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2023-10-27
Siemens energy vuole aiuti statali per tamponare il flop pale eoliche
Nuova frana in Borsa, ieri, per Siemens energy. Il prezzo delle azioni della compagnia è crollato di oltre il 30% in un giorno, dopo che il gruppo ha rivelato di essere in trattative con il governo tedesco, guidato da Olaf Scholz, per ottenere garanzie finanziarie, confermando quanto anticipato da Der Spiegel. La notizia è deflagrata in Borsa a Francoforte, dove il titolo è precipitato con un calo delle quotazioni che ha sfiorato il 40%, pari a una perdita di valore di oltre 3 miliardi. L’indice Dax ha toccato il minimo da nove mesi a questa parte.
Nel suo comunicato stampa, la compagnia afferma che Siemens Gamesa mostrerà nel 2024 minori ordini e minori ricevi, oltre che una peggiorata situazione di cassa. «Il comitato esecutivo sta valutando varie misure per rafforzare il bilancio di Siemens energy ed è in trattative preliminari con diverse parti interessate, tra cui partner bancari e il governo tedesco, per garantire l’accesso a un volume crescente di garanzie necessarie per facilitare la prevista forte crescita», dice l’azienda nella nota. Le garanzie sarebbero a supporto dei «progetti a lungo termine», ma è evidente che la richiesta al governo rappresenta un segnale di debolezza.
Un brutto colpo per la compagnia, che già a giugno, al primo annuncio delle difficoltà di Siemens Gamesa sui costi straordinari delle manutenzioni degli impianti eolici già installati, aveva subito un tracollo in Borsa vicino al 37%. Con i valori di ieri, dai massimi di fine maggio scorso il titolo ha perso oltre il 70% del suo valore.
I guai di Siemens Gamesa ora investono tutto il gruppo Siemens e sono diventati un problema serio. Il gruppo conta quasi 100.000 dipendenti ed è attivo anche nei sistemi di reti elettriche, nella componentistica elettrica e nelle turbine a gas. Questi settori sono profittevoli, per l’azienda, ma il disastro nel settore eolico è travolgente. È persino difficile stimare i costi legati alla sostituzione o riparazione delle turbine difettose, mentre in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, sarebbero in preparazione cause collettive contro il colosso tedesco per i problemi sull’eolico. Il sistema bancario tedesco chiede dunque maggiori garanzie sui finanziamenti, dopo la pessima performance della filiale attiva nell’eolico. L’intervento del governo tedesco, che fornirebbe garanzie aggiuntive, diventa necessario per evitare guai peggiori.
Nonostante la spinta gigantesca in atto in Germania e in tutta Europa per sviluppare le fonti rinnovabili di energia, nonostante i sussidi e i prezzi record dell’energia elettrica registrati nell’ultimo anno e mezzo, molte aziende del settore faticano a camminare con le loro gambe. Ormai non si contano più le rinunce a progetti e investimenti, dettati sia dall’aumento dei tassi di interesse, che richiede una profittabilità maggiore per i piani già approvati, sia dall’aumento dei costi delle materie prime.
La transizione energetica si rivela sempre più fragile e c’è chi comincia a parlare di bolla finanziaria. Soprattutto senza il supporto dei governi, dunque senza denaro pubblico, sembra proprio che la transizione non riesca a decollare.
Il governo tedesco si appresterebbe, ancora una volta, ad aiutare le aziende nazionali, in deroga alla normativa europea sugli aiuti di Stato, che per il momento è sospesa sino al 31 dicembre di quest’anno. Data la complessità delle operazioni, è tuttavia prevedibile che il supporto statale arriverà nel 2024, dunque con il divieto di aiuti di Stato di nuovo in vigore. Ecco perché la Germania, assieme alla Francia, sta facendo pressione sulla Commissione perché proroghi di un anno la sospensione del divieto. Gli Stati che hanno spazio fiscale saranno dunque avvantaggiati, rispetto a chi (come l’Italia) non ne ha. Una evidente disparità, l’ennesima, tra Stati membri. Come nella Fattoria degli animali di George Orwell, tutti gli Stati sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri.
