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2020-12-30
Scuola e sport, è la (ri)presa in giro
Vincenzo Spadafora (Ansa)
Mettetevi comodi. In vista del nuovo anno, è ricominciato il teatrino della ripartenza. Dopo la Befana, le scuole superiori aprono per il 75 o soltanto per il 50 per cento degli studenti? Il dibattito ferve. E lo sci? Se ne parla (può darsi) a fine mese. Piscine e palestre? Stiamo lavorando per voi. Forse, magari, chissà… A undici mesi dall'arrivo della pandemia in Italia, il governo giallorosso si conferma indiscusso primatista del brancolamento nel buio. Pianificazione bandita, promesse ad horas e palla avanti. Giuseppe Conte e i suoi ministri, «i migliori del mondo», continuano ad arrangiarsi come possono. Cioè, male.
«Si riparte in sicurezza» squillavano all'unisono lo scorso settembre, dopo aver infranto ogni record di lontananza dalle classi. E a inizio ottobre, quando i contagi cominciano a impensierire, Lucia Azzolina, superbo ministro dell'Istruzione, proclama stentorea: «Le scuole non chiuderanno». Conte aggiunge: «Non ci sono i presupposti per prefigurare il ritorno alla didattica a distanza». Un mese più tardi, le superiori ripiombano nell'infernale girone delle sessioni telematiche. E lì sono rimaste, fino a data da destinarsi. Il 20 dicembre Azzolina così rincuora alunni e famiglie: «Siamo tutti d'accordo. Il 7 gennaio si deve tornare a scuola». Comprese le superiori? Ma certo! «Erano aperte anche a settembre. Non possiamo perdere nemmeno un'ora, non importa se il 7 è un giovedì».
Certo, l'incommensurabile privilegio sarebbe riservato soltanto al 75 per cento degli studenti, quota garantita dal dpcm contiano il 3 dicembre scorso. L'accordo era stato raggiunto con le Regioni. Ma poi il governo, come d'uso, riprende a tentennare. Non ha mosso un mignolo per preparare il rientro. E adesso, a dispetto di un quadro sanitario non allarmante, teme l'ennesimo sfacelo. Il problema principale restano gli spostamenti. Il Cts, già dalla scorsa estate, chiede di riprogrammare i servizi. Ma solo all'alba del 28 dicembre 2020 il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, presenta un piano. Anche se già mette le mani in avanti e bene in vista: «Certo, qualche problema ci sarà…». All'eufemismo seguono i timori di Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi: «Il problema principale riguarda la mancata o insufficiente riorganizzazione, che sta costringendo i prefetti a chiedere alle scuole turni di entrata in orari scaglionati molto impegnativi. Far uscire i ragazzi alle 15 o alle 16, soprattutto nel caso dei pendolari, comporterà difficoltà sia per le famiglie che per lo studio».
De Micheli, Azzolina e Luciana Lamorgese, titolare dell'Interno, confermano comunque il rientro per il 75 per cento degli alunni. Alla triade rosa adesso però si oppone Roberto Speranza, cerbero governativo e ministro della Salute. Solo metà degli studenti in classe, intima. «Lui ha fatto un'ordinanza di natura sanitaria» derubrica De Micheli. «Non c'entra con i modelli organizzativi». Ora chi la spunterà tra i titani giallorossi? Intanto, sono passati sei mesi dall'improvvida rassicurazione di Azzolina: «Il governo ha lavorato in questi mesi per garantire la sicurezza di tutti».
E lo sport? Il solito dpcm, a inizio dicembre, garantiva ad esempio che pure gli impianti sciistici sarebbero rientrati in funzione il 7 gennaio. Ma l'ultima riunione del Cts cambia, ancora una volta, le carte in tavola: le cabinovie e le funivie, scrivono gli esperti, sono «assimilabili» ad autobus, tram e metropolitane. Dunque la possibilità di contagio sarebbe elevata, specie nelle ore di punta. Quindi? Urge «efficace riorganizzazione del sistema degli impianti di risalita». Insomma: a una settimana dalla ripresa (parziale) delle superiori, ci si accorge del rischio dei trasporti. Così come, a una settimana dalla riapertura (ipotetica) degli impianti di risalita, si scopre che sarebbe il caso di rivedere i piani. Nel frattempo, mentre i tecnici riformulano, in molte stazioni sciistiche hanno persino iniziato a produrre la neve artificiale. Tutti colpevoli di essersi fidati, un'altra volta, di Giuseppi e i suoi. Dunque, nella solita astinenza di qualsivoglia indicazione, tocca rilanciare ipotesi e congetture: si partirà a fine gennaio? Forse, magari, chissà…
E restano in trepidante attesa pure palestre e piscine. Anche in questo caso, il dpcm fissava una data perentoria: 15 gennaio 2020. L'agognata ripresa sarebbe dunque arrivata il giorno seguente. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, due settimane fa avvalora l'interpretazione. Lui, informa, sta lavorando «a tutti i livelli necessari». Altroché. «In questi giorni ho ricevuto molti messaggi di sportivi che lamentano le chiusure ed evidenziano la moltitudine di persone per strada». Messaggio ai naviganti: i dubbiosi colleghi giallorossi. Ma poi anche lui decide che, quasi quasi, è meglio soprassedere. «Penso sia possibile, seppur con alcune limitazioni, riaprire palestre, piscine e centri di danza» premette. Quando? «Entro la fine di gennaio». All'incirca. Già: chi se ne frega di manubri, stili natatori e volteggi? Del resto, l'unico sport in cui continuano a eccellere i giallorossi è lanciare la palla in avanti alla cieca. E quando l'imbarazzo si fa insostenibile, basta buttare la sfera in tribuna.
