
Gli scavi di Pompei dimostrano la sua esistenza fin dai tempi dell’Impero Romano. Nei secoli si è evoluta, senza mai perdere la sua natura di piatto povero però completo. E soprattutto gustoso.Ha suscitato grande interesse la notizia del ritrovamento di un affresco sull’atrio della casa dell’Insula 10 della Regio IX degli scavi di Pompei, casa non a caso vicina a un panificio. Gli scavi archeologici di Pompei, in corso ormai da un po' di secoli poiché principiati da Carlo III di Borbone, non solo hanno un incommensurabile valore artistico, perché restituiscono i resti dell'antica Pompei (posizionata sulla collina di Civita e prospiciente l’attuale Pompei) cristallizzata, come Ercolano, Stabia e Oplonti, dall’eruzione del vulcano Vesuvio dell’anno 79 d.C. Questi magnifici scavi, che costituiscono un amplissimo sito archeologico diviso in nove quartieri chiamati Regiones a loro volta suddivisi ciascuno in più isolati o Insulae, possiedono anche un eccezionale valore in termini di continue emersioni di testimonianze che permettono di ricostruire la vita al tempo degli Antichi Romani, poiché Pompei è la città meglio conservata di quell’epoca: usi e costumi anche alimentari possono essere rivelati ex novo o confermati da una costruzione, da un suppellettile, da un’opera d’arte. Proprio com'è appena successo con l’affresco in questione, emerso dagli scavi appunto nell’isolato 10 della Regio IX, iniziati tra il 1888 ed il 1891, poi sospesi, poi ripresi a gennaio 2023. A un primo e veloce sguardo il magnifico affresco sembra ritrarre una vera e propria pizza napoletana contemporanea con tanto di cornicione e un topping che, tra una forma ovale bianca che pare un pezzo di mozzarella o addirittura un’ovolina, un pezzo di qualcosa di rosso che sembra una fetta di pomodoro e un fondo rosso mattone che, ancora, evoca la passata di pomodoro. Sommando tutto, questa parte dell’affresco è parsa proprio una pizza napoletana, addirittura una margherita!, a molti osservatori odierni. Dobbiamo contraddire Luigi Pirandello e no, così non è anche se vi pare. Nell’identificazione della «cosa» come pizza napoletana margherita sono certamente entrati in gioco il trompe l’oeil, quel fenomeno per cui un’immagine inganna l’occhio parendo qualcosa di diverso da ciò che in effetti è, e la pareidolia, cioè la tendenza del nostro cervello a riconoscere forme familiari in manifestazioni che hanno quella grafica per caso e sono altro, e certamente si è scambiata per una bella pizza napoletana margherita contemporanea ciò che non è e non poteva, ovviamente, essere. Un caso di pizzaeidolia (consentiteci di scherzare), perché certamente 2000 anni fa non v'era il pomodoro, giunto in Europa dopo la scoperta dell’America della fine XV secolo. Quanto alla mozzarella, seppure la prima testimonianza storica sulla vocazione casearia del sud Italia venga da Plinio il Vecchio che nella Naturalis Historia nomina il «laudatissimum caseum del Campo Cedicidio», certamente un formaggio vaccino, proveniente dal campo che sarebbe l’attuale Piana dei Mazzoni tra Mondragone, Castel Volturno e Volturno, la prima attestazione del nome «mozza» si ritrova in un documento dell’Archivio Episcopale di Capua del Dodicesimo secolo che parla di pani con mozza o provatura (la provatura era una specie di antenato della mozzarella) coi quali i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua rifocillavano i pellegrini. Dell’impossibilità che quella ritratta sia una pizza margherita pari pari in tutto e per tutto a una coeva ha dato atto anche il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel. Il direttore, in varie dichiarazioni mediatiche, ha spiegato che si tratta di un’immagine che all’osservatore odierno fa comprensibilimente venire in mente una pizza, soprattutto in terra napoletana, poi ha tosto precisato che «ovviamente non è così, però poteva essere un lontano antenato». Anche sull’E-Journal Scavi di Pompei del 27 giugno 2023, leggibile on line sul sito pompeiisites.org e completamente dedicato a questa natura morta con xenia dallo scavo della casa IX 10,1 a Pompei di cui ci stiamo occupando, Zuchtriegel spiega innanzitutto che il pannello affrescato a fondo nero con natura morta riporta una