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2021-08-24
Si ritorna al lavoro. Far West nelle mense. E ogni ministero fa quello che vuole
(Stefano Montesi - Corbis/ Getty Images)
Dev'essere una prerogativa dei professori con lo zaino in spalla, lo stipendio garantito e l'aria condizionata in ufficio pigliarsela con i lavoratori che chiedono un posto fisso e un pasto caldo. Finite le ferie, ieri quasi tre milioni sono tornati al lavoro e il caos green pass è rimasto di traverso alle mense. Ci sono proteste ovunque: dalle carceri ai ministeri passando per i centri logistici e siccome la materia è affidata a una Faq del Governo vanno tutti in ordine sparso.
Il primo a farsi sentire è Carlo Cottarelli. L'ex mani di forbice informato che all'Ikea di Piacenza - è il centro logistico da cui dipendono i rifornimenti in tutta Italia - chi non ha il green pass è stato costretto mangiare sul marciapiede ha twittato: «La Cisl dice che non è dignitoso, ma il problema può essere risolto facilmente: basta vaccinarsi». E bravo Cottarelli che fa il paio con Tito Boeri - non rimpianto ex presidente dell'Inps - che sull'obbligo della carta verde a mensa aveva detto: «I sindacati stanno dalla parte dei no vax». Il problema è che sembrano tanti questi no vax, o piuttosto che l'informazione data ai cittadini dai virologi videostar è talmente confusa che più del virus poté il digiuno. I sindacati - come dimostra la faccenda della quarantena a carico del lavoratore - temono che la carta sia il semaforo verde per la compressione di altri diritti.
Se ne è avuta palmare rappresentazione ieri al primo giorno di ritorno dalle ferie. La confusione è tale per cui anche Stefano Bonaccini, presidente Pd della Regione Emilia Romagna, striglia il governo. Dalla tribuna del Meeting di Rimini scandisce: «Non c'è nessun Paese che in questo momento abbia messo l'obbligo vaccinale per la popolazione. Penso che servirebbe l'accordo delle parti sociali. Ad esempio, per il green pass obbligatorio anche sui luoghi di lavoro, cosa che mi troverebbe assolutamente d'accordo, ma non è competenza delle Regioni. Auspico un confronto tra il governo e le parti sociali: mi pare che questa sia l'urgenza più utile». L'uscita di Bonaccini si giustifica perché in Emilia Romagna - ma del resto in tutta Italia - si va in ordine sparso. Alla Ima di Bologna, quella che stacca generosissime cedole a Gianluca Vacchi abbronzatissimo influencer, il fratello Alberto Vacchi, amministratore delegato, ha comunicato ai lavoratori che si mangia solo con il green pass, mentre alle Coesi, altro colosso industriale, Isabela Seragnoli ha detto: «Non abbiamo alcuna intenzione di discriminare tra i lavoratori» e ha scritto una lettera in proposito chiedendo chiarimenti a Regione e sindacati. A Longiano (Cesena) la Suba Seeds è andata oltre seguendo le indicazioni di Roberto Visentin (Federmeccanica). Ha fatto entrare solo i lavoratori muniti di green pass.
A questo punto l'assessore regionale al Lavoro Vincenzo Colla ha tuonato con Orlando: «Serve un accordo o avremo il caos». Cgil-Cisl-Uil denunciano: «Così si rischia il Far West». Che sostanzialmente è quello che è successo nei ministeri, ieri di nuovo popolati, a Roma mentre nelle carceri piemontesi da Torino a Cuneo gli agenti penitenziari hanno dato vita a una vibrante protesta: hanno rifiutato i cestini pretendendo di mangiare con i loro colleghi. Alla Farnesina di fatto il green pass non viene chiesto. Dice un comunicato del ministero degli Esteri: «Allo stato le disposizioni in materia non si applicano alle attività delle mense che garantiscano la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro». Alla Salute non «è arrivata alcuna indicazione negli ultimi dieci giorni» per cui alla mensa di via Ribota si va un po' a caso. A casa della ministra dell'Interno Luciana Lamorgese -severissima sui controlli altrui - i due bar interni si autoregolano, mentre alla Difesa consentono di portarsi la «schiscetta» e mangiare in ufficio, oppure di andare in mensa, ma con la carta verde. E però, fanno sapere i militari - scottati anche dalle durissime proteste sollevate nelle caserme - «il trattamento alimentare dovrà comunque essere garantito a tutto il personale cui compete».
