Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
- Nel bresciano un bengalese stupra una bambina di 10 anni. L’episodio avvenuto in un centro per rifugiati. L’uomo ha confessato. Tra rito abbreviato e circostanze a discarico, la pena rischia di essere irrisoria.
- A Pisa uno straniero violenta bimba di 6 anni. Il «protocollo rosa» è scattato dopo che la piccola ha denunciato strani comportamenti da parte dell’adulto, ritenuto persona di fiducia dalla famiglia. Sugli indumenti della vittima trovate tracce genetiche dell’indagato.
- Per i fatti di Tor Tre Teste si cerca un tunisino, forse riparato all’estero. I tre fermati hanno precedenti per spaccio. Possibile anche la presenza di un quinto uomo.
Lo speciale contiene tre articoli.
Le contraddizioni sono tutte nella voce dell’imputato, un profugo di 29 anni proveniente dal Bangladesh che, poco più di un anno fa, nel centro d’accoglienza di San Colombano di Collio (Brescia), un ex hotel che ospitava una ventina di richiedenti asilo poi definitivamente dismesso, ha violentato una minorenne (di soli dieci anni) mettendola incinta. Ora, davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, Valeria Rey, che gli ha concesso il rito abbreviato (procedura che dà diritto allo sconto di un terzo della pena), ammette: «Sono pentito per ciò che ho fatto e ne ho capito la gravità». Ma subito dopo ha tentato di mettere un argine: «Non si è trattato di violenza». La pm, Federica Ceschi, ha chiesto per il profugo, che è in carcere a Cremona dall’ottobre dello scorso anno, accusato di violenza sessuale su minorenne, una condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche. Una richiesta che è frutto di una combinazione prevista dal codice: la pena base per il reato contestato, la presenza dell’aggravante relativa all’età della vittima, il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione di un terzo per l’abbreviato. Il suo difensore, l’avvocato Davide Scaroni, nel corso dell’ultima udienza ha fatto mettere a verbale che l’imputato aveva anche cercato di risarcire la vittima (costituita parte civile e rappresentata dalla mamma) «privandosi di tutto ciò che aveva». I passaggi tecnici la difesa li ha messi in campo tutti: la confessione, prima ancora che le indagini scientifiche certificassero la presenza del Dna dello straniero, il pentimento con dichiarazione in udienza, il risarcimento della parte offesa e la richiesta del rito abbreviato, ma condizionato all’ascolto di due testimoni. E, così, sono stati convocati in aula la direttrice del centro di accoglienza (chiamata a illustrare la disposizione dei locali della struttura nei quali sarebbe stato consumato l’abuso) e l’agente della Questura che si era occupato della copia forense dello smartphone dell’imputato. L’avvocato Scaroni ha chiesto (e ottenuto) anche l’acquisizione dei filmati dalle telecamere di videosorveglianza del circuito interno, che in fase di indagini erano stati acquisiti ma che non erano mai stati depositati. Ora verranno consegnati alla cancelleria del Gup e le parti potranno prenderne visione. Nel fascicolo del pubblico ministero, invece, è contenuta la ricostruzione dei fatti. A fine settembre 2024, nel centro in cui entrambi erano ospiti (la bimba e la mamma sono poi stati trasferiti in un’altra struttura in località protetta), gestito dagli operatori della cooperativa Pianeta Terra (che dopo la vicenda annunciò che avrebbe ospitato solo minorenni e famiglie), dopo che la piccola era stata in ospedale, arriva la polizia. Gli altri migranti hanno subito pensato che si trattasse di indagini su una lite che solo qualche mese prima era scoppiata nei vicoli limitrofi al centro e durante la quale erano volati dei fendenti. Si trattava, invece, di qualcosa di molto più grave. Gli investigatori avevano cominciato a fare domande su quella bimba che era arrivata dall’Africa subsahariana con la madre e che viveva lì da circa un anno. E hanno ricostruito che il suo atteggiamento a un certo punto era cambiato: la mamma l’aveva notata particolarmente «taciturna, triste e apatica». E aveva chiesto aiuto a un’educatrice. Nessuno immaginava cosa stesse succedendo. Perché la piccola si era tenuta tutto dentro. La verità è emersa solo quando i medici degli Spedali Civili l’hanno visitata. È stato allora che hanno trovato i segni inequivocabili dell’abuso e deciso di procedere con un aborto terapeutico. Dal posto di polizia dell’ospedale è partita la segnalazione. Le indagini della Squadra mobile si sono concentrate subito su un unico sospettato, il profugo proveniente dal Bangladesh. Una dozzina di giorni dopo è scattato il fermo disposto dalla Procura. Davanti al gip, però, al momento della