composizione strutturata su due piani prospettici resi da mensole. Sulla mensola superiore è poggiato un grande vassoio in argento ad anse mobili contenente un cantharus (calice) dello stesso materiale, ricolmo di vino, e diversi frutti secchi e di stagione. Parte di questi frutti sono dipinti al di sopra di un elemento di colore bruno (forse una cesta o, più probabilmente, una focaccia) che occupa l’intera porzione sinistra del vassoio. È la «cosa». Zuchtriegel spiega che questa che chiameremo proto-pizza è un «elemento di colore bruno», «forse una cesta o, più probabilmente, una focaccia». Continuando a leggere le sue parole, scopriamo che tra i frutti rappresentati nel vassoio quelli in primo piano sono corbezzoli gialli e foglie montati a ghirlanda, inseriti su di una asticella azzurra avvolta da un nastro rosso (qualcuno, sui social e sui foodblog ha parlato di ananas, ciò che naturalmente non sono e ciò si evinceva anche dalla forma, piccola in proporzione a quella delle foglie, oltre al fatto che anche l’ananas arriva in Europa dopo la scoperta dell’America). La porzione sinistra del vassoio, spiega il Journal, è occupata da un oggetto piatto ricolmo di altra frutta secca (si riconoscono un dattero ed un fico), in parte sbriciolata. L’oggetto piatto è la nostra proto-pizza e la resa di tale oggetto, spiega sempre Zuchtriegel, nonché il fatto che esso sia coperto da elementi lumeggiati di diverso colore che sembrano indicare delle spezie o un qualche condimento, suggerisce, infine, che si tratti di una focaccia edibile piuttosto che di una cesta o di un supporto ligneo. Alcuni commentatori spuri cioè non specialistici, ma anche alcuni specialistici, hanno anche messo in dubbio che si potesse trattare di una focaccia edibile, asserendo che fosse invece un piatto. Ebbene, spiega Zuchtriegel che «l’uso di focacce come offerte, che al tempo stesso assumono la funzione di «supporti» o «contenitori» per altri oggetti votivi (frutta in particolare), ha una lunga tradizione nell’Italia del I millennio a.C., attestata da numerose terrecotte miniaturistiche a forma di focaccia/piattino, trovate nei santuari della penisola». La terracotta imita il piatto edibile e il piatto edibile svolge la funzione del piatto di terracotta, in più è edibile. Ergo, se fosse stato un piatto ciò non avrebbe testimoniato che all’epoca focacce simili non esistessero. Non vi è affatto reciproca esclusività tra focaccia edibile, che fa da supporto come un piatto, e un piatto vero e proprio, che imita la focaccia che fa da piatto. Il quadretto qui presentato, prosegue Zuchtriegel, si inserisce in una categoria di nature morte a cui è stato attribuito il nome di xenia, che significa «doni ospitali», basandosi su una serie di testimonianze letterarie, in primis Vitruvio (I sec. a.C.), Marziale (I sec. d.C.) e Filostrato (II/III sec. d.C.). Gli xenia erano di due tipi, l’offerta sacra, votiva, fatta ai santuari e l’offerta ospitale, laica, di vivande all’ospite in casa propria. Alcuni commentatori hanno rifiutato l’idea che un pane edibile usato come piatto possa essere considerato l’antenato della pizza, ma come spiega sempre Zuchtriegel esistono passi importanti nel corpus virgiliano che sembrano evocare una specie di pane o focaccia condita con verdure, frutti, erbe e formaggio a mo’ di imbottitura. Nel libro VII, versi 107-147, dell’Eneide di Virgilio si parla proprio di mense divorate. Si compie la profezia anticipata nel libro III, nei versi da 315 a 320, secondo cui i Troiani avrebbero trovato la loro patria nella terra sulla quale spinti dalla fame avrebbero mangiato le proprie mense, cioè queste focacce/vassoio: «Enea, i capi supremi e Iulo si distendono / sotto i rami d’un albero altissimo: preparano / i cibi, mettendo sull’erba larghe focacce di farro / come fossero tavole (consigliati da Giove), / e riempiono di frutta i deschi cereali. / Allora, consumati quei poveri cibi, / la fame li spinse ad addentare le sottili focacce / spezzandone l’orlo. «Ahimè - fece Iulo, / scherzando - noi mangiamo anche le nostre mense». Erano focacce che servivano da supporto ai «frutti della terra», almeno in parte di forma rotonda come si evince dall’uso del termine orbis, che indica