convocato l’ambasciatore francese e ha denunciato una violazione della Convenzione di Vienna, il trattato che disciplina le pratiche diplomatiche. In più, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha rinfacciato a transalpini e britannici di voler intervenire in futuro «nei porti ucraini del Mar Nero, in particolare a Odessa». Il tutto, ha rincarato la dose la funzionaria, tenuto conto che la presenza di uomini di Paesi Nato in Ucraina, «indipendentemente dalla bandiera», comporterebbe «il rischio di uno scontro diretto con l’intera Alleanza».Così, il baricentro delle trattative si sta spostando verso la Turchia. Oggi, a Istanbul, si incontreranno una delegazione russa e una ucraina; poi, sabato, il ministro degli Esteri di Putin, Sergej Lavrov, parteciperà ad Antalya a un forum in cui sarà presente anche l’omologo ucraino, Andrii Sybiha. Ma sul proscenio, ormai, è riapparso pure il Dragone. Martedì, Zelensky ha riferito della cattura di miliziani cinesi che combattevano al fianco degli invasori: stando agli 007, sarebbero 155. Ieri, Kiev ha spiegato che uno dei prigionieri si sarebbe arruolato tramite un intermediario, «pagando 300.000 rubli», poco più di 3.000 euro, «con la promessa di ottenere la cittadinanza russa». C’è lo zampino del regime comunista? O partecipare alla guerra dello zar rappresenta una via di fuga per i dissidenti perseguitati da Xi Jinping? Anche la Nato, intanto, sposta il focus su Pechino: se finora l’unico spauracchio era Mosca, ieri Mark Rutte, segretario generale dell’Alleanza, ha discusso della «enorme campagna di riarmo» della Cina, che «cerca di controllare le tecnologie chiave e le catene del valore e conduce azioni destabilizzanti nell’Indo-Pacifico». Un teatro che, in teoria, non riguarda direttamente la Nato. Ma forse questa è una delle cose che Donald Trump ha intenzione di cambiare.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)