2024-09-09
Si uccide anche per il piacere di far del male
Moussa Sangare, il 31enne italiano fermato per l'omicidio di Sharon Verzen (Ansa)
Ogni delitto ha un movente, che però non va banalizzato. Il ragazzo che ha sterminato la famiglia è stato mosso da una malintesa idea di libertà. L’omicida di Sharon, invece, voleva sentirsi più forte sopprimendo chi percepiva come culturalmente superiore a sé.«Gnagnera» sta per prurito, fastidio, ma anche capriccio. Uccidere per rapinare, per liberarsi di obblighi, per liberarsi del dolore di essere stati piantati, sono crimini terribili, ma comunque meno gravi che uccidere per «levarsi la gnagnera». In questo momento le cronache sono piene di due delitti «incomprensibili». Un diciassettenne ha sterminato la sua famiglia, un trentenne ha ucciso una donna che non conosceva. Con grande superficialità questi due delitti sono messi sullo stesso piano, e accomunati da una frase senza senso: e cioè che siano stati delitti senza motivazione. Nessuna azione umana è senza motivazione: ogni nostra azione, anche la più apparentemente banale, ha due possibili motivazioni: allontanarsi dal dolore o avvicinarsi al piacere. Se fa molto caldo cercherò di andare all’ombra, mi allontano dal calore eccessivo che è un dolore e mi avvicino all’ombra che è un piacere. Se mi espongo al dolore, è per evitare un dolore che in quel momento mi sembra più grave. Le persone che si fanno i tagli orizzontali sul braccio, stanno evitando un danno maggiore, una perdita del senso di identità, dato che il dolore subito sulla cute e sul sottocute ci fa produrre endorfine, è quindi una specie di brutale automedicazione. Tra le teorie filosofiche più stupide c’è la teoria del buon selvaggio di Rousseau. L’uomo non nasce istintivamente buono. Il buon selvaggio è il mito fondatore dell’illuminismo, del marxismo con relativi figli e figliastri, del ’68 e della cultura woke. L’uomo nasce conservando dentro di sé la potenzialità del sadismo e della violenza più totale. Nel momento in cui gli sia offerta l’occasione (odio contro l’aristocratico, il vandeano, il borghese, l’armeno, l’ebreo, il non vaccinato) questo sadismo esplode. La teoria del buon selvaggio ha causato gli stermini più spaventosi in termini numerici, quelli delle dittature comuniste, da Stalin a Pol Pot passando da Mao. Negli anfiteatri romani, sono state assassinate circa 6 milioni di persone. La morte era sempre dolorosa, potevano essere sbranate, bruciate vive, oppure ustionate a morte all’interno di un enorme toro di ferro messo sul fuoco. Gli spettacoli dei gladiatori avevano almeno una parvenza epica ed erano comunque tra maschi adulti e amati. Nel gladiatore vincitore, ci si poteva identificare. In tutti gli altri casi c’era il brutale piacere di vedere un altro soffrire: dato che lui sta soffrendo e noi no, questo ci può far sentire più forti. E lo stesso schema di trasmissioni comiche dove si ride di persone che cadono. Dove non ci sia una educazione, un addestramento a non godere del dolore degli altri, questo meccanismo ancestrale permane. La motivazione ufficiale del diciassettenne che ha assassinato la sua famiglia è essere libero. La sua motivazione quindi è diminuire il dolore di essere ripreso, di subire ordini. Un’enorme percentuale di delitti avviene in famiglia, come è inevitabile che sia, perché la famiglia è un luogo di relazioni. Queste relazioni possono essere positive o disastrose. Esiste un tipo di omicidio addirittura codificato e finanziato dallo Stato: l’aborto volontario. Le donne abortiscono perché non vogliono rinunciare alla loro libertà dovendo accudire il bimbo, o anche semplicemente portando a termine la gravidanza per poi darlo in adozione. A questa prima motivazione, liberarsi di qualsiasi tipo di imposizione, è verosimile aggiungerne una seconda. Il diciassettenne ha mentito, ha dichiarato che il padre aveva assassinato lui la madre e il fratellino. In questa maniera si poteva presentare come il vendicatore contro il patriarcato malvagio e assassino. Molto più grave è il secondo delitto, di cui è imputato il signor Moussa Sangare, cittadino italiano come si è precipitata a chiarire la