2022-03-04
Centrodestra umiliato: casa, sì alle tasse
Delitto perfetto in commissione alla Camera sulla riforma del catasto. L’impuntatura del governo fa saltare ogni intesa. Grillini e Pd rieditano il Conte bis e festeggiano per un solo voto. Decisivo Alessandro Colucci, amico di Maurizio Lupi. Silvio Berlusconi e Lega: « La casa non si tocca».Ora la battaglia si sposta in Aula. Se ci sarà fiducia si rischia il caos. Il centrodestra ritrova l’unità. Giorgia Meloni: «Patrimoniale nascosta per stangare gli italiani».Lo speciale comprende due articoli. Il governo di Mario Draghi, su questo sempre più simile all’esecutivo di Mario Monti o al secondo gabinetto di Giuseppe Conte, ha caricato una pistola, e un futuro governo potrebbe usare l’arma contro i contribuenti.L’impuntatura del governo ha fatto saltare ogni intesa, e ha preteso il voto per respingere la richiesta, avanzata dalla Lega e dal centrodestra, di stralciare, cioè di abrogare, l’articolo 6 della delega, quello sul catasto. L’operazione, come vedremo, è riuscita per un solo voto, 23 contro 22. Ora si andrà in Aula (c’è da temere, con la frusta della fiducia: altra anomalia inaccettabile su una legge delega). Mentre la battaglia campale avverrà al Senato, ultimo baluardo contro il rischio di un’ulteriore stangata ai danni dei contribuenti. «Con i costi dell’energia alle stelle e l’inflazione ai massimi storici, in un momento di grande preoccupazione per la guerra alle porte e con il Covid che ancora fa paura, la sinistra impone al governo di aumentare le tasse sulla casa. Non abbiamo parole», dice una nota congiunta Lega e Fi. E appare lunare il tentativo di Enrico Letta di rovesciare la frittata: «Mentre alle porte dell’Europa l’avanzata russa spaventa la resistenza ucraina, in Italia diversi partiti parlano di ultimatum sul catasto». Il segretario del Pd ha ribadito il concetto a fine giornata: «Il centrodestra ha cercato di far cadere il governo […] in uno dei giorni più drammatici della nostra storia». Peccato che le cose stiano esattamente al contrario di come le racconta Letta: non sono stati i partiti a minacciare il governo, ma il governo a ricattare il Parlamento, attraverso la sottosegretaria (area Articolo uno/Leu) Maria Cecilia Guerra, che ha esplicitamente definito «dirimente» il tema del catasto, aggiungendo che «se l’articolo 6 non è approvato, si ritiene conclusa l’esperienza di governo». E già qui c’è da impazzire: possibile che in Italia la politica sanitaria sia sequestrata da Roberto Speranza e quella fiscale venga tenuta in ostaggio da un’amica dello stesso Speranza e di Pierluigi Bersani? Sta di fatto che, avendo la Lega tenuto il punto, ieri è stata una giornata di serrate trattative su una riformulazione ragionevole (sostenuta dalla stessa Lega e dal centrodestra) che avrebbe reso innocuo il testo, attraverso non una vaga e inconsistente «rassicurazione» (quella ventilata la sera precedente da Palazzo Chigi), ma sulla base di un impegno scritto ed esplicito a non determinare effetti fiscali peggiorativi. Appena è circolata questa ipotesi, è scattata la furia del Pd, che (insieme a Iv-Leu-Azione-M5s) ha fatto sapere che la proposta del centrodestra sarebbe stata accettabile solo nel caso in cui fosse stata reinserita la mappatura dei valori di mercato, sia pure - aggiungeva pudicamente, ma chi avrebbe potuto crederci? - senza finalità fiscali. Azzeccato il commento del leghista Claudio Borghi: «E qui finisce la menzogna che l’interesse fossero gli immobili fantasma».Poi le agenzie hanno battuto notizie su uno stravagante via vai di esponenti politici a Palazzo Chigi, e di una riunione nella sede del governo. Situazione istituzionalmente