2024-07-03
Sentenza sgradita e crisi di nervi dem. La Corte Suprema adesso è un nemico
Alexandria Ocasio-Cortez (Getty Images)
La decisione su Donald Trump fa impazzire l’Asinello: da Joe Biden in giù, è gara a delegittimare i giudici. Ma non era un vizio di destra?In uno scenario sempre più polarizzato, i «buoni» considerano gli organismi di garanzia e persino il voto dei fastidiosi accidenti.Lo speciale contiene due articoli.I democratici continuano a ripetere che Donald Trump rappresenterebbe un pericolo per la democrazia. Sarebbe tuttavia forse il caso che iniziassero a guardare in casa loro. Sì, perché non è che l’Asinello sembri avere dei comportamenti proprio in linea con gli standard di una democrazia liberale. Per capirlo, basta dare un’occhiata alle reazioni che ha avuto rispetto alla recente sentenza della Corte Suprema, che ha riconosciuto a Trump l’immunità per alcune delle condotte contestategli da Jack Smith: il procuratore speciale che ha accusato l’ex presidente di aver cercato di ribaltare i risultati elettorali del 2020. Neanche a dirlo, i dem sono andati su tutte le furie, oltrepassando i limiti. Un conto è infatti legittimamente dissentire da una sentenza che non si condivide. Un altro conto è delegittimare l’organo che ha emesso quella stessa sentenza.«Questa decisione odierna è la continuazione dell’attacco della Corte, negli ultimi anni, a una vasta gamma di principi giuridici consolidati nella nostra nazione: dall’eliminazione del diritto di voto e dei diritti civili alla revoca del diritto di scelta delle donne, fino all’odierna decisione che mina lo stato di diritto di questa nazione», ha tuonato Joe Biden, sostenendo inoltre che Trump dovrebbe essere processato prima delle elezioni. Il leader dei dem alla Camera, Hakeem Jeffries, ha inoltre accusato la Corte di essere in mano all’«estrema destra», mentre la deputata, Alexandria Ocasio-Cortez, ha invocato l’impeachment per i giudici, aggiungendo che «la Corte Suprema è stata consumata da una crisi di corruzione fuori dal suo controllo». Di «democrazia a repentaglio», ha inoltre parlato il senatore dem, Richard Blumenthal.Ora, a proposito di tutela dello stato di diritto, le parole che avete appena letto certificano una palese violazione del principio della separazione dei poteri: Biden è a capo dell’esecutivo, mentre Jeffries, Blumenthal e la Ocasio-Cortez sono esponenti del legislativo. Con le loro durissime parole, tutti costoro hanno delegittimato la Corte Suprema, che è il massimo organo del potere giudiziario negli Stati Uniti. Non è d’altronde la prima volta che questo accade. Quando a maggio 2022 Politico pubblicò la bozza di sentenza che avrebbe ribaltato Roe v Wade, sia Biden sia l’allora Speaker della Camera, Nancy Pelosi, intervennero a gamba tesa sulla questione, mettendo la Corte sotto pressione in vista della sentenza ufficiale. Addirittura, a marzo 2020, il senatore dem, Chuck Schumer, arringò una folla di manifestanti abortisti davanti alla Corte Suprema, dichiarando che due togati nominati da Trump, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, avrebbero «pagato un prezzo» se si fossero schierati contro l’interruzione di gravidanza.Domanda: un simile modo di agire è rispettoso dello stato di diritto? È normale che un presidente americano in carica auspichi un processo penale accelerato per il suo rivale alle prossime elezioni? Sì perché, con le sue parole, Biden ha messo sotto pressione il tribunale distrettuale che dovrà adesso decidere se alcune delle condotte contestate a Trump siano o meno tutelate da immunità. Tra l’altro, Biden oggi si scandalizza tanto perché i supremi giudici avrebbero dato troppo potere alla carica presidenziale. Eppure, due mesi fa, fu proprio lui a invocare il privilegio dell’esecutivo per evitare di consegnare ai parlamentari repubblicani i nastri dell’interrogatorio che aveva sostenuto con il procuratore speciale, Robert Hur.Certo, l’Asinello ripete che la Corte Suprema sia di parte perché ha attualmente sei giudici di nomina repubblicana e tre di designazione dem. Eppure anche qui bisogna fare un po’ di chiarezza. I supremi togati vengono nominati dal presidente degli Stati Uniti previa ratifica del Senato: questo vuol dire che ci sono state fasi in cui la maggioranza è stata di designazione dem e altre in cui è stata di nomina repubblicana. In secondo luogo, da quando c’è l’attuale composizione di sei a tre, si sono verificati casi in cui la Corte si è pronunciata a favore di Biden. Nel 2022, per esempio, diede ragione all’attuale presidente, che voleva abrogare una politica migratoria restrittiva, risalente all’amministrazione Trump (la «Remain in Mexico Policy»): ciò fu possibile anche in virtù del fatto che Kavanaugh si schierò con i colleghi di designazione dem. Come mai in quel caso la Corte Suprema non fu accusata di essere di estrema destra?Infine, sempre giustamente attenti a ricordare la deprecabile irruzione al Campidoglio, i dem mostrano di avere la memoria corta su altre questioni. Bisognerebbe per esempio ricordare le chiese vandalizzate nel 2022 dagli attivisti antiaborto. Andrebbe inoltre rammentato che una folla di manifestanti progressisti invase un edificio del Senato nel 2018: manifestanti aizzati dall’allora senatrice Kamala Harris, nella sua strenua opposizione alla ratifica parlamentare della nomina di Kavanaugh. Si contarono oltre 300 arresti. Che cosa c’entri tutto questo con la democrazia liberale, resta un mistero.