Si apre la strada al buono pasto? È il caso ad esempio di tutti quei lavori che si svolgono all'aperto. Al terminal merci del porto di Genova Pra', dove da ieri è scattato l'obbligo di green pass per la mensa, i sindacati alzano le barricate. All'Enel invece confidano sul fatto che gran pare del personale è ancora in smart working. La preoccupazione dei sindacati è che la carta verde per la mensa si trasformi in un cavallo di Troia a fronte del fatto che tra sanità, scuola (dal primo settembre scatta l'obbligo di salvacondotto), i lavoratori già soggetti a obbligatorietà di green pass sono oltre 3,4 milioni.
In tutto questo manca un interlocutore: è l'Orlando pensoso e così sul green pass si è perso il ben dell'intelletto.
Sui test salivari per gli under 12 le Regioni spingono, Speranza pensa
Si apre uno spiraglio nell'applicazione dei test salivari per la diagnosi di Covid, almeno per i più piccoli. Anche la regione Lazio punta a introdurre nelle scuole elementari e medie i test salivari, meno invasivi dei tamponi rapidi e molecolari, per lo screening del Covid. A un anno dalla loro messa a punto e tre mesi dall'autorizzazione, giusto qualche giorno fa, l'Istituto superiore di sanità (Iss) si è messo a scrivere un Protocollo, con le Regioni, sugli screening del Covid da fare durante tutto l'anno scolastico su circa 110.000 studenti under 12 di massimo tre scuole per provincia. Il tutto avverrà su base volontaria come già accaduto nella sperimentazione di Veneto e Toscana, con un'adesione di circa il 60%. Con mesi di anticipo, a maggio, la regione Lombardia aveva già messo in pista il test messo a punto a novembre 2020 da un gruppo di ricercatrici dell'Università di Milano, tutte madri di bambini, desiderose di dare ai piccoli un test per il Covid meno invasivo, ma attendibile come il tampone nasofaringeo. Questo sistema, non raccoglie il campione infilando un tampone nel naso, ma facendo masticare per alcuni minuti una pallina di cotone che viene poi portato al laboratorio. Il responso è disponibile in qualche ora e ha un'affidabilità del 94-98%, praticamente come un molecolare nasofaringeo.
Con una tempistica assolutamente inadeguata a una pandemia, il documento per lo screening dei bambini di 6-12 anni è atteso in settimana: a ridosso dal suono della prima campanella d'inizio delle lezioni, il 13 settembre. Non è ben noto cosa succederà nelle varie regioni. Il Lazio, appunto, prevede una campagna mensile di almeno 17.000 test che sarà poi ripetuta nel corso dell'autunno e dell'inverno proprio al fine di capire quanto e in che misura circola il virus nei bambini. In tal senso, il commissario regionale straordinario, Jacopo Marzetti, propone che il Lazio «recepisca l'idea di utilizzare le strutture pubbliche di Farmacap (società partecipata del Comune di Roma che gestisce 45 farmacie, ndr), per l'effettuazione a tappeto di test salivari e antigenici degli studenti e docenti in vista del rientro a settembre». Il Veneto ha già avviato una gara per avere garantita una fornitura di un milione di tamponi salivari molecolari alla riapertura delle scuole. La Lombardia si è già mossa in questo senso.
Non si ferma però la battaglia di Franco Corbelli, fondatore e leader del Movimento diritti civili, che chiede il riconoscimento della validità del test salivare (visto che è equiparato dall'Iss agli altri test) per ottenere il green pass anche per gli «oltre 100.000 docenti e centinaia di migliaia di studenti universitari (tutti non vaccinati, per diversi, validi motivi)». Sono «persone perbene e responsabili», scrive Corbelli in una nota, che si vedono negati i test salivari mentre sono sotto il «ricattato del vaccino o la tortura del tampone molecolare ogni 48 ore, pena la sospensione dal servizio de dallo stipendio, ovvero la disperazione per migliaia di famiglie».
Alla campagna di è unita anche l'Anief, Associazione nazionale insegnanti e formatori, chiedendo «l'equiparazione del test salivare gratuito» per «tutto il personale scolastico e universitario nonché per gli studenti universitari obbligati al possesso del green pass», sostenendo che la normativa comunitaria stabilisce «che nessuno Stato membro può discriminare in base al possesso del green pass».
Intanto ieri è arrivata la proposta di Italo Farnetani, professore di pediatria della Libera Università Ludes di Malta, per spostare l'inizio delle lezioni al 3 ottobre e poter vaccinare così un 10% in più di over 12. «Posticipare l'inizio della scuola sarebbe un fallimento totale della politica e del ministero dell'Istruzione», ha commentato Matteo Bassetti, direttore delle Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova.
