2022-03-04
«Scriverò ai nostri musei e teatri per dire di non sposare la censura»
Il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni: «Grave errore fare la guerra a un intero popolo».Sui social gira già il meme: «Lev Tolstoj scelga subito la guerra o la pace, altrimenti sarà bandito dalla Feltrinelli». Si ride per non piangere, ma la caccia al russo nello sport, nell’arte, nella cultura, addirittura con valenza retroattiva, per cui si arriva a censurare Fëdor Dostoevskij nelle università, è davvero il segno di un brutto clima. Ne abbiamo parlato con la senatrice leghista e sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni. Senatrice, cosa pensa del caso scoppiato attorno al corso di Paolo Nori su Dostoevskij che si sarebbe dovuto tenere alla Bicocca ma che poi è stato censurato a causa della crisi internazionale?«La cosa forse più grave è che in un’università non ci si renda conto del valore del pensiero di Dostoevskij. Si è solo ragionato sul fatto che fosse russo e, in quanto russo, meritevole di censura. Sono vicina ai docenti che sono intervenuti in difesa dell’evento. Il fatto che questa censura sia avvenuta in un’università rende la cosa ancora più grave. E poi c’è stata la goffaggine nel cercare di tornare indietro».L’ateneo ha proposto di tenere il corso, ma parlando anche di un autore ucraino. Abbiamo veramente bisogno della par condicio in letteratura?«In generale, nella cultura la par condicio per cui se c’è uno deve esserci un altro è inaccettabile. Anche perché poi dovremmo anche adottare una par condicio ideologica: se Dostoevskij era in qualche misura un anticonformista, allora dobbiamo parlare anche di autori che invece appoggiavano il regime dell’epoca, eccetera. Diventa una cosa veramente paradossale. E la cosa peggiore è che nel nome della tolleranza e della democrazia si sta diventando intolleranti e non democratici».Il clima non è dei migliori, ma la cultura, anziché farsi travolgere, dovrebbe dare segnali opposti, no?«La cultura dovrebbe essere un ponte. Noi al ministero degli Esteri abbiamo una direzione sulla diplomazia culturale, io l’ho sempre perorata. Molti Stati ne fanno un mezzo per parlare con altri con cui hanno problemi. In questo modo la cultura unisce persone che non si siederebbero mai allo stesso tavolo, come arabi e israeliani. Anzi proprio nei momenti di crisi fra due nazioni, il ponte della cultura è quello che può fare avvicinare le parti. La cultura è pace e il fatto che sia ora soggetta a una censura dimostra che poco ci ha insegnato la storia passata e che stiamo prendendo la direzione più sbagliata possibile: ci rimettiamo a bruciare i libri, a mettere la lettera scarlatta agli autori in base alle nazionalità? Oppure diciamo a un autore che può parlare solo se giura e spergiura di essere contro il governo della sua nazione, quando magari ha la sua famiglia lì e ha paura? Mi sembrano forzature, soprattutto se fatte da una nazione come l’Italia».Come si può invertire la rotta?«Io stavo pensando di scrivere una lettera ai nostri musei e ai sovrintendenti dei teatri per dire di non farci prendere dalla foga di dare la caccia al russo. Quello che accade in Ucraina è mostruoso, ma noi non dobbiamo fare la guerra a tutti i russi».Però pare che il suo ministero, guidato da Franceschini, stia bloccando i prestiti già programmati delle opere dei musei russi.«Guardi, dico solo questo: il 2021-2022 è l’anno incrociato dei musei Italia-Russia. Ci potremmo mettere al tavolo con l’ambasciatore e parlare di questo per affrontare poi anche altri argomenti, ma comunque non chiudere una porta alla cultura. Poi posso capire che con i musei statali russi possano esserci dei problemi, ma qui si parla di una censura su tutto ciò che è russo. Io apprezzo invece Paolo Olmi, direttore della Young Musicians European Orchestra, che ha detto che continuerà a chiamare artisti di tutte le nazionalità. E anche io sto cercando di organizzare per l’8 marzo a Roma un evento, al conservatorio di Santa Cecilia, in cui far suonare ragazze russe e ucraine».
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