- Gli alunni totali calano, eppure quelli bisognosi di sostegno speciale sono cresciuti del 26% in 5 anni. La «medicalizzazione» di ogni comportamento parte dagli anni Novanta.
- L’esperto Raffaele Iosa: «Gli insegnanti si rassegnano a non pretendere troppo: è un errore, così si perdono potenzialità Sui test medici non esiste dibattito scientifico. Le terapie offerte sono sempre di tipo clinico e non educativo».
- Inverno demografico: Nel distretto dei prodotti per bebè si continua a tagliare.
Gli alunni totali calano, eppure quelli bisognosi di sostegno speciale sono cresciuti del 26% in 5 anni. La «medicalizzazione» di ogni comportamento parte dagli anni Novanta.L’esperto Raffaele Iosa: «Gli insegnanti si rassegnano a non pretendere troppo: è un errore, così si perdono potenzialità Sui test medici non esiste dibattito scientifico. Le terapie offerte sono sempre di tipo clinico e non educativo».Inverno demografico: Nel distretto dei prodotti per bebè si continua a tagliare.Lo speciale contiene tre articoli.Che ci sia qualcosa che non va nella nostra scuola non sono soltanto i genitori e alcuni insegnanti ad ammetterlo. A certificarlo c’è l’Istat che ha diffuso, nei giorni scorsi, i dati relativi all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Si tratta di una fotografica complessiva dello stato di salute della scuola italiana scattata all’ultimo anno scolastico completato, il 2023-2024. I dati salienti sono da bollino rosso.Secondo l’Istituto di statistica, sono in aumento gli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane di ogni ordine e grado: quasi 359.000 a giugno 2024, il 4,5% del totale degli iscritti (+6% rispetto al precedente anno scolastico), 75.000 in più negli ultimi cinque anni (+26%). Cresce la quota di docenti per il sostegno con una formazione specifica: dal 63% al 73% in quattro anni, ma sono ancora molti gli insegnanti non specializzati (27%, nel Nord 38%) e l’11% viene assegnato in ritardo. Elevata la discontinuità nella didattica: più di un alunno su due (il 57%) ha cambiato insegnante per il sostegno da un anno all’altro, l’8,4% nel corso dello stesso anno scolastico. Gli alunni con disabilità sono prevalentemente maschi, 228 ogni 100 femmine. Il problema più diffuso è la disabilità intellettiva, che riguarda il 40% degli studenti con disabilità, quota che cresce nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, attestandosi rispettivamente al 46% e al 52%; seguono i disturbi dello sviluppo psicologico (35%), questi ultimi più frequenti nella scuola primaria (39%) e nella scuola dell’infanzia (63%). I disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione riguardano quasi un quinto degli alunni con disabilità. Più di un quarto degli studenti (28%) ha un problema di autonomia, legato alla difficoltà nello spostarsi all’interno dell’edificio, nel mangiare, nell’andare in bagno o nel comunicare. Quasi tutti gli alunni presentano una certificazione di disabilità o di invalidità (98%) che permette l’attivazione del sostegno scolastico.Fin qui la fotografia. Che va messa in relazione con un altro dato, quello dell’inverno demografico che svuota progressivamente e inesorabilmente le culle italiane (diamo conto degli ultimi dati qui accanto). Ma allora perché, se si fanno sempre meno figli, continua ad aumentare il numero di alunni affetti da una disabilità? I due fenomeni insieme non possono conciliarsi. In linea teorica, a una diminuzione delle nascite dovrebbe corrispondere analoga diminuzione dei casi di disabilità. Ma non è così. E dietro questo fenomeno complesso e che sta assumendo dimensioni considerevoli c’è (anche e soprattutto) l’eccessiva medicalizzazione dei bambini e dei ragazzi.Nel corso degli ultimi decenni sono «nate» neo malattie come lo spettro autistico, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, il disturbo oppositivo provocatorio e via discorrendo. Una sorta di Grande malattia, per alcuni esperti, che si aggira per le classi e che non stimola discussioni o ricerche: si guarda, con rassegnazione, ai numeri allarmanti dell’Istat e non ci si interroga su che cosa stia avvenendo. Oppure, al contrario, c’è chi pensa che l’aumento di queste certificazioni delle