appunto un oggetto discoidale. Non si può pensare di ritrovare reperti di pizze degli Antichi Romani risalenti a migliaia di anni or sono identiche o perfettamente sovrapponibili alle pizze odierne, tonde al piatto da mangiare seduti o a portar via nelle varie fogge possibili, dal pezzo di pizza romano al padellino. Il rapporto di derivazione di un piatto da una sua versione originaria contempla anzi pretende per logica che quella versione sia diversa dall’evoluzione attuale, altrimenti non ci sarebbe alcuna derivazione, ma semplicemente la replica immobile di in piatto nato in un modo e mai mutato. Ciò che nel mondo delle ricette e in generale della cucina esiste, ma è eccezione e non regola. Lo dimostrano piatti che oggi sono declinati in un modo impensabile in passato, come la cremina della cacio e pepe o la carbonara col solo tuorlo: certamente il pastore non stava attento a fare alcuna cremina e quale affamato dei secoli scorsi avrebbe mai gettato via il bianco d’uovo? Il fatto che la mensa fosse un piatto edibile non rende illegittima la concezione di un piatto edibile come base e un topping variabile come antenato della pizza, perché la pizza questo è. Una base e un topping messi insieme. La nostra concezione attuale della pizza, che ne siamo coscienti o meno, deriva da quella di una mensa edibile su cui si appoggia altro. Proprio come nella protopizza di Pompei. Il maestro della pizza al taglio romana Gabriele Bonci, che abbiamo intervistato su queste pagine il 16 gennaio scorso, ci ha detto: «La pizza è il cibo più mangiato al mondo, è un vassoio, sopra ci puoi mettere 2500 ingredienti». E: «Quando scegliamo la pizza non la scegliamo per impasto, ma per ingrediente: «Mi fai una capricciosa? Mi fai una margherita?». E anche il pizzaiolo che non lo dice, spesso concepisce la pizza così, operando separatamente sull’impasto e sul topping. E talvolta anche i menù, e non solo delle pizzerie gourmet, facendo abbinare al cliente il tipo di impasto che preferisce e il topping del gusto di pizza che più gli aggrada legittimano una concezione di pizza come elementi separati e giustapposti che si ricollega alla mensa degli Antichi Romani. Andando al topping, cosa c’è su quella focaccia, su quella protopizza? Affidiamoci ancora a Zuchtriegel. Una poesia in stile bucolico di 122 versi dal titolo Moretum, attribuita a Virgilio, racconta del contadino che prepara la sua prima colazione fatta di un pane non lievitato cotto al momento e il moretum, sorta di pesto fatto di aglio, erbe e formaggio (da cui secondo molti deriva il pesto genovese attuale). Ricette simili si trovano in Columella (De re rustica XII, 59) e Ovidio (Fasti IV, 365-370): spiega Zuchtriegel che «in nessuno di questi testi si dice in maniera esplicita che questa specie di pesto venisse spalmato su un pezzo di pane o su una focaccia, anche se lo possiamo immaginare. In ogni caso, i puntini color giallo e ocra che coprono il pane rappresentato nella casa IX 10,1, potrebbero indicare quel tipo di condimento. Il direttore conclude: «La messa in scena a cui sono sottoposti pani non lievitati, focacce, erbe e poma agresta, alla fine, appare così forse non tanto dissimile, con le dovute riserve, al destino della pizza nel nostro presente, che ha visto questo pasto «povero» conquistare le cucine di chef stellati in tutto il mondo, per essere, infine, nel 2017, riconosciuta quale «arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano» come parte del patrimonio culturale dell’umanità». Chiamiamo la pizza di Pompei protopizza, è la definizione che ci sembra più calzante.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
Lo scienziato cattolico Howard Thomas Brady, ex sacerdote: «Con papa Francesco, ai ricercatori critici è stato vietato perfino di partecipare alle conferenze. La Chiesa non entri nel merito delle tesi: è lo stesso errore fatto con Galileo».
(Istock)
Dopo aver sconvolto l’Unione, Pechino taglia dal piano strategico i veicoli green. E punta su quantistica, bio-produzione e idrogeno.
Roberto Burioni (Ansa)
La virostar annuncia il suo trasloco su Substack, piattaforma a pagamento, per tenersi lontano dai «somari maleducati». Noi continueremo a «usarlo come sputacchiera».






