2019-03-14
I democratici americani rinnegano Obama e scippano la battaglia di Trump contro la Silicon Valley
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La grande industria tecnologica americana potrebbe diventare una questione centrale nella prossima battaglia elettorale per le presidenziali statunitensi. Elizabeth Warren, ha presentato infatti pochi giorni fa la sua proposta per arginare le tendenze monopolistiche dei colossi della Silicon Valley. Esattamente il contrario delle politiche obamiane.È altamente probabile che, come nel 2016, anche nel 2020 le sorti delle presidenziali saranno decise dal voto della classe operaia impoverita della Rust Belt. Non soltanto Donald Trump sta cercando di mantenere la presa su questa quota elettorale ma lo spostamento sempre più a sinistra del Partito Democratico mostra che una parte dell'asinello punti al recupero del voto dei colletti blu. Una situazione che potrebbe condurre i principali contendenti a una serrata critica dei colossi tecnologici: quei colossi cui buona parte degli operai guarda non a caso con sospetto, se non addirittura con astio.Lo speciale contiene due articoli.La grande industria tecnologica americana potrebbe diventare una questione centrale nella prossima battaglia elettorale per le presidenziali statunitensi. La senatrice del Massachusetts e candidata alla nomination democratica, Elizabeth Warren, ha presentato infatti pochi giorni fa la sua proposta per arginare le tendenze monopolistiche dei colossi della Silicon Valley.Una proposta molto articolata, con cui la senatrice sta evidentemente cercando di ritagliarsi un ruolo maggiormente autonomo nella rissosa pletora di competitor che sta caratterizzando le primarie democratiche. Per cercare di recuperare terreno rispetto al suo principale rivale, il senatore del Vermont Bernie Sanders, la Warren sta infatti puntando molto su una duplice strategia: avanzare proposte dettagliate e – al contempo – cercare di smarcarsi parzialmente dalle frange più radicali del partito (giorni fa, ha non a caso rifiutato di definirsi «socialista»).In questo senso, il progetto si suddividerebbe essenzialmente in due parti. Nella prima, la senatrice vorrebbe far approvare una norma che proibisca alle società di organizzare un marketplace e di prendervi contemporaneamente parte, offrendo i propri servizi: elemento questo che costringerebbe giganti come Amazon e Google a rinunciare a un gran numero delle loro attività. In secondo luogo, la candidata propone di nominare dei regolatori che dovrebbero sovrintendere al controllo di fusioni aziendali potenzialmente anticoncorrenziali (il riferimento qui è soprattutto all'acquisizione di Instagram da parte di Facebook). «Le grandi aziende tecnologiche odierne hanno troppo potere - troppo potere sulla nostra economia, sulla nostra società e sulla nostra democrazia. Hanno bandito la concorrenza, usato le nostre informazioni private per profitto […] E nel processo, hanno danneggiato le piccole imprese e soffocato l'innovazione», ha tuonato la Warren.Il punto è capire quanto questa linea abbia effettive possibilità di successo: la situazione appare infatti abbastanza complessa. La principale legge antitrust statunitense è lo Sherman Act del 1890: una normativa tramite cui, nel 1911, la Corte Suprema stabilì di spezzettare il colosso petrolifero Standard Oil in una serie di aziende separate e autonome. Ecco: è proprio a questa legge che la Warren dovrebbe principalmente rifarsi, per attuare il suo progetto contro i giganti tecnologici. Eppure potrebbero esserci dei problemi. Per quanto riguarda la proposta sul marketplace, il nodo è costituito dal punto di partenza: la senatrice ne fa infatti principalmente una questione di tutela dell'innovazione. L'assenza di adeguata competizione – questo il suo ragionamento – impedirebbe la nascita di nuove startup e conseguentemente di nuove tecnologie. Una visione che, per quanto risulti in linea con le posizioni dell'antitrust europeo, non è detto possa trovare riscontri in quello statunitense.Nel corso dei decenni, la logica di fondo dello Sherman Act è sempre stata infatti quella di colpire i monopoli non per la salvaguardia dell'innovazione ma per mantenere i prezzi bassi. Tendenzialmente, sino ad oggi, l'interpretazione di questa legge ha oscillato tra due modelli contrapposti: quello di Theodore Roosevelt e quello di Milton Friedman. Se il primo prevede che la lotta al monopolio debba avvenire attraverso l'intervento dello Stato, il secondo sostiene che solo un radicale liberismo possa