
Il «Manifesto della razza» venne sottoscritto da dieci luminari. Un coacervo di tesi scellerate che, però, vennero poi corrette. L'aberrazione vera fu invece l'inchino al regime. Allora era quello fascista, oggi è democratico ma sempre a caccia di valletti.Nel 1938 non c'erano la televisione o Internet. C'era la radio, e un primo ministro altero e deciso (qualcuno oggi direbbe «gollista») ne faceva buon uso, trasmettendo i suoi discorsi in tutto il Paese. C'erano anche pressioni che venivano dall'Europa (dalla Germania, tanto per cambiare) perché venisse accettato un nuovo credo in biologia, prologo di uno sterminio. Così, il 14 luglio, uscì sul Giornale d'Italia, strumento ufficiale della propaganda di regime (ma anche quelli non ufficiali non scherzavano), un articolo intitolato «Il fascismo e i problemi della razza», che conteneva il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, firmato da dieci autorevoli scienziati italiani. Come spesso capita con le dittature, questa «notizia» anticipava di poco le leggi razziali, che sarebbero state decretate nell'autunno dello stesso anno. Gli scienziati che firmarono il manifesto furono Lino Businco, docente di patologia generale; Lidio Cipriani, docente di antropologia; Arturo Donaggio, docente di neuropsichiatria; Leone Franzi, docente di pediatria; Guido Landra, docente di antropologia; Nicola Pende, docente di endocrinologia; Marcello Ricci, docente di zoologia; Franco Savorgnan, docente di demografia; Sabato Visco, docente di fisiologia; Edoardo Zavattari, direttore dell'Istituto di zoologia. Con le eccezioni di Cipriani che insegnava a Firenze, Donaggio che insegnava a Bologna e Franzi che insegnava a Milano, erano tutti professori alla Sapienza; Savorgnan era anche presidente dell'Istituto centrale di statistica. (Se i loro nomi non vi dicono niente, non vi stupite; sugli infami la storia tende a calare un velo; ed è per questo che vanno periodicamente ricordati.) Fra le dieci tesi sottoscritte da cotanti luminari, citerò almeno (in parte) la prima, per cui «le razze umane esistono»; la sesta, per cui «esiste ormai una pura razza italiana»; la settima, per cui «è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti»; la nona, per cui «gli ebrei non appartengono alla razza italiana»; e la decima, per cui «i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in alcun modo». Ora dirò qualcosa che molti troveranno difficile accettare; confido che spiegandolo riesca a farglielo capire. Io credo che le tesi di questi signori siano parte legittima della scienza e, in quanto tali, debbano essere considerate e discusse con equanimità. Nel corso dei secoli, molti altri scienziati hanno sostenuto tesi altrettanto peregrine, che sono poi state confutate dai loro colleghi. L'aspetto più straordinario della scienza, che la pone in netto contrasto con (per esempio) movimenti politici, ideologici o religiosi, è la sua capacità di correggere sé stessa: di mettersi alla prova e di trovarsi, spesso, in errore. Farò un solo esempio (il mio libro I passi falsi della scienza ne fornisce molti altri). Nell'Ottocento la teoria dominante sulla natura della luce era che fosse costituita di onde. Esperimenti sulla polarizzazione avevano apparentemente stabilito che dovesse trattarsi di onde trasversali, come quelle marine; ma le onde trasversali hanno bisogno di un mezzo nel quale diffondersi; l'intero universo doveva dunque essere pervaso da una sostanza (l'etere luminifero) che permettesse tale diffusione, e (data l'enorme velocità della luce) doveva trattarsi di una sostanza più solida di un metallo ma anche più tenue e rarefatta di un gas. Ingegnosi esperimenti vennero condotti per osservare l'etere e riscontrarne le proprietà. Il più celebre fu ideato dagli americani Albert Michelson ed Edward Morley, che però, contrariamente alle aspettative, non trovarono nulla. La fisica era in un vicolo cieco, dal quale sarebbe uscita due decenni dopo con una doppia rivoluzione relativa proprio alla luce: da un lato con la relatività di Einstein e dall'altro con la meccanica quantistica di Planck, Bohr, Heisenberg e tanti altri. Perché ciò potesse avvenire, però, fu necessario che la posizione che aveva fino ad allora dominato il campo fosse riconosciuta irreparabilmente errata. Episodi del genere fanno parte dell'ordinaria amministrazione della scienza, e anche (l'ho già detto) della sua forza e nobiltà. Le circostanze si evolvono in modo straordinario, e talvolta infernale, quando la scienza, da pratica indipendente di ricerca e di dibattito, si trasforma in strumento di potere e di profitto. Quel che rende infami i truci personaggi che ho citato qui sopra non è il fatto che avessero idee peregrine, ma il fatto che il fascismo (con il loro entusiastico consenso) abbia usato queste idee per giustificare politiche che di scientifico non avevano nulla, perché non ammettevano più discussione, verifica o correzione. Non conveniva al regime, ovviamente, riconoscere che in biologia, in zoologia e in antropologia esistevano docenti e studiosi altrettanto autorevoli che la pensavano in modo opposto; le opinioni di questi ultimi andavano anzi tacitate e «la scienza» andava sommariamente identificata con quel che faceva comodo al primo ministro. Vi ricorda qualcosa questo episodio?
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.