convalida, il ventinovenne scelse di fare scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Nel frattempo la testimonianza della bambina veniva raccolta in un’aula protetta del Palazzo di giustizia, con la formula dell’incidente probatorio. Ovvero lo strumento previsto per tutelare i minori durante la raccolta della testimonianza, che assicura l’utilizzabilità della deposizione anche in caso di rito alternativo. È una procedura che ha un peso notevole, perché il giudice ascolta direttamente le parole della persona offesa. E quelle parole entrano nel fascicolo come prova anticipata. Il pentimento e le ammissioni dell’imputato sono arrivati dopo e convivono senza logica con la negazione in aula: «Non c’è stata violenza». L’imputato ha forse voluto sostenere che una bambina di dieci anni fosse consenziente? Una contraddizione difficile da ignorare. La frattura resta aperta, proprio ora che il processo si avvia alle battute finali. «Pene sotto i sette anni sono un messaggio sbagliato per il Paese», ha commentato ieri Christian Garavaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale della Lombardia, aggiungendo: «Chi distrugge l’innocenza di una minorenne deve affrontare tutto il peso della legge, senza attenuanti di alcun tipo. È un episodio che scuote nel profondo e che impone una reazione ferma dello Stato». E, anche a nome del suo partito, chiede «che venga applicata la massima severità possibile». Il 13 gennaio è prevista l’udienza durante la quale il giudice si ritirerà in camera di consiglio. Sarà quello il momento in cui la ricostruzione giudiziaria troverà la sua traduzione in una sentenza.
Straniero violenta bimba di sei anni. È il padre di un suo amico di scuola
Follia, devianza, orrore. Ai danni di una bambina di 6 anni. È la notizia che ieri ha sconvolto Pisa dopo il ritrovamento del Dna di un uomo di 23 anni sui vestiti della piccola. L’uomo, straniero, oggi indagato per violenza sessuale su minore, è il padre di un amichetto che la bimba frequentava nei pomeriggi di gioco. Uno scenario di abuso scoperto a partire dai racconti della bambina, dai quali sarebbe emerso che il padre di uno dei suoi amici avrebbe avuto dei comportamenti strani con lei. Parole confuse, frammentate, quasi inconsapevoli, dalle quali è emerso che la piccola non riusciva a comprendere il significato di determinati gesti e comportamenti. Insospettita dai racconti della figlia, inizialmente la madre cerca di approfondire parlando direttamente con l’uomo. Non ottenendo chiarimenti si rivolge a dei sanitari che la indirizzano all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Qui scatta il «protocollo rosa», percorso previsto nei casi di sospetto abuso su minori. Per chiarire il quadro indiziario, gli approfondimenti investigativi vengono condotti sia dalla squadra mobile di Pisa sia da quella di Firenze, allertata proprio dall’ospedale Meyer che attiva le prime indagini. Nell’ambito degli accertamenti viene svolta anche un’audizione protetta della bambina con l’ausilio di esperti di psicologia infantile, modalità che ha consentito di acquisire la sua testimonianza in un contesto tutelato.
Dagli accertamenti clinici e genetici preliminari necessari a cristallizzare eventuali prove scientifiche, come previsto dalle procedure dedicate ai minori vittime di presunti reati, emergono elementi che la Procura della Repubblica di Pisa ritiene «rilevanti». E così viene subito richiesta una misura cautelare per l’uomo che è stato raggiunto ieri dalla squadra mobile della Questura e portato in carcere. Una misura decisa per garantire il corretto proseguimento delle indagini e tutelare la minore che insieme alla madre è stata affiancata da personale specializzato per un’assistenza psicologica.
Proprio per la delicatezza del caso, fino a ieri le indagini sono state mantenute nel massimo riserbo. Non appena l’esito degli accertamenti di genetica forense hanno permesso di rinvenire tracce del Dna dell’uomo sui vestiti della bimba, il quadro è diventato «grave» e il provvedimento di custodia cautelare è stato subito eseguito.
Inutile dire il contesto di shock della famiglia che a quanto pare, nei confronti del presunto colpevole aveva un rapporto di totale fiducia. La piccola frequentava spesso la sua casa perché giocava con i figli ed era proprio lui a vestire il ruolo dell’ «adulto responsabile» che badava ai bambini nelle ore pomeridiane. Un contesto di familiarità che l’uomo avrebbe invece sfruttato per restare spesso da solo con la piccola e a quanto pare abusare di lei. Inutile dire che la notizia ha scatenato la rabbia dei cittadini e i commenti di chi chiede l’ergastolo o la castrazione chimica rimbalzano sui social.