conseguire questo obiettivo. In entrambi i casi resta però l'idea che la principale finalità sia quella di mantenere i prezzi bassi: un elemento, quest'ultimo, che nella questione del marketplace non risulta effettivamente minacciato. Alcuni esperti si dicono invece maggiormente ottimisti sulla possibilità dello «spezzatino», seguendo l'esempio della Standard Oil. Qui effettivamente potrebbe esserci uno spazio di manovra, per quanto i precedenti non siano poi così incoraggianti. Nel 2000, una sentenza stabilì che Microsoft, all'epoca accusata di monopolio, avrebbe dovuto essere divisa in due. La decisione venne tuttavia ribaltata in appello, mentre il colosso raggiunse un compromesso nel 2001 con il Dipartimento di Giustizia americano, evitando così di venire frantumato.Eppure, nonostante queste difficoltà, Elizabeth Warren non è l'unica figura nell'agone politico americano decisa a intervenire duramente sulla questione dei giganti tecnologici. Non è del resto un mistero che Bernie Sanders porti da sempre avanti una dura battaglia contro Amazon, in termini di rivendicazioni salariali, tasse e diritti sindacali. E lo stesso presidente americano Donald Trump, lo scorso novembre, ha dichiarato che la sua amministrazione sta verificando eventuali violazioni delle norme antitrust da parte di Google, Facebook e della stessa Amazon. Segno di come questa problematica stia diventando sempre più trasversale rispetto ai principali partiti statunitensi. E di come – probabilmente – possa rivelarsi centrale in vista della campagna elettorale per le presidenziali del 2020.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sherman-act-2631533493.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-sa-che-anche-nel-2020-a-decidere-le-sorti-sara-la-rust-belt" data-post-id="2631533493" data-published-at="1757894325" data-use-pagination="False"> Trump sa che anche nel 2020 a decidere le sorti sarà la Rust belt È altamente probabile che, come nel 2016, anche nel 2020 le sorti delle presidenziali saranno decise dal voto della classe operaia impoverita della Rust Belt. Non soltanto Donald Trump sta cercando di mantenere la presa su questa quota elettorale ma lo spostamento sempre più a sinistra del Partito Democratico mostra che una parte dell'asinello punti al recupero del voto dei colletti blu. Una situazione che potrebbe condurre i principali contendenti a una serrata critica dei colossi tecnologici: quei colossi cui buona parte degli operai guarda non a caso con sospetto, se non addirittura con astio.Ecco che dunque la nuova tornata elettorale potrebbe risolversi in un vero e proprio scontro tra Rust Belt e Silicon Valley. In questo senso, come abbiamo visto, i democratici di sinistra stanno assumendo delle posizioni molto severe verso i big tecnologici. Posizioni sostenute in passato anche da Donald Trump che, due anni fa, tacciò a più riprese i giganti del web di partigianeria politica, oltre che di rappresentare un pericolo per i posti di lavoro americani. Non è d'altronde un mistero che il magnate si sia da sempre presentato come un paladino dell'industria tradizionale (soprattutto automobilistica).Ciononostante oggi per il presidente la situazione si è fatta più complicata. Nonostante la Casa Bianca stia effettuando le sue valutazioni in materia di antitrust, il magnate si trova al momento costretto ad assumere una posizione più moderata. E il motivo risiede in ragioni di sicurezza nazionale. Non dobbiamo infatti dimenticare come recentemente Trump abbia firmato un ordine esecutivo per dare impulso allo sviluppo dell'intelligenza artificiale: una scelta avvenuta probabilmente sulla scorta del report redatto dal Pentagono sull'IA nel 2018, in cui si mette in risalto la necessità di uno sforzo nazionale nel settore, che coinvolga anche le stesse società private. Società con cui il magnate deve quindi adesso sforzarsi di andare un po' più d'accordo.Insomma, il presidente si ritrova a doversi barcamenare tra le esigenze della Difesa e quelle di natura elettorale, per cercare di non scontentare la sua base. Dovrà quindi armonizzare questa duplice linea, tenendo presente che – con l'avvicinarsi del 2020 – non sia comunque escludibile un'offensiva contro i colossi tecnologici. A partire proprio da Amazon, con cui Trump non ha mai intrattenuto rapporti idilliaci, soprattutto a causa dell'antipatia nutrita verso Jeff Bezos. Anche perché alla fine il cuore del presidente ha sempre battuto e continuerà a battere per la Rust Belt: San Francisco e Seattle sono avvisate.
Jose Mourinho (Getty Images)