2025-09-09
Provano a riesumare il gender a scuola. Gli alunni rispondono: non ci interessa
Il 57% dei ragazzi, in classe, parlerebbe di sesso e relazioni sane. Solo il 16 di identità di genere. I nostalgici del ddl Zan annotino...«Trans a rischio di mutilazioni femminili». L’ente che forma gli agenti di polizia inglesi aveva messo l’alert nelle linee guida. Poi il dietrofront.Lo speciale contiene due articoli.Sotto la dicitura di educazione sessuale, vorrebbero portare il gender nelle scuole, facendo rientrare dalla finestra il ddl Zan cacciato dalla porta. Ma ai ragazzi, rapporti affettivi sani e buon sesso interessano di più delle menate sull’identità di genere. È quello che emerge da un’indagine di Webboh lab per ActionAid, finanziata dall’8x1000 ai buddisti.A un campione di 14.700 adolescenti tra 14 e 19 anni, divisi tra un 51% di maschi, un 43% di femmine e un 6% di «fluidi», è stato chiesto di cosa vorrebbero parlare se in classe ci fosse l’ora di educazione sessuale. Il 32,2% ha risposto che si occuperebbe di «consenso e piacere»; il 25,3% desidera «una guida su come costruire relazioni positive»; solo il 16,5% (tenendo conto del suddetto 6% di «fluidi»…) dichiara che seguirebbe «un percorso su orientamenti sessuali e identità di genere». Ed è forse uno specchio dei tempi, della fatica con cui il woke va arretrando, il fatto che percentuali basse di studenti si curino di «aspetti biologici della sessualità» (5,4%) e malattie sessualmente trasmissibili (9,8%). La ricerca nasce per dimostrare l’urgenza di avviare corsi di affettività nelle scuole. Per le associazioni è un business; per la sinistra è una bandierina. Tant’è che Elly Schlein, sulla scia dello scandalo Phica.eu, ha proposto addirittura di renderli obbligatori, mentre Alessandra Moretti denuncia il nuovo mostro: il «patriarcato digitale». È tutto un modo di cavalcare la cronaca per riesumare la già naufragata legge Zan, che poggiava su due pilastri: criminalizzare il dissenso sulla teoria gender e infilare la propaganda Lgbt tra i banchi. In ogni caso, nonostante i ragazzi appaiano poco sensibili agli aspetti scientifici, per lo più se ne infischiano delle bizzarrie dell’antropologia arcobaleno. Oltre il 57% degli intervistati ha più a cuore che gli si spieghi come godere in maniera salutare, senza prevaricare il partner, e come mettere in piedi una relazione basata sul rispetto. È legittimo domandarsi se a impartire lezioni su questi argomenti debbano essere i cosiddetti esperti, che il 48,2% degli adolescenti vorrebbe ascoltare, anziché le famiglie (sulle quali farebbe affidamento solamente il 25,6%) o i docenti (28,5%). Ma il senso dei risultati del sondaggio è chiaro: più buon senso, meno indottrinamento.Sarà per prepararsi a vincere le eventuali resistenze, allora, che il documento preparato per ActionAid cade nell’errore che si prefigge di contrastare, ovvero appiccica delle etichette ai giovani. Il 46% del campione, dice l’Ong, rientra nella categoria degli «adolescenti anti stereotipi» e dei «vigili culturali»: si tratta di «una generazione pronta ad accogliere la parità di genere in modo attivo, critico, empatico», rifiutando i «modelli tossici trasmessi da media e tradizione». Evviva: c’è un esercito di ragazzini convinti che la cultura nella quale sono cresciuti sia un fardello di dolore del quale liberarsi. Il problema è che c’è anche «un gruppo ampio, ma silenzioso», che urge quindi stanare: sono i «tradizionalisti inconsapevoli», quel 21% di giovani che «aderisce a ruoli predefiniti in modo apparentemente innocuo, ma riproduce a livello personale gli stereotipi di genere della società patriarcale». Costoro potrebbero diventare dei pericolosissimi adulti convinti che il maschio abbia il pene e il cromosoma Y e la femmina la vagina e la doppia X. È una platea da correggere prima che sia troppo tardi. Attenzione, comunque, anche ai «giustificazionisti», al 16% che considera la violenza una «forma d’amore, colpevolizzando le vittime», oltre che al 17% di «progressisti distorti», i quali si reputano open mind perché non sostengono che le donne debbano limitarsi a lavare i piatti, ma poi coltivano «credenze pericolose legate al controllo, alla violenza e al giudizio». In sintesi, più della metà degli adolescenti ha bisogno di essere riprogrammata.Chissà se è colpa della «tradizione» pure il disagio registrato dall’indagine per ActionAid: otto intervistati su dieci sono scontenti del loro corpo, sei su dieci subiscono bullismo per motivi legati all’obesità, all’altezza, al colore della pelle e dei capelli, oltre il 50% cambia il modo di vestire per timore dei giudizi altrui, in troppi avvertono il peso dei modelli irrealizzabili proposti dai social. L’adolescenza è sempre stata l’età più delicata, schiacciata tra la pressione del branco e le opprimenti aspettative sociali. Ma ci si dovrebbe domandare se il vuoto interiore, che porta il 70% dei ragazzi a non sapere a chi rivolgersi per consigli su sesso e relazioni, dipenda dalla persistenza delle tradizioni o dalla loro distruzione. Dalla demolizione della famiglia, dei corpi intermedi, della comunità, che un tempo trasmettevano valori e orizzonti di significato, mentre oggi non significano quasi più nulla. La soluzione, al solito, viene ricercata nell’autorità della tecnica e nella medicalizzazione: arriva il luminare col camice bianco. Magari, anche con la bandiera arcobaleno?