grave: anziché discutere nella sede propria, cioè in Parlamento, si confezionava altrove la soluzione da paracadutare in Commissione. Perfino al presidente della commissione Finanze, Luigi Marattin, (che ha avuto il grave torto di prestarsi a questo spettacolo) deve esser parso troppo, al punto da chiedere di interrompere la riunione e tornare alla Camera. Dove l’incontro tra governo e maggioranza è proseguito (con la partecipazione, non si sa a che titolo, del solito professor Francesco Giavazzi). L’esito del vertice è stata la forzatura di cui si diceva all’inizio. Ogni ipotesi di mediazione è saltata, e si è andati al voto sull’emendamento per lo stralcio. Motivata la rabbia della Lega: «Non accettiamo l’aggiornamento costante dei valori di mercato che significa più tasse».Alla ripresa dei lavori, alla Lega non è stato consentito né di proporre nuovi emendamenti né di ottenere risposte dal governo. E si è arrivati a un voto drammatico: in teoria, sommando il centrodestra e gli ex grillini, si partiva da un 23 pari, ma a far pesare la bilancia a favore del Pd è stato il voto politicamente gravissimo di Alessandro Colucci (Noi con l’Italia, la microformazione di Maurizio Lupi), qualcuno sospetta anche con l’incoraggiamento silenzioso dell’ala governativa di Fi. Risultato: 23-22. La Lega, per protesta, ha abbandonato i lavori della Commissione, come annunciato dal capogruppo Giulio Centemero e dal vicepresidente Alberto Gusmeroli. I leghisti preannunciano battaglia in Aula e poi al Senato. Duro Galeazzo Bignami (Fdi): «Inconcepibile che Lega e Fi sostengano un governo che rigetta tutte le loro proposte». E a testimoniare il posizionamento ambiguo dei ministri di Fi è arrivata in serata una nota esplosiva di Renato Brunetta che ha definito «incomprensibile» il voto del suo partito. Nel merito, si tratta di un esito pericolosissimo per i contribuenti. Va ricordato che anche ai fini del Pnrr il tema del catasto non era vincolante: e semmai era una «analisi tecnico-normativa» del Mef, allegata alla riforma, ad ammettere possibili effetti fiscali peggiorativi per i proprietari. Nel metodo, è paradossale il modo in cui il governo tratta il Parlamento. E i 59 applausi riservati a Sergio Mattarella, al momento della rielezione, specie per i passaggi relativi alla centralità del Parlamento, suonano a questo punto come un’autentica beffa.Quanto all’uso dell’Ucraina come pretesto, ha ragione il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa: «Disgusto per chi ha usato la guerra» per questa accelerazione. Politicamente, la giornata racconta lo schiacciamento del governo sul Pd e sulla linea pro tasse, la subordinazione dei grillini al Pd, e una Fi divisa tra la lealtà al centrodestra e un’ala governativa totalmente allineata a Palazzo Chigi (da registrare anche una telefonata di Mario Draghi a Silvio Berlusconi prima del voto decisivo in cui il Cav avrebbe ribadito: «Mai nuove tasse sulla casa»). L’amico di Lupi - spontaneamente o spintaneamente - ha fatto il resto: e ora, grazie a lui, Pd e tassatori festeggiano. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sinistra-e-m5s-votano-le-tasse-con-draghi-2656838005.