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Alla Farnesina la carta verde non viene chiesta. Nel refettorio della Salute si va a caso. I due bar del Viminale si autoregolano.Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio sono pronte. Si vuole evitare il tampone ogni 48 ore.Lo speciale contiene due articoli.Dev'essere una prerogativa dei professori con lo zaino in spalla, lo stipendio garantito e l'aria condizionata in ufficio pigliarsela con i lavoratori che chiedono un posto fisso e un pasto caldo. Finite le ferie, ieri quasi tre milioni sono tornati al lavoro e il caos green pass è rimasto di traverso alle mense. Ci sono proteste ovunque: dalle carceri ai ministeri passando per i centri logistici e siccome la materia è affidata a una Faq del Governo vanno tutti in ordine sparso. Il primo a farsi sentire è Carlo Cottarelli. L'ex mani di forbice informato che all'Ikea di Piacenza - è il centro logistico da cui dipendono i rifornimenti in tutta Italia - chi non ha il green pass è stato costretto mangiare sul marciapiede ha twittato: «La Cisl dice che non è dignitoso, ma il problema può essere risolto facilmente: basta vaccinarsi». E bravo Cottarelli che fa il paio con Tito Boeri - non rimpianto ex presidente dell'Inps - che sull'obbligo della carta verde a mensa aveva detto: «I sindacati stanno dalla parte dei no vax». Il problema è che sembrano tanti questi no vax, o piuttosto che l'informazione data ai cittadini dai virologi videostar è talmente confusa che più del virus poté il digiuno. I sindacati - come dimostra la faccenda della quarantena a carico del lavoratore - temono che la carta sia il semaforo verde per la compressione di altri diritti. Se ne è avuta palmare rappresentazione ieri al primo giorno di ritorno dalle ferie. La confusione è tale per cui anche Stefano Bonaccini, presidente Pd della Regione Emilia Romagna, striglia il governo. Dalla tribuna del Meeting di Rimini scandisce: «Non c'è nessun Paese che in questo momento abbia messo l'obbligo vaccinale per la popolazione. Penso che servirebbe l'accordo delle parti sociali. Ad esempio, per il green pass obbligatorio anche sui luoghi di lavoro, cosa che mi troverebbe assolutamente d'accordo, ma non è competenza delle Regioni. Auspico un confronto tra il governo e le parti sociali: mi pare che questa sia l'urgenza più utile». L'uscita di Bonaccini si giustifica perché in Emilia Romagna - ma del resto in tutta Italia - si va in ordine sparso. Alla Ima di Bologna, quella che stacca generosissime cedole a Gianluca Vacchi abbronzatissimo influencer, il fratello Alberto Vacchi, amministratore delegato, ha comunicato ai lavoratori che si mangia solo con il green pass, mentre alle Coesi, altro colosso industriale, Isabela Seragnoli ha detto: «Non abbiamo alcuna intenzione di discriminare tra i lavoratori» e ha scritto una lettera in proposito chiedendo chiarimenti a Regione e sindacati. A Longiano (Cesena) la Suba Seeds è andata oltre seguendo le indicazioni di Roberto Visentin (Federmeccanica). Ha fatto entrare solo i lavoratori muniti di green pass. A questo punto l'assessore regionale al Lavoro Vincenzo Colla ha tuonato con Orlando: «Serve un accordo o avremo il caos». Cgil-Cisl-Uil denunciano: «Così si rischia il Far West». Che sostanzialmente è quello che è successo nei ministeri, ieri di nuovo popolati, a Roma mentre nelle carceri piemontesi da Torino a Cuneo gli agenti penitenziari hanno dato vita a una vibrante protesta: hanno rifiutato i cestini pretendendo di mangiare con i loro colleghi. Alla Farnesina di fatto il green pass non viene chiesto. Dice un comunicato del ministero degli Esteri: «Allo stato le disposizioni in materia non si applicano alle attività delle mense che garantiscano la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro». Alla Salute non «è arrivata alcuna indicazione negli ultimi dieci giorni» per cui alla mensa di via Ribota si va un po' a caso. A casa della ministra dell'Interno Luciana Lamorgese -severissima sui controlli altrui - i due bar interni si autoregolano, mentre alla Difesa consentono di portarsi la «schiscetta» e mangiare in ufficio, oppure di andare in mensa, ma con la carta verde. E però, fanno sapere i militari - scottati anche dalle durissime proteste sollevate nelle caserme - «il trattamento alimentare dovrà comunque essere garantito a tutto il personale cui compete». Si apre la strada al buono pasto? È il caso ad esempio di tutti quei lavori che si svolgono all'aperto. Al terminal merci del porto di Genova Pra', dove da ieri è scattato l'obbligo di green pass per la mensa, i sindacati alzano le barricate. All'Enel invece confidano sul fatto che gran pare del personale è ancora in smart working. La preoccupazione dei sindacati è che la carta verde per la mensa si trasformi in un cavallo di Troia a fronte del fatto che tra sanità, scuola (dal primo settembre scatta l'obbligo di salvacondotto), i lavoratori già soggetti a obbligatorietà di green pass sono oltre 3,4 milioni. In tutto questo manca un interlocutore: è l'Orlando pensoso e così sul green pass si è perso il ben dell'intelletto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/si-ritorna-al-lavoro-far-west-nelle-mense-e-ogni-ministero-fa-quello-che-vuole-2654764000.