2022-12-18
C’è un fiume di soldi da Doha verso Parigi che già dal 2010 schiaccia l’Europa
Emmanuel Macron (Ansa)
Lo scorso settembre, a meno di due mesi dall’avio dei Mondiali di calcio in Qatar, un lobbista e imprenditore franco-algerino, Tayeb Benabderrahmane, ha potuto far rientro a Parigi dopo quasi due anni di detenzione a Doha. Per la precisione era già stato rilasciato dal carcere duro a luglio, ma non gli era stato consentito il rimpatrio prima di firmare un accordo di segretezza e organizzare uno scambio di chiavette Usb contenenti video e documenti segreti. Difficile sapere che ci fosse dentro. Dalle inchieste giornalistiche di Liberation, le ipotesi emerse sarebbero due. Materiale ricattatorio nei confronti del presidente del Psg, Nasser Al-Khelaifi, nonché stretto amico dell’emiro del Qatar, oppure informazioni di natura più ampia e quindi in grado di dipanare una rete incredibile di corruzione partita dal Qatar e arrivata fino a Parigi, dove avrebbe messo radici stabili. Le versioni potrebbero essere entrambe vere. La prima giustificherebbe le accuse del presidente del Paris Saint-Germain che, tramite gli avvocati, avrebbe denunciato un ricatto da circa 100 milioni di dollari. La seconda aprirebbe una strada ben più complicata che andrebbe a intrecciarsi con l’inchiesta che ha già portato in tribunale l’ex presidente Nicolas Sarkozy, condannato nel 2021 in primo grado di giudizio a un anno di carcere per presunto finanziamento illecito. Nel 2010, il 23 novembre per l’esattezza, l’ex capo dell’Eliseo tenne una cena con l’emiro Hamad Al Thani, Michel Platini e Sebastien Bazin, all’epoca proprietario del Psg. Da quell’incontro la posizione della Francia è cambiata in sede Fifa. E guarda caso, dopo il voto a favore dei Mondiali da tenersi in Qatar, il fondo sovrano di Doha ha portato a casa l’acquisizione della celebre squadra parigina. Non solo. Da lì è scattata una larga pianificazione di investimenti (quelli immobiliari tutti defiscalizzati) dalle quote in Total fino al gruppo Lagardere, passando alla riqualificazione delle banlieue e borse di studio per siriani da ospitare direttamente alla Sorbona.
A dare il benestare all’accordo, che come contropartita aveva una forte defiscalizzazione degli investimenti immobiliari qatarioti in Francia, fu inizialmente Sarkozy. Poi Hollande mise il sigillo su tutto. «L’Aneld - associazione nata sull’onda della vittoria di Obama nel 2008, che raggruppava esponenti politici locali di seconda generazione - oggi tace ma il problema dell’infiltrazione dei fondi qatarioti rimane. Quei fondi hanno penetrato strati che vanno ben oltre quelli superficiali della finanza e dei conti economici, questo è il problema», si legge in un articolo di approfondimento di Le Monde. Restano le parole del presidente dell’Aneld, Kamel Hamza, pronunciate nel 2012, come segno di inadeguatezza e di incapacità di leggere i tempi, se non peggio: «Il tasso di disoccupazione giovanile in certe zone urbane sensibili raggiunge il 40%. Non capisco perché il Qatar non ci dovrebbe aiutare». Pubblicamente, nessuno chiese che cosa Doha avrebbe chiesto in cambio. Pubblicamente, nessuno continua a chiederlo. Nemmeno a Emmanuel Macron, che è andato in scia ai suoi due precedessori e che è riuscito a sfruttare i rapporti con Doha per piazzare commesse militari di ingente valore. Alla luce, però, delle inchieste giudiziarie che in questi giorni stanno toccando i socialisti europei e il Pd-Articolo Uno italiano, è obbligo chiedersi che cosa succederà alle inchieste giudiziarie al momento soffocate in Francia. E, inoltre, è obbligo chiedersi con quale indipendenza la Francia abbia preso scelte politiche che hanno cambiato le sorti del Mediterraneo e pure quelle del nostro Paese. Basta seguire la scansione temporale. Tra marzo e ottobre del 2011 una compagine internazionale guidata da Sarkozy e sostenuta dal dem Obama depone e poi fa uccidere