malattie siano una «conquista della medicina» che sa finalmente dare un nome clinico esatto a ogni guaio comportamentale di bimbi e ragazzi.Un esempio di questo modo di intendere la malattia sono i disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), un tipo di difetti che sono presto stati trasformati in una malattia da affidare ai clinici. L’esplosione di «diagnosi» di questo tipo è figlia diretta di un cambiamento della medicina avvenuto negli anni Novanta, che ha portato sostanzialmente all’invenzione di questo nuovo quadro di malattie. Questa visione in cui la persona-bambino o ragazzo si fa sintomo e causa un ricorso forse smodato alla «medicalizzazione» degli alunni è stata spiegata dallo psicologo inglese Frank Furedi: «Negli ultimi anni sempre più bambini in età scolare vengono classificati come disabili all’apprendimento. Ma patologizzare un basso rendimento ha spesso l’effetto negativo di indurre i genitori e gli insegnanti ad abbassare le aspettative con il risultato di compromettere ulteriormente la motivazione del bambino. La malattia, se viene usata come chiave per l’interpretazione dell’esistenza, non solo indica come ci si deve sentire e vivere i problemi, ma costituisce anche un invito all’infermità». Insomma, nelle classi starebbe avvenendo già da anni quello che si è visto con il Covid o che sta avvenendo con l’eutanasia: è la scienza (o in nome della) che ci dice come bisogna comportarsi, quanti dosi di vaccino vanno fatte, quando è ora di togliere il disturbo perché si è diventati un peso.Quindi a scuola la disabilità è un parto della fantasia dei clinici? Certo che no, ma i numeri paiono esagerati: la scuola fatica a tenere tutti allo stesso passo, le famiglie si disgregano e danno meno importanza all’aspetto educativo dell’unione tra una mamma e un padre, ed ecco che, per aiutare i piccoli in difficoltà o con una «marcia diversa» rispetto ai compagni, si ricorre al medico, al professionista, alla persona esterna che «può risolvere il problema, la malattia» del figlio. Ovviamente, lautamente pagato perché a fronte di un’esplosione di casi clinici, corrisponde un altrettanto evidente boom di professionisti del settore che l’inclusività se la fanno pagare.Come governare, allora, questa ondata di problematiche che finiscono sotto il cappello di «disabilità scolastica»? Innanzitutto, il fronte più avanzato è quello degli insegnanti. Quelli di sostegno sono 246.000 nelle scuole italiane: oltre 235.000 negli istituti statali e circa 11.000 in quelli non statali, con un incremento complessivo rispetto all’anno precedente dell’8,2%. Più di 66.000 insegnanti per il sostegno (il 27%), però, sono stati selezionati dalle liste curricolari, sono cioè docenti che non hanno una formazione specifica per supportare l’alunno con disabilità e che vengono utilizzati per far fronte alla carenza di figure specializzate. Con tutti i suoi limiti, la scuola italiana «tiene botta» per affrontare l’ondata di disabilità scolastica: un aumento degli insegnanti di sostegno che ormai è una voce sempre più corposa all’interno del bilancio italiano. Settimana scorsa si è insediato l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, ricostituito con decreto ministeriale 185 del 10 settembre 2024, presieduto dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Proprio in questa occasione, Valditara ha illustrato i provvedimenti di recente adozione, o in corso di adozione, in materia di disabilità, soffermandosi su quelli riguardanti l’incremento dell’organico per i posti di sostegno e la continuità didattica per gli alunni con disabilità, nonché il potenziamento dei percorsi di specializzazione per i docenti di sostegno. Neanche una parola, però, sul perché si stia rendendo necessario questo continuo aumento di risorse e persone per affrontare il boom della disabilità in classe.