stragrande maggioranza dei media. Sangare ha trent’anni, non diciassette, è un uomo, non un ragazzo. La responsabilità delle sue azioni è totale. Ha ucciso una persona che non conosceva. Questo è infinitamente più grave che uccidere una persona con cui abbiamo una relazione, che quindi ci abbia causato, a torto o a ragione, dispiaceri o emozioni negative. Le possibili motivazioni verso un crimine come questo sono due: il piacere di uccidere in quanto tale perché uccidere mi fa sentire più forte, il piacere di uccidere qualcuno che abbia su di me una superiorità culturale e sociale che mi infastidisce. L’assassinio di una persona che non si conosce è la cellula madre del genocidio. Il cittadino italiano Moussa Sangare appartiene a un’etnia e a una religione diversi da quelle dell’assassinata. Questo diminuisce le possibilità empatiche, per questo è sempre un rischio l’esistenza sul territorio di persone di etnia e religione diversa. Il pubblico ministero che sta conducendo l’indagine, la dottoressa Rota ha affermato che Sharon, la vittima, si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. È una frase corretta nel momento in cui qualcuno muore colpito da un fulmine o travolto da un terremoto. Nel momento in cui qualcuno è stato vittima di un crimine oltretutto premeditato, perché il presunto assassino è uscito di casa fornito di quattro coltelli e fermamente deciso uccidere, è una frase mostruosa. Abbiamo quindi un presidente del Comitato olimpico che non è in grado di distinguere i maschi dalle femmine, e un magistrato che non è in grado di distinguere una morte accidentale da una morte per crimine. La frase è talmente bizzarra che si potrebbe addirittura ipotizzare un deficit sulla capacità di distinguere il bene dal male. Esiste il male. Esiste il piacere di fare il male. La sociologia ha cercato di banalizzare il male, spiegando che è dovuto a infelicità, mancata integrazione, qualche altra idiozia di questo tipo. Il movente è il male, il movente dell’omicidio è presumibilmente il fastidio nato dalla superiorità culturale e sociale della vittima. Questo è lo schema del genocidio vero, ne parlo in diversi libri e lo spiego nel saggio La realtà dell’orco. Nel genocidio vero il popolo sterminato ha una superiorità culturale tangibile sul popolo sterminatore: gli armeni erano la metà dei medici e degli ingegneri in Turchia, gli ebrei erano la metà dei medici e degli ingegneri in Europa, in Cambogia è stata annientata la classe borghese, quelli che sapevano leggere scrivere, in Ruanda è stata annientata la minoranza Tutsi, l’aristocrazia culturale. Questa vicenda riguarda tutti noi: ognuno di noi poteva trovarsi o potrà trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. A questo si aggiunge il violento razzismo anti bianco a specificatamente anti italiano con cui la vicenda è stata raccontata dai media, ma anche trattata dalla magistratura. Se un italiano uccide un immigrato, tutti quanti dobbiamo stare in ginocchio sui ceci, un’intera nazione accusata di crudeltà e razzismo. Se un immigrato uccide un italiano nasce una commovente attenzione a non stigmatizzare lo straniero. Ancora prima del cristianesimo la pietas verso il naufrago, o chi si spaccia per tale, e verso il profugo, o chi si spaccia per tale, è stata il baluardo della civiltà mediterranea. «Ma costui è un infelice, qui arrivato ramingo, che ora ha bisogna di cure», dice la giovane principessa Nausica del vero naufrago Ulisse. L’attenzione a non criminalizzare lo straniero però è diventata un diritto al crimine quando questo sia commesso da stranieri. Il furto e lo spaccio sono praticamente perdonati quando commessi da persone straniere. Per quanto riguarda gli stupri si evita di dire il nome dell’autore. In quest’ultimo caso è notevole notare come Moussa Sangare, presunto assassino, sia sempre stato presentato come cittadino italiano, mentre i due testimoni di origine marocchina che hanno valorosamente aiutato a identificarlo, sono sempre stati presentati come due «stranieri». In realtà si tratta sempre di italiani di seconda generazione. Anche due testimoni sono quindi cittadini italiani.
Jose Mourinho (Getty Images)