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sentenza-sgradita-crisi-nervi-dem-2668672684.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="se-i-capisaldi-del-liberalismo-sono-ostacoli-da-rimuovere" data-post-id="2668672684" data-published-at="1719969945" data-use-pagination="False"> Se i capisaldi del liberalismo sono ostacoli da rimuovere Parlando, nel 2017, del «fenomeno Le Pen» (padre), il grande filosofo francese Pierre Manent ha scritto: «Il tratto distintivo che l’ordine liberale e democratico aveva come fondamento era la uguale legittimità della maggioranza e dell’opposizione.Il nuovo ordine che si sta imponendo sempre di più su tutti noi riposa sul contrasto fra opinioni legittime e illegittime. Mi sembra già chiaro che con questa trasformazione abbiamo iniziato il passaggio a un ordine che si affida al confronto fra ortodossia ed eresia politica. Se questo è vero, siamo in procinto di abbandonare la democrazia cosi come l’abbiamo conosciuta finora». Sono parole di straordinaria attualità, non solo perché lo spauracchio è passato di padre in figlia, ma perché la contrapposizione tra dogma ed eresia è diventata la cifra delle ultime tornate chiave della politica mondiale. Non a caso Manent notava il fenomeno nell’anno successivo alle «rivoluzioni» della Brexit e di Donald Trump (2016). I custodi dell’ordine liberale tendono a rappresentarsi assediati da barbari che premono alle porte della cittadella, contando sulla quinta colonna all’interno delle mura, con le sue etichette anonimizzanti e inquietanti: i populisti, i nazionalismi, i sovranisti, gli anti sistema, gli illiberali, i tifosi delle «democrature» e, di lì a poco, i nemici della scienza, i putiniani. Questo continuo polarizzarsi della scena è la grande trasformazione colta da Manent: la cornice liberale che nasce per garantire l’ordinato confronto delle fazioni all’interno di società prive di assoluti, il sistema di regole che promette e permette che lo stato di diritto e il mercato portino all’equilibrio, diventa lo steccato che separa l’ortodossia dalla bestemmia, l’inevitabile dall’inaudito. Ogni liturgia ha i suoi sacerdoti. Ed è uno spettacolo d’arte varia vedere come, quasi nelle stesse ore, questo clero sembri piazzare dinamite sotto le colonne del tempio. L’esercizio del voto, momento supremo della formazione democratica dei rapporti di forza, in Francia è dichiaratamente trattato come un problema non dai fan del totalitarismo ma dal vertice dell’Eliseo, che bolla un’offerta politica scelta al primo turno da un francese su tre come fuori dall’alveo della République, con contorno di manifestazioni di piazza contro l’esito del voto: non perché sospettato di brogli ma perché sgradito. Con precisa contemporaneità, i Democratici americani, da Joe Biden in giù, vanno all’assalto della Corte suprema e del suo pronunciamento a tutela dell’immunità parziale nei confronti di Donald Trump. Come documenta l’articolo qui sopra, si sono riascoltati i toni vagamente eversivi riservati ai giudici supremi in occasione di Dobbs, la sentenza che ha tolto l’aborto dal novero dei diritti costituzionalmente garantiti. L’estremizzazione ulteriore della deriva inquadrata da Manent ci porta dentro un rovello che investe di colpo e insieme Francia, Unione europea e Stati Uniti. Gli autoproclamati custodi del sistema liberale (Macron, i vertici dell’Ue, Biden) paiono mettere in dubbio i fondamentali stessi del «sistema» per difenderlo dai suoi presunti assalitori (la Le Pen, i «nemici dell’Europa», come ripete la Von der Leyen, e ovviamente Donald Trump). Quando i risultati non sono graditi, l’esercizio del voto diventa un problema da arginare (c’è forte simmetria tra il Nuovo fronte popolare con i suoi accordi di desistenza e l’arrocco dello schema politico per l’Ursula bis: sono operazioni formalmente fondate quanto sostanzialmente di delegittimazione arbitraria di una posizione politica ritenuta non ammissibile. Ma chi decide dove e come porre questa linea di faglia? Una possibile risposta, sempre nella cornice liberale, è: gli organi di garanzia. Bene, Alexandria Ocasio-Cortez, la star di ultrasinistra Usa, ha chiesto l’impeachment della Corte suprema dopo la sentenza sull’immunità. Diventa un po’ difficile, di qua o di là dall’Atlantico presentarsi come protettori delle democrazie mentre se ne negano apparentemente gli stessi fondamenti. Forse ci aveva visto giusto un altro grande studioso del diritto e della politica, l’ex giudice costituzionale tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde, che aveva illustrato così il paradosso filosofico che porta il suo nome: «Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)