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-disablita-diagnosi-2671683697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="certificare-come-malati-bimbi-sani-abbassa-le-aspettative-su-di-loro" data-post-id="2671683697" data-published-at="1744008788" data-use-pagination="False"> «Certificare come malati bimbi sani abbassa le aspettative su di loro» Nella scuola ha fatto di tutto: maestro, direttore didattico, ispettore scolastico e poi, per diversi anni, è stato responsabile dell’Osservatorio ministeriale sull’handicap. Veneto, classe 1952, a Raffaele Iosa abbiamo chiesto di aiutarci a leggere i dati sulla disabilità in classe diffusi dall’Istat. Professor Iosa, cosa significano questi numeri? «Per comprenderli, bisogna allargare lo sguardo: prendiamo l’ultimo quarto di secolo. Tra l’anno scolastico 1998-1999 e il 2023-2024 abbiamo un milione di alunni in meno nelle classi, da 8 milioni sono passati a 7. Avremmo dovuto avere in proporzione anche un calo dei bambini con disabilità. Invece, negli stessi 25 anni, il numero di alunni con una certificazione è quadruplicato. Un dato sconcertante. L’autismo, per esempio, è esploso: da un caso ogni mille alunni a uno ogni 77: è incredibile. Può essere legato all’età dei genitori, sempre più altra? Oppure a questioni biologiche? Non lo sappiamo, non c’è una ricerca seria dal punto di vista diagnostico. Un altro dato in aumento è quello dei bambini oppositivi-provocatori, ovvero quelli aggressivi fin dalla scuola dell’infanzia. Anche in questo caso c’è zero letteratura. Penso che una parte di questi bimbi aggressivi abbia problemi a causa di una situazione famigliare critica. Lo sfaldamento della famiglia fa soffrire i bambini. Ma il tipo di terapie che vengono offerte oggi sono quasi sempre di tipo clinico, non educativo». Quindi, che succede? «Sta prendendo piede quella che chiamo medicalizzazione dei bambini. Abbiamo creato il mito del certificato come panacea di tutti i mali. Dal punto di vista pedagogico ed educativo, posso affermare che troppe certificazioni abbassano le attese, le aspettative nei confronti di questi bambini. Sia da parte degli insegnanti, sia da parte dei genitori. La certificazione diventa veicolo alla malattia. Ho visto molte insegnanti, quasi rassegnate, far fare a questi bambini quello che ritenevano possibile e non pretendere di più da loro. È un grandissimo errore, si perdono potenzialità perché domina il concetto che i cosiddetti “comportamenti problema” hanno una natura clinica quando, invece, sono di natura relazionale o educativa». Perché si ricorre alla medicalizzazione? «Negli ultimi 40 anni c’è stata l’esplosione della medicina come mito salvifico e questo non riguarda solo i bambini. E attorno è sorto un mercato che fornisce risposte alla sempre crescente domanda di aiuto. Gran parte dei sintomi che i medici trovano si ricavano da dei test e un dibattito scientifico su questi test non è mai stato fatto sul serio. Non dico che i medici dicano bugie ma tutto dipende da come interpretano un sintomo. Per molti genitori, ricorrere a un medico rappresenta una sorta di rassicurazione, la diagnosi viene percepita come salvifica per il figlio. La ricerca della perfezione della salute attraverso la medicina è un’idea dominante». Che danni possono subire i bambini? «Questa idea che i piccoli non debbano mai soffrire, porta noi adulti a essere, nei loro confronti, esageratamente protettivi e questo non li aiuta a crescere». Perché non si parla di quanto sta avvenendo? «Il mondo della medicina è talmente forte che dovrebbe essere protagonista di un dibattito su questi numeri, dovrebbe scaturire da quell’ambiente una ricerca. Libri e saggi di critica a questa corsa alla certificazione sono molto rari. Dobbiamo smetterla di curare bimbi sani. La mia è una lettura da pedagogista, non da clinico, e quanto vedo mi rattrista molto perché, ripeto, per me molte certificazioni non aiutano i bambini a migliorare: magari hanno doti migliori di quanto può emergere da un test ma non le andiamo a scovare. Molte delle terapie che si stanno inventando oggi sono comportamentistiche. Il mito del bambino perfetto è legato alle tempistiche: se nasce quando i genitori hanno 40 anni, deve essere perfetto per forza nella loro mente». Diceva che attorno a queste malattie, è sorto un vero e proprio mercato. «Sì, è proprio così. Non si può dire che la medicina non abbia compiuto passi in avanti, anzi. Ma nel caso della “cura” dei bambini con disabilità non possiamo non notare come in giro ci siano un sacco di santoni. Sull’autismo, per esempio, ci sono dottori che offrono diete o strane terapie». Come si esce da questa situazione? «Sinceramente, non lo so. È già tanto che ho il coraggio di parlarne: preferisco che qualcuno mi risponda e mi critichi piuttosto che subire questo silenzio di tomba e questa rassegnazione che accompagna il mito della medicina salvifica. L’idea che ogni bambino è un po’ malato è, purtroppo, molto presente e i genitori, avendo pochi figli e volendoli, per questo, perfetti, sono molto deboli verso un medico che fa balenare il sospetto che ci sia qualcosa che non funzioni». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-disablita-diagnosi-2671683697.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="inverno-demografico-nel-distretto-dei-prodotti-per-bebe-si-continua-a-tagliare" data-post-id="2671683697" data-published-at="1744008788" data-use-pagination="False"> Inverno demografico: Nel distretto dei prodotti per bebè si continua a tagliare Se il fenomeno che lega inverno demografico e «boom» di bambini disabili nelle scuole appare come un controsenso che meriterebbe di essere indagato a fondo, quello che unisce culle vuote e desertificazione industriale del settore della prima infanzia è consequenziale. I numeri forniti sempre dall’Istat nei giorni scorsi ci dicono che la popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2024 si attesta a 58,934 milioni, con un calo di 37.000 unità rispetto al 2023, un trend che si protrae dal 2014. Sono state appena 370.000 le nascite nel 2024, con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente e 1,18 figli per donna (erano 1,20 nel 2023), tasso che supera il precedente minimo storico del 1995. Sul numero complessivo delle nascite incide la questione strutturale: ci sono 11,4 milioni di donne in età riproduttiva (vale a dire sino ai 49 anni) a fronte dei 14,3 milioni di trent’anni fa. Ma a incidere sul tasso di fecondità sono anche altri due fattori: l’aumento dei single e la crescita dell’età media delle partorienti. Il primo figlio arriva in media a 32,6 anni, con un’oscillazione geografica che va dai 32,3 anni del Mezzogiorno (dove il tasso di natalità è il più alto, 1,24 figli per donna) ai 33 del Centro. Per non parlare delle famiglie, che si sono «ristrette» ovunque: per l’Istituto di statistica oggi sono composte in media da 2,2 componenti. Sono dati allarmanti che se da un lato mostrano la crisi del Paese, sempre più contraddistinto dall’invecchiamento della popolazione residente che non viene «sostituita» dai nuovi anni, dall’altro ha delle ricadute economiche gravissime. Proprio La Verità, nei mesi scorsi, aveva affrontato questo problema: la crisi della natalità e la pressione della concorrenza internazionale (soprattutto cinese) stanno mettendo in ginocchio l’intero comparto della prima infanzia. Recentemente uno dei marchi storici italiani del settore, Cam, ha annunciato di procedere con il taglio di 50 dipendenti su un totale di 139, praticamente più di un terzo della forza lavoro composta prevalentemente da donne. La scure del ridimensionamento si sta abbattendo nei due poli industriali di Grumello del Monte e Telgate, nella Bergamasca, dove c’è (c’era) un vero e proprio distretto dei prodotti per i bebè. Domanda in calo e mercato invaso da marchi low cost asiatici hanno fatto il crollare il fatturato dai 60 milioni del 2008 ai 19 dichiarati nel 2024. Finiti tutti gli ammortizzatori sociali, spremuti fino all’ultimo per cercare di tamponare la situazione, alla proprietà non è restato altro da fare che licenziare. Non è un caso isolato. Anche altre realtà storiche del settore sono in difficoltà, come la Peg Perego: anche qui tagli al personale e delocalizzazione sono la «ricetta» per affrontare le culle sempre più vuote.
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Due treni deragliati nella regione di Leningrado e l’Ucraina rivendica l’attacco. Il monito del Papa: «La gente si svegli, la pace è l’unica risposta alle uccisioni».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
Clicca qui sotto per consultare il programma completo dell'evento con tutti gli ospiti che interverranno sul palco.
Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.