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sui-test-salivari-per-gli-under-12-le-regioni-spingono-speranza-pensa" data-post-id="2654764000" data-published-at="1629743965" data-use-pagination="False"> Sui test salivari per gli under 12 le Regioni spingono, Speranza pensa Si apre uno spiraglio nell'applicazione dei test salivari per la diagnosi di Covid, almeno per i più piccoli. Anche la regione Lazio punta a introdurre nelle scuole elementari e medie i test salivari, meno invasivi dei tamponi rapidi e molecolari, per lo screening del Covid. A un anno dalla loro messa a punto e tre mesi dall'autorizzazione, giusto qualche giorno fa, l'Istituto superiore di sanità (Iss) si è messo a scrivere un Protocollo, con le Regioni, sugli screening del Covid da fare durante tutto l'anno scolastico su circa 110.000 studenti under 12 di massimo tre scuole per provincia. Il tutto avverrà su base volontaria come già accaduto nella sperimentazione di Veneto e Toscana, con un'adesione di circa il 60%. Con mesi di anticipo, a maggio, la regione Lombardia aveva già messo in pista il test messo a punto a novembre 2020 da un gruppo di ricercatrici dell'Università di Milano, tutte madri di bambini, desiderose di dare ai piccoli un test per il Covid meno invasivo, ma attendibile come il tampone nasofaringeo. Questo sistema, non raccoglie il campione infilando un tampone nel naso, ma facendo masticare per alcuni minuti una pallina di cotone che viene poi portato al laboratorio. Il responso è disponibile in qualche ora e ha un'affidabilità del 94-98%, praticamente come un molecolare nasofaringeo. Con una tempistica assolutamente inadeguata a una pandemia, il documento per lo screening dei bambini di 6-12 anni è atteso in settimana: a ridosso dal suono della prima campanella d'inizio delle lezioni, il 13 settembre. Non è ben noto cosa succederà nelle varie regioni. Il Lazio, appunto, prevede una campagna mensile di almeno 17.000 test che sarà poi ripetuta nel corso dell'autunno e dell'inverno proprio al fine di capire quanto e in che misura circola il virus nei bambini. In tal senso, il commissario regionale straordinario, Jacopo Marzetti, propone che il Lazio «recepisca l'idea di utilizzare le strutture pubbliche di Farmacap (società partecipata del Comune di Roma che gestisce 45 farmacie, ndr), per l'effettuazione a tappeto di test salivari e antigenici degli studenti e docenti in vista del rientro a settembre». Il Veneto ha già avviato una gara per avere garantita una fornitura di un milione di tamponi salivari molecolari alla riapertura delle scuole. La Lombardia si è già mossa in questo senso. Non si ferma però la battaglia di Franco Corbelli, fondatore e leader del Movimento diritti civili, che chiede il riconoscimento della validità del test salivare (visto che è equiparato dall'Iss agli altri test) per ottenere il green pass anche per gli «oltre 100.000 docenti e centinaia di migliaia di studenti universitari (tutti non vaccinati, per diversi, validi motivi)». Sono «persone perbene e responsabili», scrive Corbelli in una nota, che si vedono negati i test salivari mentre sono sotto il «ricattato del vaccino o la tortura del tampone molecolare ogni 48 ore, pena la sospensione dal servizio de dallo stipendio, ovvero la disperazione per migliaia di famiglie». Alla campagna di è unita anche l'Anief, Associazione nazionale insegnanti e formatori, chiedendo «l'equiparazione del test salivare gratuito» per «tutto il personale scolastico e universitario nonché per gli studenti universitari obbligati al possesso del green pass», sostenendo che la normativa comunitaria stabilisce «che nessuno Stato membro può discriminare in base al possesso del green pass». Intanto ieri è arrivata la proposta di Italo Farnetani, professore di pediatria della Libera Università Ludes di Malta, per spostare l'inizio delle lezioni al 3 ottobre e poter vaccinare così un 10% in più di over 12. «Posticipare l'inizio della scuola sarebbe un fallimento totale della politica e del ministero dell'Istruzione», ha commentato Matteo Bassetti, direttore delle Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova.
David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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