
Chi difende i tre che hanno imbrattato il Senato invocò maniere forti contro chi chiedeva il rispetto di un contratto come i portuali.Suscita quasi un conato di commozione la sinistra italiana che all’alba del 2023 si riscopre barricadera. Chissà, forse i progressisti si son fatti inturgidire da un lampo di gioventù, o forse cercano di esorcizzare i propri fantasmi aggrappandosi alle proteste altrui. Fatto sta che in queste ore è tutto un fiorire di entusiasmi e giustificazioni a beneficio dei tre attivisti del movimento ecologista Ultima generazione che hanno imbrattato l’ingresso del Senato a colpi di vernice spray. Laura Paracini, Alessandro Sulis e Davide Nensi sono stati arrestati lunedì in flagranza di reato mentre spargevano vernice arancione sulla porta di Palazzo Madama, e adesso rischiano una condanna piuttosto robusta (da uno a cinque anni, come ha ricordato con un tweet Matteo Salvini). Del loro destino un tribunale deciderà pare il 12 maggio, nel frattempo gli ecologisti verniciatori sono liberi e fieri del proprio gesto, e concedono interviste esibendo con orgoglio i galloni della persecuzione politica.Va detto: un anno di carcere per un gesto in fondo non violento parrebbe in effetti eccessivo. Ma probabilmente, anche qualora fossero condannati, i ventenni ecorivoluzionari dovrebbero riuscire a evitare il destino più atroce, complici la giovane età e la pochezza del gesto, molto più stupido che aggressivo.Se i ragazzi in questione suscitano al massimo un po’ di sconforto - poiché credono di battersi per una buona causa ma si rivelano servi sciocchi dell’ideologia dominante tinta di verde - diverse sono le sensazioni che scaturiscono dall’osservazione del patetico spettacolo offerto dai nostri sinistrati.Scrittori, editorialisti e politici sono eccitatissimi all’idea di spendere due parole sui giornali a sostegno di Ultima generazione, con una foga che sa di remake raccogliticcio degli anni Settanta.A dettare la linea è Matteo Orfini del Pd: «Su questa storia della vernice (lavabile) tirata sul Senato mi pare si stia esagerando. Tre arresti (!) e dichiarazioni che nemmeno di fronte ad atti terroristici. Le istituzioni, quando sono forti, rispondono con il dialogo anche alle provocazioni e alle proteste più dure», ha scritto sui social il sincero democratico. Simile la posizione di Nicola Fratoianni di Sinistra italiana: «La violenza verbale e giustizialista con cui la politica sta rispondendo a queste forme di protesta non pare proporzionata». Ma pensa, si sono ritrovati tutti libertari e garantisti. Viene quasi da pensare che si tratti di una reazione leggermente influenzata dal Qatargate e dal caso Sumahoro: in effetti è molto meno grave gettare vernice sul Senato che gettare discredito sulle istituzioni italiane ed europee come hanno fatto alcuni cari compagni.Suggeriscono di usare il guanto di velluto anche alcuni illustri intellettuali. Lo scrittore Paolo Cognetti sostiene che il vero violento è «chi ignora il pianeta». Sulla Stampa, Annalisa Cuzzocrea scrive che a risultare inaccettabile è la «risposta ottusa della politica che invoca pene esemplari senza fermarsi a riflettere su quanto il mancato ascolto del grido ambientalista stia portando a queste reazioni». In realtà, ad alimentare proteste che nel migliore dei casi sono noiosette e nel peggiore irritanti (vedi il caso dei blocchi stradali a danno dei poveri cristi che vanno al lavoro la mattina), non è il mancato ascolto. Al contrario: l’ossessiva insistenza sulla fine del mondo causata dal cambiamento climatico sta generando un’ansia diffusa di cui certi attivisti isterici sono il termometro.Al di là delle opposte visioni sul cosiddetto ambiente, tuttavia, almeno altri due aspetti di questo tristo dibattito sulla vernice (lavabile, per carità, lavabile!) producono un lieve senso di fastidio. A costo di essere ripetitivi, ci permettiamo di ricordare come furono trattati i portuali di Trieste e numerosi altri onesti lavoratori che - nelle ore più oscure dell’emergenza Covid - tentavano di manifestare a tutela del proprio posto di lavoro. Stefano Puzzer, ad esempio, si mise alla guida di una protesta più che pacifica di portuali il cui scopo era semplicemente quello di chiedere il rispetto di un regolare contratto, senza che arrivassero stravaganti tesserine verdi a cambiare le carte in tavola. Ebbene, come fu trattato il povero Puzzer? Come un terrorista. Prima, assieme ai suoi compagni che se ne stavano serenamente seduti a terra, si prese in faccia i getti degli idranti. Poi gli rifilarono addirittura un daspo per impedirgli di mettere piede nella Capitale. Tutto questo per aver avanzato una richiesta perfettamente ragionevole e sacrosanta, non certo per aver imbrattato una istituzione in nome di una causa fumosetta come «la salvezza del pianeta».Ecco, a noi risulta che da sinistra nessuno si prese la briga di parlare di trattamento sproporzionato, o di provvedimenti eccessivi. Anzi, per lo più i solerti progressisti invocavano manganelli e caroselli polizieschi, tiravano in ballo il terrorismo e chiedevano il pugno di ferro contro i no vax immaginari. Ancora qualche giorno fa, gli stessi giornali che ieri difendevano gli ecologisti lanciavano l’allarme sui «fascisti contro il vaccino».Posto che, a parere di chi scrive, gli ecologisti potrebbero anche cavarsela con una pedata nel sedere e la finissima ripulitura del luogo che hanno sporcato (con aggiunta lettura obbligatoria del libro L’apocalisse può attendere di Michael Shellenberger, ambientalista con sale in zucca), resta curioso che per la sinistra italica gli imbrattatori meritino ascolto e i lavoratori che si battono per lo stipendio e la dignità meritino mazzate.Infine, notiamo come dai ragionamenti progressisti emerga un’altra leggerissima stortura, plasticamente rappresentata dalla prima pagina della Stampa. Il quotidiano torinese ha dedicato un titolone al (probabilmente transitorio) aumento delle bollette del gas: «Il caro energia fa due milioni di poveri». Ovviamente, il ditone era ben puntato contro il governo, colpevole di non proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione dal salasso. Si tratta dello stesso quotidiano che ieri rimarcava la necessità di ascoltare gli ecologisti, e che nei mesi passati ha attaccato a ripetizione (accusandolo di putinismo) chiunque osasse auspicare una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina.Urge rinfrescare la memoria. Se dal 2021 a oggi le bollette sono aumentate lo dobbiamo fondamentalmente a due fattori: in primo luogo, la svolta «verde» imposta dall’Ue che ha fatto salire il prezzo dell’energia. In secondo luogo, la rinuncia agli approvvigionamenti di gas russo. In pratica, i «due milioni di poveri per il caro energia» che La Stampa rinfaccia al governo sono stati prodotti da scelte politiche internazionali che La Stampa ha coraggiosamente appoggiato.A questo punto, ai progressisti non resta che un estremo gesto di coerenza da compiere: dovrebbero, in protesta, cospargersi da soli di vernice. Lavabile, eh, lavabile.
Getty Images
Due treni deragliati nella regione di Leningrado e l’Ucraina rivendica l’attacco. Il monito del Papa: «La gente si svegli, la pace è l’unica risposta alle uccisioni».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
Clicca qui sotto per consultare il programma completo dell'evento con tutti gli ospiti che interverranno sul palco.
Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.