La denuncia del fatto arriva in un momento particolarmente caldo per le violenze sessuali che da ultimi dati Istat sono in pesante aumento. Se undici anni fa una ragazza tra i 16 e i 24 anni aveva 18 probabilità su 100 di aver subito una violenza sessuale negli ultimi 5 anni, oggi questo rischio sale al 31%, in pratica è quasi raddoppiato. Come ha sintetizzato ieri Luca Ricolfi, questo significa che oggi una ragazza su tre subisce una violenza sessuale nel giro di 5 anni. E le percentuali salgono se dal rischio a breve termine si passa al rischio nell’intera vita. Come se non bastasse, questo caso però pone di fronte ad uno scenario ancora più grave e che va oltre le statistiche e sfocia nella devianza nonché nelle dimensioni della pedofilia. L’altro elemento che si inserisce in un triste e ormai noto trend, è l’origine straniera dell’uomo che va ricordato, al momento è solo indagato. Nonostante gli stranieri rappresentino meno del 10% della popolazione in Italia, gli ultimi dati sui reati evidenziano come siano al centro di 6 arresti su 10. Peraltro, proprio la violenza sessuale è uno dei reati dove la proporzione tra reati commessi da italiani e stranieri, vede un’incidenza a carico di quest’ultimi tra le più pesanti. Il 41% delle denunce li vedono protagonisti.
Proprio ieri, peraltro a ridosso della giornata contro la violenza sulle donne, termine che quasi stride se si pensa che qui la vittima sarebbe addirittura una bambina di 6 anni, il comando provinciale di Pisa ha annunciato di aver intensificato le azioni di contrasto ai reati riconducibili al codice rosso registrando nell’ultimo anno 12 arresti per reati connessi alla violenza domestica, 125 denunce a piede libero, 50 allontanamenti dalla casa familiare. Se il codice rosso riguarda però il percorso giudiziario e normativo, quello «rosa» è in primis una corsia sanitaria di emergenza, non solo per minori ma anche per vittime di violenza in età adulta. Al momento non sono disponibili dati scorporati per fasce d’età ma solo nel 2024 le attivazioni in tutta Italia sono state 250 mila. Dati e cifre che di fronte alla violenza nei confronti di una bimba di 6 anni impallidiscono.
Roma, caccia al quarto aggressore
È caccia al quarto uomo del «branco» che ha violentato una diciottenne a Roma nel parco di Tor Tre Teste, stuprata davanti agli occhi del fidanzato. Dopo l’arresto dei tre stranieri, adesso le forze dell’ordine sono sulle tracce di altri complici e, in particolare, di un quarto uomo. Si tratterebbe di un tunisino che, da quanto si è appreso, potrebbe anche essere scappato all’estero. Sono stati, infatti, potenziati i controlli alla frontiera e all’estero. Potrebbe essere coinvolto pure un quinto straniero. Infatti, dalle testimonianze rese agli inquirenti e da ulteriori riscontri investigativi è emerso che ad aggredire la coppia e a violentare la ragazza lo scorso 25 ottobre sarebbe stato un «branco» formato da «almeno cinque stranieri». I due giovani erano nella loro auto quando il branco si è avvicinato e ha sfondato il finestrino della vettura. La loro intenzione, hanno raccontato i tre arrestati agli inquirenti dopo il fermo, era «solo quella di rubare il cellulare». Ma la vittima della violenza sessuale e il suo fidanzato hanno ricostruito una scena ancora più raccapricciante: la giovane è stata afferrata dal braccio e portata fuori dal veicolo: «Devi venire con noi», le avrebbero urlato gli stranieri. Uno di loro ha poi abusato di lei. Mentre il suo fidanzato, un giovane di 24 anni, guardava tutto. «Mi hanno immobilizzato», ha riferito il fidanzato agli investigatori. Le due vittime hanno raccontato di essere stati brutalmente aggredite e minacciate di morte. Le indagini hanno consentito di accertare che la coppia è stata salvata grazie all’intervento fondamentale di un vigilante in servizio in quella zona che si è accorto subito dell’accaduto. La «guardia» si è precipitata a difendere le vittime, mettendo in fuga il branco. Intanto, restano in carcere i tre fermati martedì: sono già noti alle forze dell’ordine per spaccio di droga nella zona del Quarticciolo.
