2023-02-18
Su Sky e Now Tv un «Django» tutto nuovo
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Django, versione serie televisiva, è un prodotto furbo, capace di muoversi con grazia fra atmosfere passate e istanze contemporanee.Il titolo potrebbe essere fuorviante. Django, la Django nuova, serie televisiva diretta per i primi quattro episodi da Francesca Comencini, ha un nome altisonante. Evoca mondi lontani, un immaginario diventato collettivo. Sembrerebbe lecito aspettarsi una rilettura del western d’autore. Una sua reinterpretazione, quantomeno. Invece, di quel che evoca – ed evoca consapevolmente, anche attraverso l’assegnazione di una piccola parte a Franco Nero – Django non ha un granché. Il Django originale, quello di Sergio Corbucci e del 1966, la serie neonata lo ha solo nel titolo. E questo, contro ogni aspettativa logica, è un bene. Django, versione serie televisiva, è un prodotto furbo, capace di muoversi con grazia fra atmosfere passate e istanze contemporanee. Capace persino di spuntare la casella «Inclusione e Quota Rosa» senza risultare con ciò artificiosa e retorica. Django, al debutto su Sky e Now Tv questo venerdì, ha protagonisti nuovi: una donna, l’uomo che ha deciso – con la testa, mai con il cuore – di dover sposare, gli abitanti dimenticati di una città per reietti, Django, un Django nuovo. «Quando si pensa agli spaghetti western, non si può non pensare a Django. È impossibile ometterlo. È l'uomo che incarna la ricerca di vendetta e di giustizia. Anche il nostro Django è così. Ma è molto più complesso», ha cercato di spiegare Nicholas Pinnock, fondatore nella serie di una cittadella chiamata New Babylon. New Babylon, sorta in Texas nella seconda metà dell’Ottocento, è nata per accogliere gli emarginati: prostitute e ladri e schiavi e assassini. È diventata casa di chi una casa non l’aveva. Poi, ha trovato Django. «Il Django della serie – ha continuato Pinnock – è un uomo in cerca di vendetta, ma è parimenti un uomo dotato di una coscienza, di un passato e di segreti. Il nostro Django rompe gli schemi e i confini dei western che abbiamo conosciuto in passato. Ci sono persone di colore, trans, persone di tutti gli orientamenti sessuali, racchiuse nel mondo che il nostro Django ha presentato al pubblico». Queste persone sono gli abitanti di New Babylon, i suoi cittadini, coloro che le orbitano attorno. Non sono (solo) pedine nel gioco del politicamente corretto. Perciò, Django funziona. Perciò, la si guarda senza troppo rimuginare sul confronto fra passato e presente, fra Corbucci e Comencini, anche direttrice artistica dello show. Django, storia di un padre deciso a ritrovare la figlia che credeva morta, storia della città in cui questa ha deciso di vivere, dei suoi reietti e della donna, Noomi Rapace, decisa ad ammazzarli in nome del Signore, funziona. Bene, pure. Tanto bene da aver saputo rinunciare agli stilemi del genere western. «Francesca (Comencini, ndr) va oltre la violenza. Non c’è bisogno di vedere un cranio che si rompe, con la fuoriuscita del cervello. È stato già fatto. Ce lo si aspettava, forse. Ma quelli erano tempi più violenti», ha detto Noomi Rapace, antagonista della serie, di New Babylon e del suo fondatore. «Credo che il bello della nostra storia sia che racconta il dramma di personaggi complessi, che hanno un passato di sofferenza e cercano una seconda possibilità o una vendetta. Hanno degli obiettivi molto chiari», ha aggiunto Lisa Vicari, figlia di Django nella serie, spiegando come la storia «Potrebbe essere ambientata ora o nel futuro o in qualsiasi altro momento. Abbiamo deciso di ambientarlo nel selvaggio West, ma non è un western classico, c'è una storia complessa che può mettere in connessione le persone».