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-crisi-gender-2673974882.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-strana-denuncia-della-polizia-uk-trans-a-rischio-mutilazioni-femminili" data-post-id="2673974882" data-published-at="1757425265" data-use-pagination="False"> La strana denuncia della polizia Uk: trans a rischio mutilazioni femminili Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) rappresentano oggi un fenomeno terribilmente serio e purtroppo diffuso anche nel mondo occidentale e, in particolare, nel Regno Unito. Basti dire che secondo il servizio sanitario inglese lo scorso anno, solo tra gennaio e marzo 2024, erano state identificate oltre 2.000 ragazzine con Mgf, vale a dire circa 23 al giorno; dall’aprile 2015 il National health service ha invece contato quasi 37.600 ragazzine colpite dalla pratica, particolarmente diffusa nel mondo islamico. Siamo insomma davvero davanti ad una realtà, per quanto politicamente scorretta da denunciare, assai vasta e da non sottovalutare in alcun modo.Per quanto dilaganti, però, mai avremmo pensato, per elementari ragioni di biologia e logica, che le mutilazioni genitali femminili avrebbero potuto mai riguardare soggetti altri da quelli femminili. Eppure, nel Regno Unito notoriamente all’avanguardia sul fronte dell’«inclusione», succede anche questo. A darne notizia è stato il Telegraph che, in un servizio a firma di Craig Simpson, ha raccontato una bizzarra trovata del College of policing (ente professionale della polizia britannica che dal 2012 si occupa di formazione, deontologia ed aggiornamento degli agenti), che ha pensato bene d’inserire nelle proprie linee guida sulle mutilazioni genitali femminili anche le donne transgender, cioè i soggetti biologicamente maschi che «si sentono femminile» e che hanno intrapreso un qualche iter di riassegnazione sessuale.Parliamo, per la precisione, di linee guida fresche di pubblicazione, essendo state diffuse lo scorso agosto, e rivolte agli agenti che indagano sugli «abusi basati sull’onore». Come, appunto, le mutilazioni genitali femminili, ai quali evidenziano come gli ordini di protezione per le vittime di tali violenze possano riguardare «donne, ragazze o qualsiasi altra persona con genitali femminili», inclusi soggetti «intersex, non binari e persone trans, con o senza certificato di riconoscimento di genere». Ora, non ci vuole molto a comprendere come un simile contenuto abbia immediatamente sollevato un polverone. Sì, perché questa bizzarra scelta «inclusiva» è stata trovata del tutto fuori luogo da più osservatori, dato che le mutilazioni genitali femminili, come dice la parola stessa, colpiscono esclusivamente bambine e ragazze biologiche nei Paesi là dove vengono ancora praticate, quali Somalia, Sudan, Egitto e Indonesia, oppure in Occidente, ma presso le comunità immigrate.In ogni caso, cosa c’entrino le donne transgender con questa pratica non si comprende affatto. Di qui le critiche di attiviste quali, per esempio, Helen Joyce di Sex Matters, sigla in prima linea sul tema dei diritti legati al sesso biologico, secondo la quale «è ovvio che gli uomini non possono subire mutilazioni genitali femminili: il termine stesso lo dice». Non senza ragione, la Joyce ha inoltre accusato il College di «confondere la realtà biologica con l’identità di genere», in questo modo allontanandosi dall’effettiva tutela delle bambine realmente a rischio. Parole dure, che sembrano aver già sortito un qualche effetto. A seguito di tali critiche (e di una recente sentenza della Corte Suprema del Regno Unito, che ha ribadito come la definizione legale di «donna» si basi sul sesso biologico) il College of policing ha difatti fatto sapere di voler rivedere le linee guida della discordia.Tanto che un portavoce dell’ente, per velocizzare il dietrofront, ha già dichiarato che gli ordini di protezione contro le mutilazioni genitali femminili «si applicano solo a donne e ragazze biologiche». Com’è pacifico che sia, verrebbe da aggiungere. E fa specie che sia servita addirittura una sentenza della Corte Suprema per capire tutto ciò; diversamente, è lecito immaginare, quelle assurde linee guida sarebbero ancora al loro posto.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.