2025-04-08
«Sì alla legge di guerra per velocizzare le espulsioni»
La Corte suprema Usa legittima l’uso della norma del 1798. Trump esulta e rilancia: «Mille dollari di multa al giorno agli irregolari».«Questo è un grande giorno per la giustizia in America!». È così che Donald Trump ha festeggiato la sentenza con cui la Corte suprema degli Stati Uniti ha dato ragione alla sua amministrazione in merito all’Alien enemies act. Si tratta di una legge, risalente al 1798, che consente al presidente di espellere più celermente i nemici della nazione in tempo di guerra. Invocata e applicata molto raramente, questa norma è stata utilizzata dal governo di Trump per cacciare dal territorio americano i membri della gang Tren de Aragua, una pericolosa organizzazione criminale venezuelana sospettata di avere legami con Nicolás Maduro e accusata di tratta sessuale, traffico di droga e numerosi omicidi sia in patria che nelle principali città degli Stati Uniti.Il massimo tribunale americano ha quindi annullato la sentenza di una corte inferiore che aveva bloccato le espulsioni di 238 venezuelani in un carcere di El Salvador. L’ordine di questo tribunale federale era stato emesso lo scorso 15 marzo, con l’amministrazione Trump che aveva subito presentato un ricorso d’urgenza. Di qui la grande soddisfazione espressa dal tycoon sul suo social Truth: «La Corte suprema ha confermato lo Stato di diritto nella nostra nazione, consentendo a un presidente, chiunque egli sia, di proteggere i nostri confini e le nostre famiglie, nonché il nostro stesso Paese». Anche altri funzionari del governo, tra cui il procuratore generale, Pam Bondi, e il segretario per la sicurezza interna, Kristi Noem, hanno accolto con grande entusiasmo la sentenza, con la Bondi che l’ha definita «una vittoria storica per lo Stato di diritto».In realtà, vista la delicatezza della questione, la Corte suprema si è divisa: i tre giudici democratici si sono detti contrari alla sentenza, mentre la giudice repubblicana Amy Coney Barrett si è limitata a un dissenso parziale. Alla fine, però, il massimo organo giudiziario americano ha comunque dato ragione al presidente degli Stati Uniti con 5 voti a favore e 4 contrari. È stato così revocato l’ordine del giudice distrettuale di Washington, James Boasberg, che aveva bloccato le espulsioni, portando Trump persino a chiedere l’impeachment. Tra le ragioni che hanno pesato sul verdetto della Corte suprema, ce n’è una anche di natura giurisdizionale: la causa doveva essere presentata in Texas, lo Stato in cui sono detenuti i venezuelani da espellere, e non in un tribunale di Washington. Al tempo stesso, tuttavia, la Corte suprema ha stabilito che, sebbene l’Alien enemies act sia applicabile, agli immigrati deve essere notificata l’espulsione «entro un lasso di tempo ragionevole», in modo da permettere ai loro legali di presentare ricorso. Cosa che il governo, in questo caso specifico, non aveva fatto. Ecco perché anche l’American civil liberties union (Aclu), la potente Ong per i diritti umani che aveva presentato ricorso per cinque venezuelani, ha tentato di rivendicare la sua presunta vittoria: «Siamo delusi dal fatto che dovremo riavviare il procedimento in altra sede», ha dichiarato Lee Gelernt, l’avvocato capo dell’Aclu, «ma il punto dirimente è che la Corte suprema ha affermato che gli individui devono avere un giusto processo per contestare la loro espulsione ai sensi dell’Alien enemies act». Nel frattempo, sempre sul fronte dei rimpatri, Trump ha intenzione di far ricorso a un’altra legge, emanata nel 1996, che commina agli immigrati colpiti da ordine di espulsione una multa di 1.000 dollari al giorno se non lasciano il territorio degli Stati Uniti. Come rivelato da Reuters, il governo avrebbe intenzione di applicare le sanzioni in modo retroattivo, per un massimo di cinque anni, arrivando così, in alcuni casi, a multe da oltre un milione di dollari. In caso di mancato pagamento, inoltre, si procederebbe con il sequestro dei beni degli insolventi.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)