
L'avvocato Cristina Franceschini: «Chi ospita bambini allontanati, spesso con leggerezza, dai propri genitori incassa fino a 400 euro al giorno a persona. Senza controllo, gli abusi sono più facili».«Gentilissimo signor presidente del tribunale per i minorenni di Catania, con il cuore in mano, le chiedo di valutare altre mille possibilità prima di strappare i figli a una madre». Inizia così la lettera in cui la signora V.T. scrive al presidente del tribunale per i minorenni di Catania, chiedendogli di lasciarle i suoi tre bambini per evitarne il ricovero in una comunità. La lettera è stata spedita da Librino, quartiere difficile di Catania come San Cristoforo, Monte Po o il villaggio Sant'Agata: luoghi dove i bambini spacciano a otto anni e si prostituiscono a 12.La presidente della fondazione La città invisibile, Alfia Milazzo, che aiuta i bambini e gli adolescenti dei quartieri catanesi ad alto tasso di malavita, afferma: «Queste cose accadono soprattutto alla gente povera e indifesa. Il nodo di tutto sono i servizi sociali e i docenti delle scuole che magari non si accorgono di genitori che fanno prostituire le bambine ma tolgono i figli a chi non commette nulla di così grave. E poi c'è il business delle comunità e delle case famiglia che incassano in media 80, 100 euro al giorno per minore: molti di questi istituti sono gestiti da cooperative con a capo prestanomi e non aggiungo altro. Se i servizi sociali manifestano persecuzione nei confronti delle persone deboli e povere», continua Milazzo, «i magistrati si basano su quanto riportato dalle relazioni di chi staziona per decenni nella stessa funzione e nello stesso ufficio e scuola, creando quelle incrostazioni e lo stato di dominus del quartiere che è inaccettabile. Infine qualcuno si dovrebbe ricordare i moniti lanciati dal giudice Scidà». Il giudice Giambattista Scidà (1930-2011), per sottrarre il meno possibile i bambini all'ambiente familiare, sosteneva che gli aiuti economici dello Stato dovessero essere destinati direttamente alle famiglie piuttosto che agli istituti.La Verità ha contattato l'avvocato Cristina Franceschini del foro di Verona, 46 anni, esperta nel diritto di famiglia e dei minori che conferma ciò che sostiene la presidente della fondazione siciliana. Infatti la sua sintesi è: «In Italia pagano le strutture invece di sostenere la famiglia: si fa l'esatto contrario del portato della legge 184/83, che stabilisce che l'indigenza economica non può essere di ostacolo alla crescita del minore nell'ambito della propria famiglia». Poi racconta storie come quella della cooperativa Il piccolo carro, che gestisce strutture residenziali per minori ad Assisi, Bettona e Perugia: i titolari avrebbero incassato almeno sei milioni dalle casse pubbliche, come rimborsi, per il servizio di attività terapeutico sanitaria che non avrebbero potuto erogare, poiché privi di autorizzazione. Per ogni ospite la cooperativa avrebbe ricevuto come rimborso 400 euro al giorno: ora i vertici della cooperativa sono accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato e frode nelle pubbliche forniture. E i sei milioni di euro restano sotto sequestro, come stabilito anche dal tribunale del riesame nel febbraio scorso. Sembrano tante le criticità del sistema minorile…«Sì. C'è chi lavora con dedizione e onestà, ci sono stati di abbandono conclamato di minori. Ma le falle sono ancora troppe. Ad esempio, l'articolo 403 del codice civile sulla protezione del minore in stato di abbandono o in situazioni di pericolo lascia ampi margini ai servizi sociali, prestandosi a utilizzazioni “eccessive". La messa in sicurezza del bambino è immediata, anche davanti a una semplice confidenza fatta a una maestra su un battibecco familiare più acceso o a una segnalazione anonima, con conseguente allontanamento del piccolo: per mesi i genitori possono non sapere dov'è stato portato il proprio figlio, né lo vedono. Il giudice, pur essendo vero che i tribunali hanno carichi di lavoro importanti, fissa la prima udienza a mesi di distanza da quando il minore è già stato inserito nelle comunità e nelle case famiglia».Perché i prezzi per l'assistenza del minore tolto alla famiglia variano da struttura a struttura?