Per Bruxelles e le sue ambizioni di decarbonizzare tutto nel giro di pochi anni arriva anche un altro brutto colpo. La grande compagnia petrolifera angloolandese Shell ha annunciato l’intenzione di tagliare almeno il 15% della forza lavoro nella sua divisione di soluzioni a basse emissioni di carbonio e di ridimensionare il business dell’idrogeno. L’amministratore delegato Wael Sawan, alla guida della compagnia da nove mesi, intende infatti aumentare i profitti e tagliare i business in perdita. Per cui la società si concentrerà sulla stabilizzazione della produzione di petrolio e sull’aumento della produzione di gas naturale. «Stiamo trasformando la nostra attività Low carbon solutions (Lcs) per rafforzarne la portata nelle nostre principali aree di business a basse emissioni di carbonio, come i trasporti e l’industria», ha affermato la società in una nota. È soprattutto nel settore dell’idrogeno per auto che si concentreranno i tagli. La società afferma di essere comunque impegnata nella transizione e di voler solo cambiare il percorso per arrivare alle emissioni zero. Sarà, ma intanto senza petrolio e gas non si fa molta strada.
Fabbriche ferme in Italia. Ma Stellantis compra il 20% della cinese Leapmotor
Sempre meno Italia e più Cina nel gruppo Stellantis. Ieri il gruppo nato dall’unione tra Psa e Fca ha fatto sapere che investirà circa 1,5 miliardi di euro per acquisire all’incirca il 20% di Leapmotor, di cui il gruppo guidato dall’ad Carlos Tavares diventerà un azionista importante. L’accordo, spiega una nota congiunta, prevede anche la costituzione di Leapmotor international, una joint venture in quote 51:49 guidata da Stellantis, con i diritti esclusivi per l’esportazione e la vendita, nonché la fabbricazione dei prodotti Leapmotor fuori dalla Cina. Questo accordo segna la prima partnership globale nel settore dei veicoli elettrici tra una casa automobilistica tra le più importanti al mondo e una casa cinese specializzata in «neighborhood electric vehicles», veicoli elettrici di prossimità urbana.In poche parole, Stellantis sta abbandonando la logica della produzione in Europa (in particolare in Italia) per portare la produzione a Pechino e dintorni. Non è un caso, insomma, se la partnership mira a incrementare ulteriormente le vendite di Leapmotor in Cina, il più grande mercato del mondo, sfruttando la consolidata presenza commerciale di Stellantis sul piano internazionale per accelerare in modo significativo le vendite del marchio Leapmotor in altre regioni, a partire dall’Europa. Il gruppo di Tavares, insomma, intende sfruttare l’ecosistema di veicoli elettrici di Leapmotor in Cina, altamente innovativo ed efficiente in termini di costi, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi chiave di elettrificazione fissati nel piano Dare Forward 2030, rimanendo aperta a esplorare ulteriori sinergie reciprocamente vantaggiose. Ma, mentre Stellantis investe direttamente sul mercato cinese puntando sulla produzione locale, in Italia, nello stabilimento di Melfi, la produzione continua ad andare a singhiozzo. L’ultima volta si è fermata il 23 ottobre a causa della mancanza di componenti. In realtà il problema è che la conversione verso la produzione di veicoli elettrici comporta una riduzione importante dell’occupazione che non piace di certo alle unioni dei lavoratori. Per quanto riguarda Melfi, Stellantis ha fatto sapere che nell’impianto lucano verranno prodotti cinque nuovi modelli elettrici basati sulla piattaforma Stla medium. Tra questi dovrebbe esserci la nuova Lancia gamma, futura ammiraglia del brand premium di Stellantis, due auto di Ds automobiles, la nuova Opel manta e la erede di Jeep compass. Per quanto riguarda invece la Fiat 500X, la sua produzione cesserà definitivamente entro la fine del 2024. Stessa sorte toccherà anche alla Jeep renegade ma nel 2025. Il punto è che tutto questo non è sufficiente a giustificare gli attuali livelli occupazionali e il gruppo sta persino incoraggiando i dipendenti a lasciare l’azienda. Non solo quelli delle catene produttive, ma anche quelli che lavorano negli uffici. Al contrario, in Cina gli investimenti fioccano. La joint venture inizierà le consegne nella seconda metà del 2024. Le due realtà ritengono che l’offerta di prodotti elettrici di Leapmotor sia complementare rispetto all’attuale tecnologia e al portafoglio di marchi iconici di Stellantis e che porterà in dote ai clienti in tutto il mondo soluzioni di mobilità più accessibili. Il gruppo di Tavares e John Elkann avrà dunque due posti nel cda di Leapmotor e nominerà