Stagione turistica in ginocchio. In nove mesi dimezzate le presenze
La pandemia ha colpito duramente il turismo in Italia: nei primi nove mesi del 2020, infatti, sono calate del 50,9% le presenze negli esercizi ricettivi, con quasi 192 milioni di presenze in meno rispetto al 2019.
Lo rileva l'Istat, precisando che i dati evidenziano l'entità della crisi del turismo interno generata dall'emergenza sanitaria, dopo anni di crescita costante del settore. Il 2019, infatti, aveva fatto registrare un ulteriore record dei flussi turistici negli esercizi ricettivi italiani con 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze e una crescita, rispettivamente, del 2,6% e dell'1,8% rispetto all'anno precedente. In realtà, l'espansione dei flussi turistici sembrava confermata dalle prime evidenze dei dati di gennaio dell'anno 2020 (+5,5% gli arrivi e +3,3% le presenze di clienti negli esercizi ricettivi italiani rispetto allo stesso mese dell'anno precedente). Ma già dal mese di febbraio - in concomitanza con il primo lockdown - si sono resi visibili gli effetti della pandemia e delle conseguenti misure di contenimento (-12% gli arrivi e -5,8% le presenze).
L'Istat fa sapere che nei mesi del lockdown (in particolare, dall'11 marzo al 4 maggio) la domanda si è quasi azzerata e le presenze nelle strutture ricettive sono state appena il 9% di quelle registrate nello stesso periodo del 2019.
In particolare, il calo delle presenze è stato pari a -82,4% a marzo, a -95,4% ad aprile e a -92,9% a maggio. Pressoché assente la clientela straniera (-98,0%, sia ad aprile che a maggio).
Complessivamente nei mesi del lockdown, la variazione, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, è stata pari a -91% con una perdita di quasi 74 milioni di presenze, di cui 43,4 milioni di clienti stranieri e 30,3 milioni di italiani.
Nel mese di giugno 2020, poi, in seguito alla possibilità di ripresa degli spostamenti interregionali, i flussi turistici sono iniziati timidamente a risalire; tuttavia, le presenze totali hanno rappresentato appena il 21% di quelle registrate nello stesso mese del 2019: anche in questo caso la perdita di presenze è rimasta particolarmente alta per la componente straniera (-93,1%) rispetto a quella domestica (-63,3%). Il trimestre estivo (luglio, agosto e settembre) ha visto un recupero parziale, in particolare nel mese di agosto.
Il comparto alberghiero, continua l'Istat, è stato quello in maggiore sofferenza: le presenze registrate nei primi nove mesi del 2020 sono state meno della metà (il 46%) di quelle rilevate nel 2019, mentre quelle del settore extra-alberghiero il 54,4%. Nello specifico, nel trimestre estivo le flessioni sono state pari, rispettivamente, a -39,7% e -31,1%.
La categoria delle grandi città, poi, composta dai dodici Comuni con più di 250.000 abitanti, è quella che ha sofferto maggiormente la riduzione della domanda rispetto all'anno precedente, con una flessione delle presenze nei primi nove mesi del 2020 pari al -73,2% e un andamento peggiore rispetto alla media nazionale (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019). Per i comuni a vocazione culturale, storico, artistica e paesaggistica la diminuzione è stata del 54,9%, per quelli con vocazione marittima del 51,8%.
I comuni a vocazione montana, invece, hanno registrato un calo inferiore alla media nazionale (-29,3%). Grande crollo, poi, per il turismo internazionale: in Italia dai dati dei primi nove mesi dell'anno le presenze dei clienti stranieri sono in calo del 68,6%.