«Innanzitutto manca una nomenclatura uniforme delle strutture di accoglienza dei minori, un elenco con lo stesso criterio. I requisiti stessi, per essere struttura idonea ad assistere i minori, variano da regione a regione. Non c'è un unico tariffario sulle rette giornaliere: un giorno in una comunità può costare 80 euro in una regione, 150 in un'altra; fino anche a casi particolari di 400 euro, per un solo giorno, in qualche comunità terapeutica. Il prezzo della prestazione lo decide la comunità dove il minore è stato inserito. Dalle Regioni partono fiumi di soldi alla volta dei Comuni, le strutture emettono fattura al Comune e alla Regione, se la comunità è terapeutica. Poi vengono erogati i pagamenti. Inoltre diverse comunità di accoglienza e assistenza, agganciate alle cooperative, non presentano al fisco rendiconti ben dettagliati. Così è accaduto di vedere anche situazioni in cui “il disavanzo" è stato diviso fra i soci. La questione è che non c'è un organo che controlli i documenti, pure contabili, delle cooperative: eppure è inconcepibile che, per l'assistenza di minori pagata con soldi pubblici, si fatichi a vedere i conti. C'è poi una disparità sul trattamento delle famiglie affidatarie di minori: percepiscono 400 euro al mese contro gli anche 150, 200 euro al giorno che una cooperativa può ottenere». Quali sono le urgenze? «La prima è la realizzazione di una banca dati informatizzata sulle singole strutture: senza controllo, il sistema si presta ad abusi. Non a caso, l'ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il 6 ottobre 2016, aveva chiesto al suo capo del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, Francesco Cascini, di “esercitare un'attenta vigilanza sul rispetto delle norme introdotte dal nuovo codice degli appalti nell'affidamento di servizi a cooperative o altri enti analoghi, dettagliando procedure e stabilendo percorsi di standardizzazione e contenimento dei relativi costi". Anche i progetti sul minore, elaborati dalle comunità, in genere sono piuttosto vaghi o, come si dice nell'ambiente, “in evoluzione". Molte strutture aspettano di vedere cosa dirà il servizio sociale, che attende indicazioni dal giudice: poi si vedrà cosa fare. E servirebbe anche una scheda, sempre parte di un sistema informatizzato controllabile, sul percorso fatto da ogni minore sui suoi progressi o difficoltà, anche per verificare il risultato degli ingenti investimenti pubblici e valutarne la congruità, regolandosi per il futuro. Scheda che ancora non c'è».Come vengono valutati il minore e la sua famiglia?«In alcuni casi c'è una certa superficialità o eccessiva burocratizzazione da parte dei servizi sociosanitari. Anche i controlli nelle famiglie affidatarie, una volta che hanno avuto il minore, sono fatti in maniera saltuaria, sporadica. Inoltre la valutazione del suo stato psicofisico viene spesso effettuata dal personale della comunità in cui è inserito e poi ripresa nelle relazioni dei servizi sociali: tali dichiarazioni fanno piena prova, fino a querela di falso. Pur essendoci dei professionisti anche all'interno delle comunità, ciò può agevolare la tendenza di voler mantenere il proprio posto di lavoro, trattenendo “gli ospiti" più a lungo».Prigioni senza sbarre, mentre i costi per lo Stato aumentano…«Certo. Inoltre, spesso, non c'è nemmeno un contraddittorio vero sulla situazione del minore e della sua famiglia. Anche se il tribunale dispone una valutazione, i servizi sociali, incaricati di pubblico servizio, non accettano i pareri dei consulenti di parte e elaborano una loro “valutazione psicodiagnostica"; altre volte sentono i consulenti privati delle parti, che comunque non possono partecipare alla valutazione che li riguarda. Accade anche che valutino la capacità genitoriale su persone già sconvolte, interrogate dopo mesi che non vedono il proprio figlio. Ma chi lavora coi bambini è periziato? Si tolgono bambini alle famiglie ma sappiamo davvero chi sono gli educatori e il resto del personale che opera nella comunità di accoglienza? Che personalità hanno? Si tratta, spesso, di persone assunte dalle cooperative con contratti di 4 o 6 mesi: di certo sono giovani che potrebbero essere inesperti e difficilmente possono costituire un punto di riferimento per il minore, specie se non assunti per periodi più lunghi. E poi, in alcuni casi, nei tribunali minorili si va avanti senza regole processuali certe. Le regole procedurali e alcuni diritti costituzionali sovente non vengono rispettati. Tribunale che vai, prassi che trovi…».
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(Ansa)
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