l’amministratore delegato della joint venture Leapmotor international. «Con il consolidamento delle start up di veicoli elettrici in Cina, diventa sempre più evidente che i segmenti mainstream in Cina saranno dominati da una cerchia di player di nuova generazione nel settore degli Ev efficienti e agili, come Leapmotor», ha dichiarato Tavares. «Riteniamo che sia il momento giusto per assumere un ruolo di primo piano nel sostenere i piani di espansione globale di Leapmotor, uno dei nuovi operatori Ev più interessanti sul mercato, con una mentalità imprenditoriale e tecnologica simile alla nostra. Grazie a questo investimento strategico, andiamo a rafforzare un nostro punto debole nel modello di business e a beneficiare della competitività di Leapmotor in Cina e all’estero», ha detto. «Voglio ringraziare il signor Zhu Jiangming e i team delle nostre grandi aziende, che con livelli eccezionali di leadership e collaborazione hanno reso possibile questa nuova opportunità di partnership preziosa per entrambi», ha concluso. «Oggi abbiamo posto una pietra miliare nella storia di Leapmotor e sono entusiasta di essere testimone di questo momento storico insieme con Carlos Tavares e al suo team», ha aggiunto Zhu Jiangming, fondatore e amministratore delegato di Leapmotor. «Facendo leva su una ineguagliabile gamma di capacità tecnologiche interne, Leapmotor porta sul mercato i migliori prodotti elettrici della categoria in modo economicamente competitivo. Crediamo fortemente nelle partnership win-win dove attori con straordinarie capacità uniscono le proprie competenze all’interno di un ambiente in rapida evoluzione. Insieme con Stellantis, continueremo nel solco dell’innovazione e della creatività, creando preziose sinergie tecnologiche e commerciali e portando le auto Ev Leapmotor sui mercati di tutto il mondo».La ricchezza della Cina in fatto di materie prime può essere una manna dal cielo per i grandi gruppi che si sono gioco forza votati alla produzione di veicoli elettrici. Il problema è che, in questo modo, gran parte della produzione europea rischia di finire in terra cinese, provocando un ennesimo colpo all’occupazione europea.
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Il gruppo chiede all’esecutivo tedesco garanzie finanziarie: colpa delle perdite legate alle rinnovabili. E Shell annuncia tagli alla divisione sulle basse emissioni. La transizione verde dell’Europa è un fallimento. L’intesa da 1,5 miliardi prevede anche una joint venture per l’esportazione dei veicoliIntanto a Melfi la produzione va a singhiozzo per la mancanza di componenti. Lo speciale contiene due articoli.Nuova frana in Borsa, ieri, per Siemens energy. Il prezzo delle azioni della compagnia è crollato di oltre il 30% in un giorno, dopo che il gruppo ha rivelato di essere in trattative con il governo tedesco, guidato da Olaf Scholz, per ottenere garanzie finanziarie, confermando quanto anticipato da Der Spiegel. La notizia è deflagrata in Borsa a Francoforte, dove il titolo è precipitato con un calo delle quotazioni che ha sfiorato il 40%, pari a una perdita di valore di oltre 3 miliardi. L’indice Dax ha toccato il minimo da nove mesi a questa parte. Nel suo comunicato stampa, la compagnia afferma che Siemens Gamesa mostrerà nel 2024 minori ordini e minori ricevi, oltre che una peggiorata situazione di cassa. «Il comitato esecutivo sta valutando varie misure per rafforzare il bilancio di Siemens energy ed è in trattative preliminari con diverse parti interessate, tra cui partner bancari e il governo tedesco, per garantire l’accesso a un volume crescente di garanzie necessarie per facilitare la prevista forte crescita», dice l’azienda nella nota. Le garanzie sarebbero a supporto dei «progetti a lungo termine», ma è evidente che la richiesta al governo rappresenta un segnale di debolezza. Un brutto colpo per la compagnia, che già a giugno, al primo annuncio delle difficoltà di Siemens Gamesa sui costi straordinari delle manutenzioni degli impianti eolici già installati, aveva subito un tracollo in Borsa vicino al 37%. Con i valori di ieri, dai massimi di fine maggio scorso il titolo ha perso oltre il 70% del suo valore.I guai di Siemens Gamesa ora investono tutto il gruppo Siemens e sono diventati un problema serio. Il gruppo conta quasi 100.000 dipendenti ed è attivo anche nei sistemi di reti elettriche, nella componentistica elettrica e nelle turbine a gas. Questi settori sono profittevoli, per l’azienda, ma il disastro nel settore eolico è travolgente. È persino difficile stimare i costi legati alla sostituzione o