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Indecente balletto su date e modalità delle riaperture di aule, palestre, piscine e impianti di risalita. Nel primo lockdown gli arrivi negli alberghi sono stati il 9% rispetto a quelli del 2019. Lo speciale contiene due articoli. Mettetevi comodi. In vista del nuovo anno, è ricominciato il teatrino della ripartenza. Dopo la Befana, le scuole superiori aprono per il 75 o soltanto per il 50 per cento degli studenti? Il dibattito ferve. E lo sci? Se ne parla (può darsi) a fine mese. Piscine e palestre? Stiamo lavorando per voi. Forse, magari, chissà… A undici mesi dall'arrivo della pandemia in Italia, il governo giallorosso si conferma indiscusso primatista del brancolamento nel buio. Pianificazione bandita, promesse ad horas e palla avanti. Giuseppe Conte e i suoi ministri, «i migliori del mondo», continuano ad arrangiarsi come possono. Cioè, male. «Si riparte in sicurezza» squillavano all'unisono lo scorso settembre, dopo aver infranto ogni record di lontananza dalle classi. E a inizio ottobre, quando i contagi cominciano a impensierire, Lucia Azzolina, superbo ministro dell'Istruzione, proclama stentorea: «Le scuole non chiuderanno». Conte aggiunge: «Non ci sono i presupposti per prefigurare il ritorno alla didattica a distanza». Un mese più tardi, le superiori ripiombano nell'infernale girone delle sessioni telematiche. E lì sono rimaste, fino a data da destinarsi. Il 20 dicembre Azzolina così rincuora alunni e famiglie: «Siamo tutti d'accordo. Il 7 gennaio si deve tornare a scuola». Comprese le superiori? Ma certo! «Erano aperte anche a settembre. Non possiamo perdere nemmeno un'ora, non importa se il 7 è un giovedì». Certo, l'incommensurabile privilegio sarebbe riservato soltanto al 75 per cento degli studenti, quota garantita dal dpcm contiano il 3 dicembre scorso. L'accordo era stato raggiunto con le Regioni. Ma poi il governo, come d'uso, riprende a tentennare. Non ha mosso un mignolo per preparare il rientro. E adesso, a dispetto di un quadro sanitario non allarmante, teme l'ennesimo sfacelo. Il problema principale restano gli spostamenti. Il Cts, già dalla scorsa estate, chiede di riprogrammare i servizi. Ma solo all'alba del 28 dicembre 2020 il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, presenta un piano. Anche se già mette le mani in avanti e bene in vista: «Certo, qualche problema ci sarà…». All'eufemismo seguono i timori di Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi: «Il problema principale riguarda la mancata o insufficiente riorganizzazione, che sta costringendo i prefetti a chiedere alle scuole turni di entrata in orari scaglionati molto impegnativi. Far uscire i ragazzi alle 15 o alle 16, soprattutto nel caso dei pendolari, comporterà difficoltà sia per le famiglie che per lo studio». De Micheli, Azzolina e Luciana Lamorgese, titolare dell'Interno, confermano comunque il rientro per il 75 per cento degli alunni. Alla triade rosa adesso però si oppone Roberto Speranza, cerbero governativo e ministro della Salute. Solo metà degli studenti in classe, intima. «Lui ha fatto un'ordinanza di natura sanitaria» derubrica De Micheli. «Non c'entra con i modelli organizzativi». Ora chi la spunterà tra i titani giallorossi? Intanto, sono passati sei mesi dall'improvvida rassicurazione di Azzolina: «Il governo ha lavorato in questi mesi per garantire la sicurezza di tutti». E lo sport? Il solito dpcm, a inizio dicembre, garantiva ad esempio che pure gli impianti sciistici sarebbero rientrati in funzione il 7 gennaio. Ma l'ultima riunione del Cts cambia, ancora una volta, le carte in tavola: le cabinovie e le funivie, scrivono gli esperti, sono «assimilabili» ad autobus, tram e metropolitane. Dunque la possibilità di contagio sarebbe elevata, specie nelle ore di punta. Quindi? Urge «efficace riorganizzazione del sistema degli impianti di risalita». Insomma: a una settimana dalla ripresa (parziale) delle superiori, ci si accorge del rischio dei trasporti. Così come, a una settimana dalla riapertura (ipotetica) degli impianti di risalita, si scopre che sarebbe il caso di rivedere i piani. Nel frattempo, mentre i tecnici riformulano, in molte stazioni sciistiche hanno persino iniziato a produrre la neve artificiale. Tutti colpevoli di essersi fidati, un'altra volta, di Giuseppi e i suoi. Dunque, nella solita astinenza di qualsivoglia indicazione, tocca rilanciare ipotesi e congetture: si partirà a fine gennaio? Forse, magari, chissà… E restano in trepidante attesa pure palestre e piscine. Anche in questo caso, il dpcm fissava una data perentoria: 15 gennaio 2020. L'agognata ripresa sarebbe dunque arrivata il giorno seguente. