2021-02-26
Si credono superiori e insultano la destra poi ne copiano le idee con anni di ritardo
Sandro Veronesi (L.Cendamo/Getty Images)
Domina il pregiudizio per cui fuori dalla sinistra non c'è pensiero. Ma su alcuni temi caldi ai dem in ritirata non resta che «rubare».Va detto che Sandro Veronesi ha abbassato i toni. Chissà, forse è stato baciato anche lui dallo spirito della «concordia nazionale» che si respira con il nuovo governo ad ampio spettro. Nel settembre del 2019, il premiatissimo scrittore si lasciò un pochino andare e mostrò sui social la sua propensione all'impegno civile e democratico: «Io so una cosa per certo: se per caso mai fossi stato eletto al Senato, oggi avrei fatto saltare i denti a parecchi leghisti prima che i valletti riuscissero a fermarmi. Lo dico da padre», scrisse. Ovviamente nessuno, sui giornali con cui spesso e volentieri collabora, si sognò di pubblicare editoriali indignati per il «linguaggio d'odio». Due anni dopo, Veronesi non sembra aver cambiato idea: la destra continua a detestarla. Però ha leggermente modificato il modo di esprimersi. Come segnala Francesco Giubilei, in un'intervista concessa alla rivista online Men on Wheels, Veronesi ha mostrato il suo fastidio per la nomina di Lucia Borgonzoni a sottosegretario alla Cultura, pochi giorni prima che l'incarico le fosse attribuito ufficialmente. Veronesi spiega che «il governo Draghi è l'ultima speranza prima di precipitare nell'abisso». Poi si affretta a lodare Dario Franceschini, definendolo un «personaggio qualificato» che sarà senz'altro capace di togliere le manacce dei leghisti dalla cultura. L'intervistatore incalza il bravo Sandro, cerca di stuzzicarlo e di fargli minacciare Salvini e soci come ai tempi d'oro. Ma il fine intellettuale si è trattenuto. Non si è lasciato andare a uscite vomitevoli come ha fatto il professore di Siena Giovanni Gozzini, che si è permesso di insultare Giorgia Meloni (e i milioni di persone che rappresenta in quanto capo de facto dell'opposizione). No, Veronesi ha usato parole tutto sommato garbate. Ma i concetti che ha espresso non sono poi molto diversi da quelli scodellati via radio da Gozzini, Giorgio Van Straten e soci. «Non credo si sia mai sentito un esponente della Lega parlare di cultura come una delle leve fondamentali del nostro Paese: è per questo che forse non sarebbe il caso di far ricoprire questo ruolo ad un membro di tale partito», ha detto il romanziere. «In condizioni normali sembrerebbe una provocazione, in questo caso è un “rospetto" da mandar giù. [...] Personalmente, preoccupa di più la presenza del ministro leghista Giancarlo Giorgetti al Mise, che al momento è cruciale». Insomma, secondo Veronesi non soltanto la Borgonzoni è «inadeguata», ma in generale i leghisti non sono adatti a occuparsi di cultura. Tutti quanti. E non stiamo affatto forzando, infatti il titolo dell'intervista allo scrittore è il seguente: «Borgonzoni alla cultura? Nessun leghista adatto». Siamo sempre lì: la destra non può parlare di cultura. Prima di farlo, come ha sostenuto Goffredo Bettini, dovrebbe «civilizzarsi», cioè sottomettersi. È un pensiero antico, questo, che fu al centro, decenni fa, delle riflessioni di Furio Jesi, antropologo morto suicida amatissimo a sinistra. Jesi sosteneva che la cultura della destra si basasse su «idee senza parole», ripeteva che a destra non può nascere alcun pensiero critico, teorizzava l'inesistenza degli «intellettuali di destra». Erano gli anni Settanta, ma da allora pochissimo è cambiato. La stragrande maggioranza del mondo progressista continua a pensare che a destra la cultura non esista. Per questo gli intellettuali destrorsi, se emergono, vengono ignorati, sminuiti, censurati. E se spunta un leader politico che rompe lo schemino - come fa ad esempio la Meloni (è donna, non è becera, sa argomentare, attaccare e difendersi) - il progressista non sa contenere la rabbia e si rifugia nel turpiloquio. Nel caso della Borgonzoni, Veronesi ha applicato la tecnica più diffusa: lo sfoggio di sufficienza. Non dice: detesto le idee della Lega, cosa che gli sarebbe concessa. Sostiene invece che gli avversari siano impreparati a prescindere, stupidi, inferiori. Con sfumature diverse, i grandi geni progressisti la pensano quasi sempre così. Ritengono che l'avversario sia indegno, riprovevole, malato di mente. Oddio, può anche darsi che sia vero, come no. Però il mondo reale ci fa sorgere qualche dubbio. Se realmente la sinistra è tanto intellettualmente superiore alla parte avversa, come mai continua a riciclarne le idee, fingendo di scoprire con anni di ritardo temi che la destra ha affrontato per prima e con decisamente meno ipocrisia? L'ultimo esempio di tale tendenza al riciclo (anzi, un vero progressista direbbe «riuso») è il sempre piacevole Bernard Henri Levy. Ieri Repubblica ha pubblicato un suo articolo di fuoco contro «l'islamo-gauchisme», cioè il sodalizio tra la sinistra intellettuale e il radicalismo islamico. Sappiamo bene cosa sia: una propaggine mortifera del politicamente corretto. Gli intellettuali vedono nella minoranza musulmana una sorta di nuovo proletariato oppresso, e questo fa aumentare il vittimismo islamico alimentando l'estremismo. Levy fa bene a sdegnarsi, ma le stesse cose le dicevano decenni fa Jean Raspail o Ida Magli o ancora Oriana Fallaci (che non era di destra, ma dalla destra fu adottata). Quando le cassandre destrorse criticavano gli eccessi del buonismo e del multiculturalismo, quando mettevano in guardia sulle conseguenze dell'immigrazione di massa, la sinistra tutta urlava: «Razzisti!». Ma ecco che, dopo le immancabili stragi e i devastanti attentati, anche qualche progressista comincia ora ad accorgersi che nel rapporto con l'islam qualcosa non torna. E si infervora, grida. Funziona più o meno così. La destra mette sul piatto un tema o denuncia un problema. La sinistra si indigna, grida al fascismo e continua a vivere nel suo mondo irreale. Poi, dopo qualche anno, a sinistra sorge un illuminato il quale scopre che la destra, in effetti, aveva ragione. Questo illuminato che fa? Mica può dare ragione alla destra. Dunque si appropria del tema e lo dichiara «di sinistra», facendo anche la figura di quello coraggioso. E questo, badate bene, è il migliore dei casi, è la superiorità morale tenue. Poi c'è la superiorità morale grave, quella di chi pensa che a destra la cultura non esista. E, purtroppo, non esiste cura.