riparazione delle turbine difettose, mentre in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, sarebbero in preparazione cause collettive contro il colosso tedesco per i problemi sull’eolico. Il sistema bancario tedesco chiede dunque maggiori garanzie sui finanziamenti, dopo la pessima performance della filiale attiva nell’eolico. L’intervento del governo tedesco, che fornirebbe garanzie aggiuntive, diventa necessario per evitare guai peggiori.Nonostante la spinta gigantesca in atto in Germania e in tutta Europa per sviluppare le fonti rinnovabili di energia, nonostante i sussidi e i prezzi record dell’energia elettrica registrati nell’ultimo anno e mezzo, molte aziende del settore faticano a camminare con le loro gambe. Ormai non si contano più le rinunce a progetti e investimenti, dettati sia dall’aumento dei tassi di interesse, che richiede una profittabilità maggiore per i piani già approvati, sia dall’aumento dei costi delle materie prime. La transizione energetica si rivela sempre più fragile e c’è chi comincia a parlare di bolla finanziaria. Soprattutto senza il supporto dei governi, dunque senza denaro pubblico, sembra proprio che la transizione non riesca a decollare.Il governo tedesco si appresterebbe, ancora una volta, ad aiutare le aziende nazionali, in deroga alla normativa europea sugli aiuti di Stato, che per il momento è sospesa sino al 31 dicembre di quest’anno. Data la complessità delle operazioni, è tuttavia prevedibile che il supporto statale arriverà nel 2024, dunque con il divieto di aiuti di Stato di nuovo in vigore. Ecco perché la Germania, assieme alla Francia, sta facendo pressione sulla Commissione perché proroghi di un anno la sospensione del divieto. Gli Stati che hanno spazio fiscale saranno dunque avvantaggiati, rispetto a chi (come l’Italia) non ne ha. Una evidente disparità, l’ennesima, tra Stati membri. Come nella Fattoria degli animali di George Orwell, tutti gli Stati sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri.Per Bruxelles e le sue ambizioni di decarbonizzare tutto nel giro di pochi anni arriva anche un altro brutto colpo. La grande compagnia petrolifera angloolandese Shell ha annunciato l’intenzione di tagliare almeno il 15% della forza lavoro nella sua divisione di soluzioni a basse emissioni di carbonio e di ridimensionare il business dell’idrogeno. L’amministratore delegato Wael Sawan, alla guida della compagnia da nove mesi, intende infatti aumentare i profitti e tagliare i business in perdita. Per cui la società si concentrerà sulla stabilizzazione della produzione di petrolio e sull’aumento della produzione di gas naturale. «Stiamo trasformando la nostra attività Low carbon solutions (Lcs) per rafforzarne la portata nelle nostre principali aree di business a basse emissioni di carbonio, come i trasporti e l’industria», ha affermato la società in una nota. È soprattutto nel settore dell’idrogeno per auto che si concentreranno i tagli. La società afferma di essere comunque impegnata nella transizione e di voler solo cambiare il percorso per arrivare alle emissioni zero. Sarà, ma intanto senza petrolio e gas non si fa molta strada.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/siemens-energy-vuole-aiuti-statali-2666078360.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fabbriche-ferme-in-italia-ma-stellantis-compra-il-20-della-cinese-leapmotor" data-post-id="2666078360" data-published-at="1698353008" data-use-pagination="False"> Fabbriche ferme in Italia. Ma Stellantis compra il 20% della cinese Leapmotor Sempre meno Italia e più Cina nel gruppo Stellantis. Ieri il gruppo nato dall’unione tra Psa e Fca ha fatto sapere che investirà circa 1,5 miliardi di euro per acquisire all’incirca il 20% di Leapmotor, di cui il gruppo guidato dall’ad Carlos Tavares diventerà un azionista importante. L’accordo, spiega una nota congiunta, prevede anche la costituzione di Leapmotor international, una joint venture in quote 51:49 guidata da Stellantis, con i diritti esclusivi per l’esportazione e la vendita, nonché la fabbricazione dei prodotti Leapmotor fuori dalla Cina. Questo accordo segna la prima partnership globale nel settore dei veicoli elettrici tra una casa automobilistica tra le più importanti al mondo e una casa cinese specializzata in «neighborhood electric vehicles», veicoli elettrici di prossimità urbana.In poche parole, Stellantis sta abbandonando la logica della produzione in Europa (in particolare in Italia) per portare la produzione a Pechino e dintorni. Non è un caso, insomma, se la partnership mira a incrementare