2024-10-31
La campagna elettorale dei piddini: aborto a domicilio in Emilia-Romagna
Pillola abortiva. Nel riquadro Irene Pirolo (Imagoeconomica)
Ok della Regione: la Ru486 sarà consegnata a casa. Provoca effetti collaterali, ma le donne saranno seguite solo via Web. Regalo a Big Pharma e, forse, a chi sfrutta le ragazze o vuole occultare gravidanze indesiderate.Mentre si avvicinano le regionali, il Pd dell’Emilia-Romagna offre un assaggio del suo programma, autorizzando la consegna a casa della pillola abortiva. Benché la Ru486 provochi effetti collaterali, le donne saranno seguite solo in telemedicina. Un favore a Big pharma, a chi sfrutta le ragazze e a chi spera di interrompere una gravidanza indesiderata di nascosto. Con le cure domiciliari - è storia nota - negli anni passati molte forze di governo, soprattutto quelle di sinistra, hanno avuto parecchi problemi, e di conseguenza hanno cercato in tutti i modi di ostacolarle. Con l’aborto a domicilio, invece, di questioni non se ne pongono: anzi, i progressisti brigano con grande energia per incentivarlo. In Emilia-Romagna, per dire, dal primo gennaio del prossimo anno sarà concesso ottenere la pillola abortiva (la famigerata Ru486) anche a domicilio. La Regione ha aggiornato il protocollo per l’interruzione volontaria di gravidanza con una determina risalente al 9 ottobre scorso, sostenendo che «la sicurezza e la tracciabilità dell’intervento» sarebbero comunque garantite poiché «il percorso inizia all’interno dei servizi sanitari in regime ambulatoriale, nell’ambito di una presa in carico complessiva della donna». La procedura dovrebbe prevedere due visite ambulatoriali: la prima utile a effettuare una valutazione generale e ad assumere il primo farmaco; la seconda due settimane dopo l’assunzione della ulteriore pillola, per controllare la situazione ed effettuare un nuovo test di gravidanza. Come riporta Repubblica, le autorità regionali sono fiere di annunciare che le pazienti saranno seguite anche con la telemedicina. E affermano: «Gli studi condotti e le opinioni degli esperti concordano sul fatto che le due modalità, quella chirurgica e quella farmacologica, siano egualmente efficaci quando effettuate nelle settimane iniziali della gravidanza». Certo, è legittimo avere dubbi sulla pertinenza del paragone fra l’aborto farmacologico in casa e le cure domiciliari. Se abbiamo osato formularlo è perché riteniamo che, al fine di comprendere meglio quanto avviene attorno all’interruzione di gravidanza, sia necessario considerare la questione senza moralismi, ma soffermandosi sull’aspetto sanitario della faccenda. Spesso si sente ripetere che le destre vorrebbero attentare al presunto diritto di abortire (che tale non è perché non previsto dalla Costituzione), e che vorrebbero danneggiare la cosiddetta «salute riproduttiva» delle donne. In realtà, né il governo né la maggioranza parlamentare italiana hanno pensato o proposto di limitare l’accesso all’aborto. Al contrario, chi costantemente cerca di forzare i limiti della legge 194 è il fronte progressista, come dimostra la decisione dell’Emilia-Romagna. Curiosamente, i salti in avanti avvengono quasi sempre in sordina. In piena era Covid, l’allora ministro Roberto Speranza sdoganò la somministrazione della pillola abortiva in ambulatorio. Ora, nei pressi delle elezioni regionali e senza troppa pubblicità (oltre che senza una accurata discussione in aula), la Regione rossa per eccellenza va persino oltre. Di fronte a queste evidenze, anche chi ritiene che l’aborto sia legittimo dovrebbe per lo meno ragionare su due punti. Il primo è il favore che si fa alle case farmaceutiche: incentivare ulteriormente l’uso della pillola (già prevalente in Emilia-Romagna e a Bologna rispetto all’aborto chirurgico) serve prima di tutto ad alimentare un già robusto giro di affari. Il secondo punto tocca la salute delle donne: dato che anche i recenti report ministeriali sull’interruzione di gravidanza mostrano che gli eventi avversi sono più numerosi con la Ru486, davvero si fa un favore alla popolazione femminile eliminando il passaggio in ospedale? La sensazione è che consegnare un farmaco sia un modo per ridurre i ricoveri e il monitoraggio e dunque i costi. Non passa giorno senza che da sinistra non si lamentino per lo stato della sanità, per la carenza di posti letto e personale disponibile. Dobbiamo dedurne che i posti in clinica e la presenza di medici siano utili per tutto (per l’influenza, ad esempio) tranne che per l’interruzione di gravidanza. Semplifichiamo: se una donna si buscasse una polmonite, si sentirebbe probabilmente molto meno sicura se si trovasse costretta a ricorrere alla telemedicina, cioè se un medico la seguisse via chat o computer. Perché allora dovrebbe sentirsi confortata se lo stesso avvenisse con l’aborto?Dato che da sinistra, poi, insistono sua semplificazione delle procedure, viene da chiedersi a che cosa serva realmente. Forse a garantire segretezza e anonimato? Molto probabile. E chi dovrebbe trarne vantaggio? Forse ragazzine (e ragazzini maschi, almeno teoricamente coinvolti) che potranno liberarsi velocemente del fardello all’insaputa dei genitori? O forse donne straniere o lavoratrici del sesso che potranno rapidamente tornare a compiacere mariti opprimenti o sfruttatori? Sono domande poste in buona fede, che meriterebbero una risposta seria e che invece vengono costantemente eluse. Non sorprende: oggi va di moda chiamare «diritto» ciò che si intende imporre senza sentire le ragioni altrui, e senza consentire troppi ragionamenti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)