Le forze dell’ordine sono riuscite a individuare i primi tre componenti del branco pure grazie al riconoscimento fotografico fatto dalle vittime. Due dei tre sono stati rintracciati al Quarticciolo e uno di loro si era tinto i capelli di biondo per non essere riconosciuto e sfuggire alla cattura. Il terzo componente della gang stava scappando a Verona, ma è stato fermato. Si tratta di un tunisino che è stato riconosciuto dalla vittima e ritenuto il responsabile della violenza sessuale. Ma, gli esiti degli esami del dna non hanno confermato che lo stupratore fosse proprio lui. I risultati del dna hanno, però, confermato che i tre arrestati si trovassero in quel luogo avendo trovato tracce compatibili nell’auto dei fidanzati. I tre restano, comunque, in carcere con l’accusa di stupro di gruppo e rapina aggravata. La ragazza, nell’immediatezza dei fatti, era stata soccorsa e portata in ospedale dove le sono state trovate lesioni da rapporto sessuale non consenziente. Non si esclude che se non fosse intervenuto il vigilante e poi la Polizia il branco avrebbe portato a termine uno «stupro di gruppo».
È la sinistra di oggi, intesa non come declinazioni partitiche ma come approccio pre-politico, a meritarsi quegli strali: perché è quel mondo che sta tentando di scaricare, in Italia e in Europa, una messe regolatoria in ambito socio-educativo-affettivo da suonare solo apparentemente paradossale negli eredi del ’68. Christopher Lasch, infatti, già nel 1979 aveva colto sottotraccia una tendenza che si sarebbe rivelata potentissima in certo progressismo: «La socializzazione della produzione», spiegava nel formidabile La cultura del narcisismo, «si rivelò il preludio della socializzazione della riproduzione stessa - la delega delle funzioni educative a genitori sostitutivi responsabili non davanti alla famiglia ma davanti allo Stato, all’industria privata o al proprio codice di etica professionale. Nell’avvicinare le masse alla cultura, l’industria pubblicitaria, i mass media, il servizio sanitario, l’assistenza sociale e le altre agenzie dell’istruzione di massa assunsero gran parte delle funzioni che appartenevano alla famiglia e assoggettarono le rimanenti alla direzione della scienza e della tecnologia moderne. È in questa prospettiva che va vista l’appropriazione da parte della scuola di molti dei compiti educativi che in passato spettavano alla famiglia, compreso l’addestramento manuale, le faccende domestiche, le norme di buona educazione e l’educazione sessuale».
Siamo all’oggi, con la proliferazione di norme sull’educazione affettiva, sulle varie forme di unione, contro i discorsi d’odio, fino al contestato ddl «bipartisan» sul «consenso», oggetto di una discussione che i fautori delle famose prerogative del Parlamento liquidano come cinico temporeggiamento sulla pelle delle donne. C’è molto di una religione senza metafisica in questa frenesia contemporanea del voler proteggere gli individui da sé stessi, nel codificare comportamenti, affetti, reati, consumi, in ambiti talmente delicati da rendere spesso comici tali tentativi, non producessero effetti molto meno divertenti sul piano del diritto e del buon senso. A ben vedere, non è una questione che riguardi solo i partiti della sinistra: proprio per questo appare fondamentale definire, lungo queste coordinate, un’offerta politica che sappia fare i conti con queste istanze e almeno identifichi alcune contraddizioni enormi. Come mai il progressismo, che nasce in rottura di convenzioni e tradizioni, si specializza in normativizzazione esasperata? Può una politica di alveo conservatore consegnare alla magistratura, in piena campagna referendaria contro le cosiddette «toghe politicizzate», uno strumento normativo prima e processuale poi che inverta l’onere della prova in modo da trasformare più o meno chiunque in potenziale indagato? Più in generale, può sposare una concezione della libertà (di espressione, di educazione dei figli, dei rapporti tra persone, attorno alla morte) come gentile concessione dello Stato?
Un altro grande pensatore, Byung Chul-Han, di recente ha scritto che «la crisi della libertà nella società contemporanea consiste nel doversi confrontare con una tecnica di potere che non nega o reprime la libertà, ma la sfrutta. La libera scelta viene annullata in favore di una libera selezione tra le offerte». È questo «menu» cui tende molta proliferazione normativa, forma sottile e totale di potere. La stessa che fa risaltare per contrasto l’idea di libertà che arriva dalla Chiesa: nella recente «Una caro» la Congregazione per la dottrina della fede esprime una concezione del sesso (tra coniugi) molto più laica e umana di tanta sinistra. In attesa un Pannella che lo faccia notare.
Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
La vicenda dei bambini che vivevano con i genitori nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, ha colpito molti. Tanto da attirare anche l’attenzione del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il premier valuta di incontrare il padre per approfondire il caso. Inoltre, d’accordo con il guardasigilli Carlo Nordio e dopo le opportune verifiche, potrebbe inviare gli ispettori del ministero della Giustizia per fare luce sul caso. Una vicenda che aveva sollevato anche l’attenzione del vicepremier Matteo Salvini: «Da genitore mi vergogno per come si sta comportando lo Stato italiano», ha dichiarato. Si tratta di una «madre australiana che ha fatto l’insegnante e di un padre che ha fatto lo chef con tre bambini, che hanno fatto una scelta di vita diversa, non di vivere in centro tra fretta e ansia ma a contatto con la natura, con un’insegnante privata per i figli».
«Mi ripropongo», ha aggiunto, «non da ministro ma da genitore, da padre e da italiano, di seguire direttamente la vicenda e, se serve, di andare sul posto perché ritengo vergognoso che lo Stato si occupi di entrare nel merito dell’educazione privata, delle scelte di vita personali di due genitori che hanno trovato nell’Italia un Paese ospitale e che invece gli ruba i bambini. Non hanno la luce, l’acqua e la televisione. Ma io sono stato nel campo rom di Giugliano, alle porte di Napoli, la settimana scorsa, con centinaia di bimbi in età scolare ma non a scuola, sporchi, senza insegnanti, senza luce, gas e acqua e con genitori che, in molti casi, campano rubando. Lì dove sono gli assistenti sociali? Dov’è la Procura, il Tribunale dei minori, lo Stato?». Ben accoglie poi l’interesse di Nordio e Meloni: «Bene che l’appello della Lega e di migliaia di cittadini venga ascoltato. Adesso si vada fino in fondo per riportare quei bambini tra le braccia di mamma e papà».
Eppure per l’Anm dell’Aquila è vietato commentare: «Sorprendono le parole di Salvini», rispondono i giudici, aggiungendo: «Riteniamo inopportuno ogni tentativo di strumentalizzazione di casi che, per la loro particolarità, suscitano l’attenzione dei cittadini e dei media, ricordando che la delicatissima materia nell’ambito della quale operano i colleghi in servizio presso le Procure e i Tribunali per i minori merita rispetto e attenzione». Un attacco ai media e all’opinione pubblica che, come è giusto che sia, si scalda su un caso che evidentemente scuote più di una coscienza. Sono infatti ben 31.000 le firme raccolte per convincere i giudici a non levare i bimbi ai genitori. Anche il governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio, è intervenuto scrivendo una lettera aperta in cui sottolinea il rispetto per la magistratura ma, al contempo, invita a una riflessione più profonda sul confine tra libertà familiare e intervento dello Stato: «Sono certo che gli stessi giudici che hanno preso questa decisione lo abbiano fatto non senza averne sentito il peso e la difficoltà». E osserva che la famiglia «non ha fatto male a nessuno» e che l’allontanamento dei bambini rappresenta un trauma. «Togliere i bambini a chi non ha fatto nulla di male è una decisione che pesa, che lascia un segno».
Regione ma anche parlamento: «La Lega intende presentare un’interrogazione urgente sulla vicenda della famiglia separata dai tre figli in provincia di Chieti. La scelta da parte del Tribunale di affidare i minori ad una comunità, benché non ci fossero notizie di maltrattamenti nei loro confronti, richiede assoluta chiarezza, specialmente in un Paese in cui si sentono raramente casi di bimbi tolti alle famiglie in contesti di illegalità, come i campi Rom». Così i capigruppo della Lega di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Gli assistenti sociali di norma intervengono per tutelare i minori quando ci sono situazioni di pericolo, abbandono, maltrattamento, violenza fisica o psicologica. Il Tribunale per i minorenni interviene in situazioni di grave disagio, disadattamento sociale, carenze educative o quando i genitori non adempiono adeguatamente ai loro doveri.
Non è questo il caso, ma non è l’unico. Spesso si interviene frettolosamente, rovinando famiglie e traumatizzando bambini. Fino a 20 anni fa i giudici intervenivano il meno possibile nella vita privata delle famiglie. Per ottenere un’azione a protezione di un minore, occorreva che fosse provato lo stato di abbandono materiale o la violenza fisica, palese e inequivocabile. Molte cose sono cambiate da allora, ma adesso sono in molti, anche addetti ai lavori, a ritenere che si sia ribaltato tutto e che spesso si intervenga troppo facilmente. Sarebbe da aprire un dibattito su un tema che, dopo il caso Bibbiano, sembra essere diventato tabù. Certo, se l’Anm lo consente.