ulteriormente le vendite di Leapmotor in Cina, il più grande mercato del mondo, sfruttando la consolidata presenza commerciale di Stellantis sul piano internazionale per accelerare in modo significativo le vendite del marchio Leapmotor in altre regioni, a partire dall’Europa. Il gruppo di Tavares, insomma, intende sfruttare l’ecosistema di veicoli elettrici di Leapmotor in Cina, altamente innovativo ed efficiente in termini di costi, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi chiave di elettrificazione fissati nel piano Dare Forward 2030, rimanendo aperta a esplorare ulteriori sinergie reciprocamente vantaggiose. Ma, mentre Stellantis investe direttamente sul mercato cinese puntando sulla produzione locale, in Italia, nello stabilimento di Melfi, la produzione continua ad andare a singhiozzo. L’ultima volta si è fermata il 23 ottobre a causa della mancanza di componenti. In realtà il problema è che la conversione verso la produzione di veicoli elettrici comporta una riduzione importante dell’occupazione che non piace di certo alle unioni dei lavoratori. Per quanto riguarda Melfi, Stellantis ha fatto sapere che nell’impianto lucano verranno prodotti cinque nuovi modelli elettrici basati sulla piattaforma Stla medium. Tra questi dovrebbe esserci la nuova Lancia gamma, futura ammiraglia del brand premium di Stellantis, due auto di Ds automobiles, la nuova Opel manta e la erede di Jeep compass. Per quanto riguarda invece la Fiat 500X, la sua produzione cesserà definitivamente entro la fine del 2024. Stessa sorte toccherà anche alla Jeep renegade ma nel 2025. Il punto è che tutto questo non è sufficiente a giustificare gli attuali livelli occupazionali e il gruppo sta persino incoraggiando i dipendenti a lasciare l’azienda. Non solo quelli delle catene produttive, ma anche quelli che lavorano negli uffici. Al contrario, in Cina gli investimenti fioccano. La joint venture inizierà le consegne nella seconda metà del 2024. Le due realtà ritengono che l’offerta di prodotti elettrici di Leapmotor sia complementare rispetto all’attuale tecnologia e al portafoglio di marchi iconici di Stellantis e che porterà in dote ai clienti in tutto il mondo soluzioni di mobilità più accessibili. Il gruppo di Tavares e John Elkann avrà dunque due posti nel cda di Leapmotor e nominerà l’amministratore delegato della joint venture Leapmotor international. «Con il consolidamento delle start up di veicoli elettrici in Cina, diventa sempre più evidente che i segmenti mainstream in Cina saranno dominati da una cerchia di player di nuova generazione nel settore degli Ev efficienti e agili, come Leapmotor», ha dichiarato Tavares. «Riteniamo che sia il momento giusto per assumere un ruolo di primo piano nel sostenere i piani di espansione globale di Leapmotor, uno dei nuovi operatori Ev più interessanti sul mercato, con una mentalità imprenditoriale e tecnologica simile alla nostra. Grazie a questo investimento strategico, andiamo a rafforzare un nostro punto debole nel modello di business e a beneficiare della competitività di Leapmotor in Cina e all’estero», ha detto. «Voglio ringraziare il signor Zhu Jiangming e i team delle nostre grandi aziende, che con livelli eccezionali di leadership e collaborazione hanno reso possibile questa nuova opportunità di partnership preziosa per entrambi», ha concluso. «Oggi abbiamo posto una pietra miliare nella storia di Leapmotor e sono entusiasta di essere testimone di questo momento storico insieme con Carlos Tavares e al suo team», ha aggiunto Zhu Jiangming, fondatore e amministratore delegato di Leapmotor. «Facendo leva su una ineguagliabile gamma di capacità tecnologiche interne, Leapmotor porta sul mercato i migliori prodotti elettrici della categoria in modo economicamente competitivo. Crediamo fortemente nelle partnership win-win dove attori con straordinarie capacità uniscono le proprie competenze all’interno di un ambiente in rapida evoluzione. Insieme con Stellantis, continueremo nel solco dell’innovazione e della creatività, creando preziose sinergie tecnologiche e commerciali e portando le auto Ev Leapmotor sui mercati di tutto il mondo».La ricchezza della Cina in fatto di materie prime può essere una manna dal cielo per i grandi gruppi che si sono gioco forza votati alla produzione di veicoli elettrici. Il problema è che, in questo modo, gran parte della produzione europea rischia di finire in terra cinese, provocando un ennesimo colpo all’occupazione europea.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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