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ora-la-battaglia-si-sposta-in-aula-se-ci-sara-fiducia-si-rischia-il-caos" data-post-id="2656838005" data-published-at="1646353977" data-use-pagination="False"> Ora la battaglia si sposta in Aula. Se ci sarà fiducia si rischia il caos Sulla riforma del catasto, la ritrovata unità del centrodestra nulla ha potuto contro il blocco giallorosso e la disinvoltura di qualche centrista. In commissione Finanze della Camera, infatti, l’aggiornamento degli estimi catastali contenuto nella delega fiscale e fortemente voluto dal premier Mario Draghi è passato nonostante le richieste di Lega, FI e Fdi di stralciarlo dal provvedimento. O almeno di riformularne la portata, escludendo ogni ipotesi futura di aumento delle tasse sulla casa. Il risultato della conta - che gli esponenti del centrodestra di governo avevano tentato di scongiurare - è stato di 22 voti a favore e 23 contrari all’emendamento presentato del Carroccio con cui si chiedeva lo stralcio dell’articolo 6, riguardante appunto l’adeguamento degli estimi. Un risultato che sarebbe comunque stato favorevole al centrodestra se il deputato Alessandro Colucci, di Nci, non avesse deciso a sorpresa di ritirare la firma dall’emendamento e votare assieme al centrosinistra. Al netto delle giravolte, decisiva è stata la linea intransigente assunta sin dall’inizio dalla sinistra, che ha indotto Palazzo Chigi a stoppare il tentativo di mediazione che si era protratto per tutta la giornata tra contatti e riunioni nella sede del governo. Una scelta che ha meravigliato anzitutto i negoziatori di Forza Italia, che avevano lavorato assieme al capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, a un testo alternativo, incoraggiati anche da una telefonata che nel frattempo c’era stata tra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi, in cui i due avrebbero convenuto sulla necessità di un accordo di maggioranza. Lega e Fi, poi, hanno affidato a una velina fatta circolare congiuntamente la propria amarezza. Lo stesso Matteo Salvini ha rincarato la dose, dicendosi «esterrefatto» per l’accaduto e chiedendo un faccia a faccia chiarificatore con Draghi stupito dall’insistenza del premier su questo punto. Anche se, stando alle parole del sottosegretario al Mef, Federico Freni, nonostante il voto sulla riforma del catasto «la Lega garantisce e rinnova il suo pieno appoggio al governo». Malgrado il leghista Massimo Bitonci tenda a precisare: «Da oggi mani libere sul fisco, votiamo le nostre proposte con chi ci sta». Dura, ovviamente, Giorgia Meloni, che ha parlato di «governo a traino Pd», e di «patrimoniale nascosta» per «stangare gli italiani». Enrico Letta, da parte sua, ha esultato su Twitter un secondo dopo il voto: «Il centrodestra», ha scritto, «ha appena tentato di far cadere il governo ma non vi è riuscito per un soffio. Abbiamo tenuto». Nel punto di caduta individuato dal capogruppo azzurro in commissione Antonio Martino e messo nero su bianco sotto forma di emendamento sostitutivo dell’articolo 6, il focus era stato spostato dall’aggiornamento generale dei valori catastali all’emersione degli immobili fantasma e agli incentivi per realizzarla. Per fare spazio alla mediazione il presidente della commissione, Luigi Marattin (di Italia viva), aveva più volte rinviato l’inizio della seduta recandosi anch’esso a Palazzo Chigi ma le riunioni tra gli esponenti di Fi (oltre a Martino, il capogruppo Paolo Barelli e Alessandro Cattaneo) e le controparti si sono tutte scontrate con l’indisponibilità ad ammorbidire o almeno a differire la riforma. La strada del provvedimento, in ogni caso, è ancora lunga: una volta finito l’esame degli emendamenti, la delega è attesa alla prova dell’aula, dove approderà il 28 marzo. Poi sarà la volta del Senato, dove i diversi rapporti di forza tra centrodestra e centrosinistra potrebbero favorire altri tentativi di correzione. A meno che Draghi non decidesse di porre l’ennesima fiducia sul provvedimento. Sarebbe anomalo, ma non impossibile (ma a rischio imboscata). Infine, dopo l’approvazione definitiva il governo dovrà approvare una serie di decreti legislativi.
Jose Mourinho (Getty Images)