Muhammar Gheddafi. Si apre la strada alle cosiddette primavere arabe e alla corsa della Fratellanza musulmana, la stessa sostenuta da Doha. Mentre si disgregano i nostri interessi e si rompono gli equilibri storici anche in Tunisia ed Egitto, l’avanzata qatarina non ha rivali. Nel frattempo all’Eliseo cambiano ben due inquilini, ma quando nel 2019 in Libia siamo a un nuovo punto di svolta e c’è la possibilità di cambiare le carte in tavola, Doha sfodera un nuovo asso nella manica. L’amicizia nata a partire dal 2014 con gli esponenti piddini italiani, alias Matteo Renzi. Così, nonostante i progetti di Khalifa Haftar fossero noti a tutti gli osservatori internazionali, in Europa si è mossa solo la Francia, che per settimane ha aiutato militarmente l’esercito di Bengasi alla conquista del Fezzan. L’Italia è rimasta a osservare, e si è trovata schiacciata tra diverse coalizioni con l’unica possibilità di scegliere il male minore. Mezzo mondo stava con Haftar e solo la Mogherini e l’Onu sostenevano Tripoli. Roma non poteva certo schierarsi con la Russia, anche se gli Usa si erano defilati e il Qatar controllava le nostre mosse promettendo altri soldi e investimenti in Italia. Un’eredità che ci portiamo avanti dai governi Renzi e Gentiloni, ma che nemmeno i successivi esecutivi sono riusciti a spezzare. Risultato? Gli investimenti di Doha hanno sicuramente influenzato la storia d’Europa. C’è, quindi, il rischio che le presunte tangenti alle Ong modello Panzeri sia - no solo una avvisaglia. Se così fosse ne sarà travolta anche la Francia e tutta la filiera socialista che fino a oggi ha sostenuto quella parte di mondo arabo. Vedremo come si muoveranno gli Usa. Potrebbero anche avere qualche registrazione nel cassetto in grado di ribaltare l’equilibrio del Parlamento Ue. Più Ecr, una spruzzata di Ppe e per un decennio socialisti in freezer. E fine della carriera di Macron .
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Il mistero del lobbista liberato in Qatar dopo 2 anni svelerebbe le influenze già dai tempi di Nicolas Sarkozy e della guerra in Libia.Lo scorso settembre, a meno di due mesi dall’avio dei Mondiali di calcio in Qatar, un lobbista e imprenditore franco-algerino, Tayeb Benabderrahmane, ha potuto far rientro a Parigi dopo quasi due anni di detenzione a Doha. Per la precisione era già stato rilasciato dal carcere duro a luglio, ma non gli era stato consentito il rimpatrio prima di firmare un accordo di segretezza e organizzare uno scambio di chiavette Usb contenenti video e documenti segreti. Difficile sapere che ci fosse dentro. Dalle inchieste giornalistiche di Liberation, le ipotesi emerse sarebbero due. Materiale ricattatorio nei confronti del presidente del Psg, Nasser Al-Khelaifi, nonché stretto amico dell’emiro del Qatar, oppure informazioni di natura più ampia e quindi in grado di dipanare una rete incredibile di corruzione partita dal Qatar e arrivata fino a Parigi, dove avrebbe messo radici stabili. Le versioni potrebbero essere entrambe vere. La prima giustificherebbe le accuse del presidente del Paris Saint-Germain che, tramite gli avvocati, avrebbe denunciato un ricatto da circa 100 milioni di dollari. La seconda aprirebbe una strada ben più complicata che andrebbe a intrecciarsi con l’inchiesta che ha già portato in tribunale l’ex presidente Nicolas Sarkozy, condannato nel 2021 in primo grado di giudizio a un anno di carcere per presunto finanziamento illecito. Nel 2010, il 23 novembre per l’esattezza, l’ex capo dell’Eliseo tenne una cena con l’emiro Hamad Al Thani, Michel Platini e Sebastien Bazin, all’epoca proprietario del Psg. Da quell’incontro la posizione della Francia è cambiata in sede Fifa. E guarda caso, dopo il voto a favore dei Mondiali da tenersi in Qatar, il fondo sovrano di Doha ha portato a casa l’acquisizione della celebre squadra parigina. Non solo. Da lì è scattata una larga pianificazione di investimenti (quelli immobiliari tutti defiscalizzati) dalle quote in Total fino al gruppo Lagardere, passando alla riqualificazione delle banlieue e borse di studio per siriani da ospitare direttamente alla Sorbona.A dare il benestare all’accordo, che come contropartita aveva una forte defiscalizzazione degli investimenti immobiliari qatarioti in Francia, fu inizialmente Sarkozy. Poi Hollande mise il sigillo su tutto. «L’Aneld - associazione nata sull’onda della vittoria di Obama nel 2008, che raggruppava esponenti politici locali di seconda generazione - oggi tace ma il problema dell’infiltrazione dei fondi qatarioti rimane. Quei fondi hanno penetrato strati che vanno ben oltre quelli superficiali della finanza e dei conti economici, questo è il problema», si legge in un articolo di approfondimento di Le Monde. Restano le parole del presidente dell’Aneld, Kamel Hamza, pronunciate nel 2012, come segno di inadeguatezza e di incapacità di leggere i tempi, se non peggio: «Il tasso di disoccupazione giovanile in certe zone urbane sensibili raggiunge il 40%. Non capisco perché il Qatar non ci dovrebbe aiutare». Pubblicamente, nessuno chiese che cosa Doha avrebbe chiesto in cambio. Pubblicamente, nessuno continua a chiederlo. Nemmeno a Emmanuel Macron, che è andato in scia ai suoi due precedessori e che è riuscito a sfruttare i rapporti con Doha per piazzare commesse militari di ingente valore. Alla luce, però, delle inchieste giudiziarie che in questi giorni stanno toccando i socialisti europei e il Pd-Articolo Uno italiano, è obbligo chiedersi che cosa succederà alle inchieste giudiziarie al momento soffocate in Francia. E, inoltre, è obbligo chiedersi con quale indipendenza la Francia abbia preso scelte politiche che hanno cambiato le sorti del Mediterraneo e pure quelle del nostro Paese. Basta seguire la scansione temporale. Tra marzo e ottobre del 2011 una compagine internazionale guidata da Sarkozy e sostenuta dal dem Obama depone e poi fa uccidere Muhammar Gheddafi. Si apre la strada alle cosiddette primavere arabe e alla corsa della Fratellanza musulmana, la stessa sostenuta da Doha. Mentre si disgregano i nostri interessi e si rompono gli equilibri storici anche in Tunisia ed Egitto, l’avanzata qatarina non ha rivali. Nel frattempo all’Eliseo cambiano ben due inquilini, ma quando nel 2019 in Libia siamo a un nuovo punto di svolta e c’è la possibilità di cambiare le carte in tavola, Doha sfodera un nuovo asso nella manica. L’amicizia nata a partire dal 2014 con gli esponenti piddini italiani, alias Matteo Renzi. Così, nonostante i progetti di Khalifa Haftar fossero noti a tutti gli osservatori internazionali, in Europa si è mossa solo la Francia, che per settimane ha aiutato militarmente l’esercito di Bengasi alla conquista del Fezzan. L’Italia è rimasta a osservare, e si è trovata schiacciata tra diverse coalizioni con l’unica possibilità di scegliere il male minore. Mezzo mondo stava con Haftar e solo la Mogherini e l’Onu sostenevano Tripoli. Roma non poteva certo schierarsi con la Russia, anche se gli Usa si erano defilati e il Qatar controllava le nostre mosse promettendo altri soldi e investimenti in Italia. Un’eredità che ci portiamo avanti dai governi Renzi e Gentiloni, ma che nemmeno i successivi esecutivi sono riusciti a spezzare. Risultato? Gli investimenti di Doha hanno sicuramente influenzato la storia d’Europa. C’è, quindi, il rischio che le presunte tangenti alle Ong modello Panzeri sia - no solo una avvisaglia. Se così fosse ne sarà travolta anche la Francia e tutta la filiera socialista che fino a oggi ha sostenuto quella parte di mondo arabo. Vedremo come si muoveranno gli Usa. Potrebbero anche avere qualche registrazione nel cassetto in grado di ribaltare l’equilibrio del Parlamento Ue. Più Ecr, una spruzzata di Ppe e per un decennio socialisti in freezer. E fine della carriera di Macron .
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.