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, due settimane fa avvalora l'interpretazione. Lui, informa, sta lavorando «a tutti i livelli necessari». Altroché. «In questi giorni ho ricevuto molti messaggi di sportivi che lamentano le chiusure ed evidenziano la moltitudine di persone per strada». Messaggio ai naviganti: i dubbiosi colleghi giallorossi. Ma poi anche lui decide che, quasi quasi, è meglio soprassedere. «Penso sia possibile, seppur con alcune limitazioni, riaprire palestre, piscine e centri di danza» premette. Quando? «Entro la fine di gennaio». All'incirca. Già: chi se ne frega di manubri, stili natatori e volteggi? Del resto, l'unico sport in cui continuano a eccellere i giallorossi è lanciare la palla in avanti alla cieca. E quando l'imbarazzo si fa insostenibile, basta buttare la sfera in tribuna. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-e-sport-e-la-ri-presa-in-giro-2649691660.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stagione-turistica-in-ginocchio-in-nove-mesi-dimezzate-le-presenze" data-post-id="2649691660" data-published-at="1609272287" data-use-pagination="False"> Stagione turistica in ginocchio. In nove mesi dimezzate le presenze La pandemia ha colpito duramente il turismo in Italia: nei primi nove mesi del 2020, infatti, sono calate del 50,9% le presenze negli esercizi ricettivi, con quasi 192 milioni di presenze in meno rispetto al 2019. Lo rileva l'Istat, precisando che i dati evidenziano l'entità della crisi del turismo interno generata dall'emergenza sanitaria, dopo anni di crescita costante del settore. Il 2019, infatti, aveva fatto registrare un ulteriore record dei flussi turistici negli esercizi ricettivi italiani con 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze e una crescita, rispettivamente, del 2,6% e dell'1,8% rispetto all'anno precedente. In realtà, l'espansione dei flussi turistici sembrava confermata dalle prime evidenze dei dati di gennaio dell'anno 2020 (+5,5% gli arrivi e +3,3% le presenze di clienti negli esercizi ricettivi italiani rispetto allo stesso mese dell'anno precedente). Ma già dal mese di febbraio - in concomitanza con il primo lockdown - si sono resi visibili gli effetti della pandemia e delle conseguenti misure di contenimento (-12% gli arrivi e -5,8% le presenze). L'Istat fa sapere che nei mesi del lockdown (in particolare, dall'11 marzo al 4 maggio) la domanda si è quasi azzerata e le presenze nelle strutture ricettive sono state appena il 9% di quelle registrate nello stesso periodo del 2019. In particolare, il calo delle presenze è stato pari a -82,4% a marzo, a -95,4% ad aprile e a -92,9% a maggio. Pressoché assente la clientela straniera (-98,0%, sia ad aprile che a maggio). Complessivamente nei mesi del lockdown, la variazione, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, è stata pari a -91% con una perdita di quasi 74 milioni di presenze, di cui 43,4 milioni di clienti stranieri e 30,3 milioni di italiani. Nel mese di giugno 2020, poi, in seguito alla possibilità di ripresa degli spostamenti interregionali, i flussi turistici sono iniziati timidamente a risalire; tuttavia, le presenze totali hanno rappresentato appena il 21% di quelle registrate nello stesso mese del 2019: anche in questo caso la perdita di presenze è rimasta particolarmente alta per la componente straniera (-93,1%) rispetto a quella domestica (-63,3%). Il trimestre estivo (luglio, agosto e settembre) ha visto un recupero parziale, in particolare nel mese di agosto. Il comparto alberghiero, continua l'Istat, è stato quello in maggiore sofferenza: le presenze registrate nei primi nove mesi del 2020 sono state meno della metà (il 46%) di quelle rilevate nel 2019, mentre quelle del settore extra-alberghiero il 54,4%. Nello specifico, nel trimestre estivo le flessioni sono state pari, rispettivamente, a -39,7% e -31,1%. La categoria delle grandi città, poi, composta dai dodici Comuni con più di 250.000 abitanti, è quella che ha sofferto maggiormente la riduzione della domanda rispetto all'anno precedente, con una flessione delle presenze nei primi nove mesi del 2020 pari al -73,2% e un andamento peggiore rispetto alla media nazionale (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019). Per i comuni a vocazione culturale, storico, artistica e paesaggistica la diminuzione è stata del 54,9%, per quelli con vocazione marittima del 51,8%. I comuni a vocazione montana, invece, hanno registrato un calo inferiore alla media nazionale (-29,3%). Grande crollo, poi, per il turismo internazionale: in Italia dai dati dei primi nove mesi dell'anno le presenze dei clienti stranieri sono in calo del 68,6%.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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