2018-10-18
Se ci sono di mezzo gli immigrati la legalità diventa carta straccia
Dal caso di Riace a quello di Lodi, i progressisti si indignano fregandosene di quel che è previsto dalle nostre norme e su Mimmo Lucano hanno cominciato a parlare di «esilio», hanno raccontato la storia strappalacrime di un uomo cacciato dalla sua città.La criminalità africana ha trasformato la città in un bivacco. E le musulmane pretendono autiste donne sugli autobus.Lo speciale contiene due articoli.Avevamo capito che la legalità fosse una cosa di sinistra: vent'anni di antiberlusconismo ci avevano convinti che l'approccio disinvolto al codice penale fosse roba da reazionari, mentre loro passavano le serate declamando la Costituzione e salmodiando codicilli, ricordando le gesta eroiche delle Procure e citando interi stralci delle intercettazioni che hanno fatto la storia. Era più o meno tutto vero, ma mancava una postilla: la legalità è bellissima, sì, a meno che non ci siano di mezzo gli immigrati. In quel caso le leggi si possono anche infrangere, perché al di sopra dei codici degli esseri umani regna sovrana l'etica umanitaria. Prendiamo Mimmo Lucano, uno che ama definirsi normalmente «fuorilegge» e su cui ancora pendono accuse molto gravi. Ma chi se ne frega, tanto erano infrazioni commesse «a fin di bene», no? Sui giornali, in questi giorni, abbiamo letto fior di editorialisti e politici che, in tutta serietà, discutevano sulla liceità di violare una norma «ingiusta». Il tutto, magari, sugli stessi media che sono sempre così attenti nel denunciare il pericolo eversivo e antidemocratico. Ma cosa c'è di più eversivo e antidemocratico di infrangere leggi a capocchia e pretendere di avere pure ragione?Martedì sera, il tribunale del Riesame ha disposto la revoca degli arresti domiciliari ma ha imposto al sindaco di Riace il divieto di dimora. I giornali progressisti sembrava che avessero scoperto questa misura in quel momento: hanno cominciato a parlare di «esilio», hanno raccontato la storia strappalacrime di un uomo cacciato dalla sua città. «Mimmo come farà? Dove andrà a vivere», si chiedeva affranto il fratello Giuseppe. E tutti gli altri imputati italiani a cui viene comminato il divieto di dimora ogni giorno, com'è che fanno? Ma chi se ne frega, quelli mica sono nei guai per aver aiutato gli immigrati. La stessa revoca dei domiciliari va letta nel più ampio contesto del procedimento contro Lucano: il Tribunale della libertà di Reggio Calabria, infatti, non ha ancora fissato l'udienza per la discussione del ricorso presentato dalla Procura di Locri contro l'ordinanza del gip che ha accolto solo parzialmente le accuse contestate al sindaco di Riace. Il ricorso della Procura, in particolare, mira a far contestare a Lucano anche i reati di associazione per delinquere, concussione, truffa aggravata, abuso e malversazione, che non sono stati accolti dal gip nella sua ordinanza di arresti domiciliari per il sindaco. La vicenda, insomma, è tutt'altro che chiusa.Ma non c'è solo la questione Riace. Prendiamo la vicenda di Lodi. Hai voglia il sindaco, Sara Casanova, a ripetere che quei regolamenti comunali non se li sono inventati loro, che si trattava solo di recepire delle leggi dello Stato (nello specifico il Dpr 445 del 2000 e il 394 del 1999). Macché, Salvatore Merlo, del Foglio, ha scritto sui social che si tratta della «discriminazione attraverso un cavillo». Quando riguarda gli immigrati, la legge viene automaticamente degradata a «cavillo». Ezio Mauro, su Repubblica, ha creduto dio vedervi «una vera e propria procedura implicita di selezione, che si accompagna a una pratica sperimentata della discriminazione». Insomma, delle leggi razziali, in pratica. Del resto L'Espresso non ha paragonato l'Italia del 2018 a quella del 1938? Per Mauro, l'obiettivo dei leghisti «è quello di discriminare, selezionare, distinguere, stanare, additare il nuovo fantasma italiano: il migrante, lo straniero. Separandolo, segregandolo, spingendolo in un mondo a parte, obbligandolo ad accettare condizioni speciali». E pensare che le leggi in questione volevano sortire esattamente l'effetto opposto: evitare che a dover dare prove di una determinata situazione di indigenza fossero solo gli italiani. Nel frattempo, a Firenze, scoppia lo scandalo per il «coprifuoco» imposto agli ospiti dei centri d'accoglienza: una circolare del prefetto impone il rientro obbligato entro le 20 e il «controllo» dei pacchi che arrivano per posta ai migranti. Il presidente della Regione, Enrico Rossi, ha gridato ancora una volta alla Costituzione fatta a brandelli. Le autorità spiegano che, in realtà, tutte le attività che il migrante ha già programmato dopo le 20, come la frequenza di corsi, il volontariato o l'attività sportiva, sono consentite attraverso il via libera prefettizio. La norma sui pacchi, poi, è così giustificata dalla prefettura: «In molti casi sono stati acquistati oggetti di valore, di un valore che, in teoria, chi dichiara di essere indigente, non potrebbe permettersi» (ma guarda un po', tutto si tiene). Giova ricordare che non parliamo di villeggianti, ma di persone che sono prese in carico dallo Stato italiano e la cui posizione deve spesso ancora essere vagliata dalle autorità. C'è quindi una ragione se i controlli si fanno stringenti. Ma sono migranti, quindi ogni regola sa di razzismo e ogni legge odora di discriminazione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/se-ci-sono-di-mezzo-gli-immigrati-la-legalita-diventa-carta-straccia-2613090254.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nel-centro-di-trento-comandano-le-gang-di-spacciatori" data-post-id="2613090254" data-published-at="1757930063" data-use-pagination="False"> Nel centro di Trento comandano le gang di spacciatori La piazza sulla quale affaccia la chiesa di Santa Maria Maggiore, quella del concilio tridentino, è stata risistemata solo qualche anno fa. Seduti sulle panchine, già dal primo pomeriggio, ci sono solo migranti. Era uno dei simboli di Trento: ora è simbolo del degrado e piazza di spaccio. Basta girare l'angolo per imboccare via della Prepositura: un tempo era la strada della borghesia trentina, dove le case costavano un occhio della testa e ora invece i proprietari se le ritrovano con il valore quasi dimezzato. Qui, tra un kebabbaro e un negozio di alimentari con insegne in arabo, sotto i portici, ci sono i money transfer che da qualche tempo tengono impegnati gli investigatori dei reparti speciali di polizia e carabinieri. Entri e mandi in assoluto anonimato qualsiasi cifra. Dopo aver fatto affari con la droga lungo tutta la strada che porta dritta al centro storico. Quando esci hai le tasche vuote e non c'è traccia di ciò che con un click hai spedito molto oltre l'altra sponda del Mediterraneo. Per strada si incontrano solo immigrati e qualche turista. I palazzi in stile rinascimentale sono l'unico dettaglio che ricorda a chi è in transito di essere a Trento. Perché le scene disinvolte di spaccio, invece, potrebbero sembrare quelle viste e riviste a Castel Volturno, nel Casertano. Gli immigrati si passano la droga come se fosse cioccolata. Anche davanti alle istituzioni. A dieci minuti di strada ci sono la sede della Provincia autonoma e della Regione. Fanno ad angolo su un bel lago che un tempo era un parco per turisti. «Ora è il terminal della droga», spiega Alessia Ambrosi, leghista della Valle dei Laghi che a Trento ha ingaggiato una personale battaglia contro il degrado. E infatti in un angolo neanche molto nascosto un immigrato passa qualcosa a un ragazzo italiano. Poco più avanti, quasi di fronte alle finestre della Provincia, a terra ci sono i pezzettini di cellophane usati per impacchettare le dosi. «Dopo aver consumato», spiega Ambrosi, «lasciano i rifiuti per terra». Gli aneddoti sui migranti in quest'area della città sono infiniti. C'è chi racconta di qualcuno beccato a fare i bisogni in pubblico. E chi è stato visto molestare le signore di passaggio. Nel parco i migranti si sentono un po' padroni. Ma non solo nel parco. D'altra parte qui l'accoglienza è stata gestita in modo ideologico. «Si pensi», racconta Ambrosi, «che qualche mese fa una ragazza musulmana protestò perché gli autisti dei bus erano tutti uomini. La storia finì sui giornali locali e poco dopo il servizio di trasporto urbano ha accontentato quelle richieste». Ora quella tratta urbana è affidata solo ad autiste. Mentre le coop, bianche e rosse, anche quest'anno hanno avuto la loro fetta di torta per gestire l'emergenza dei richiedenti asilo: quasi 6 milioni già erogati dal mese di gennaio. Tra chi arriva in città per sfuggire dalle guerre, però, si nasconde qualcosa di molto pericoloso. E il pericolo, a sentire gli investigatori, arriva dalla Nigeria. Ad agosto 13 richiedenti asilo sono finiti dietro le sbarre, accusati di traffico di sostanze stupefacenti. Solo qualche mese prima la polizia ne aveva beccati altri 16. E l'indagine non è ancora chiusa. La mafia nigeriana, a leggere i documenti delle inchieste giudiziarie, è arrivata anche qui. Trento, però, non è pronta. È ancora distratta dal mito dell'isola felice che era un tempo e che ora, grazie a richiedenti asilo trasformati in agguerriti pusher, rischia di lasciarsi alle spalle.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)