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2020-01-03
Mettono pure la tassa sulle vacanze
Ansa
Il 2020 verrà ricordato come uno degli anni con il maggior numero di novità in ambito fiscale. Quella probabilmente più dolorosa riguarda la scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi. Fino all'anno scorso, infatti, il modello 730 andava presentato entro il 23 luglio e i rimborsi per le tasse in eccesso di solito arrivavano con la busta paga di luglio, al più tardi con quella di agosto.
Come già annunciato dalla Verità lo scorso novembre, però, con le novità della manovra la scadenza slitterà al 30 settembre e per i dipendenti il rimborso non arriverà prima di ottobre (se non oltre). Peggio andrà ai pensionati che riceveranno i loro soldi a novembre. In due parole lo Stato restituirà quanto deve a livello fiscale dopo e non prima della pausa estiva (con almeno tre mesi di ritardo rispetto al 2019), per la gioia dei contribuenti che non potranno fare affidamento sul tradizionale tesoretto per pagare le vacanze e degli operatori turistici che, inevitabilmente, vedranno arrivare meno quattrini nello loro tasche. Di fatto, si tratta di una tassa occulta per chi va in vacanza o per coloro operano nel mondo del turismo. Una gabella voluta da un governo che si vanta di non aver aumentato l'Iva (fatto che non avviene da otto anni) e aver ridotto il cuneo fiscale ma che, nei fatti, sta riempiendo gli italiani di imposte che ne limitano i consumi.
Lo slittamento della scadenza per il 730 non è infatti l'unica norma che avrà il sicuro effetto di limitare i consumi. Dal 1° luglio, infatti, diventerà operativa la plastic tax, l'imposta che si abbatterà su tutte le aziende che hanno a che fare con i contenitori di plastica. In parole povere, per ogni chilo di polietilene monouso (la plastica alimentare) o di materiale per imballaggi, ma anche di polistirolo, tappi o etichette, le società dovranno pagare 50 centesimi di euro. Si tratta di una tassa che inevitabilmente finirà sulle spalle dei consumatori (la Federconsumatori stima una spese media di 138 euro a famiglia).
Ma non finisce qui. La tassa sulla plastica fa il «paio» con la sugar tax, cioè la nuova tassa sulle bevande zuccherate. Le aziende in questo caso dovranno mettere mano al portafoglio sborsando 10 centesimi al litro per le bevande già pronte all'uso e a 25 centesimi al chilo per i prodotti da diluire. Se, però, non è detto che questa imposta limiterà il consumo di cibi zuccherati (le merendine non verranno tassate), molte aziende come la Coca Cola (2.000 dipendenti in Italia) hanno già annunciato l'intenzione di fermare assunzioni e investimenti perché prevedono un calo delle vendite.
C'è poi la stangata sulle auto aziendali. Dal 1° luglio, infatti, scatterà un nuovo regime fiscale che tasserà le macchine aziendali in base alle emissioni di anidride carbonica. L'idea dell'esecutivo è quella di agevolare la tassazione per le auto che emettono fino a 60 grammi di anidride carbonica (in pratica solo le elettriche, basti pensare che una Fiat Panda a metano 900 di cilindrata emette 97 grammi di CO2 per chilometro). In questo caso il costo parametrato in base alla tabelle Aci scenderà dall'attuale 30% al 25%. Per le auto che emettono tra 60 e 161 grammi di CO2 il parametro resta al 30%, come oggi, mentre è destinato a salire parecchio per le macchine più inquinanti, anche se di cilindrata media. Per le auto che emettono tra 160 e 191 grammi di CO2 (una Jeep Cherokee, un suv di medie dimensioni, emette tra 161 e 180 grammi al chilometro) il peso fiscale sale al 40% (poi al 50% nel 2021), e al 50% (al 60% l'anno dopo) per quelle che hanno emissioni superiori. Una misura punitiva soprattutto per Pmi che sono la base del nostro sistema produttivo, che di norma possiedono poche auto aziendali e a cui non convengono le auto elettriche, più costose e con performance peggiori.
Dal 2020, inoltre, la cedolare secca sarà solo sulle abitazioni. Sarà invece solo un ricordo per i negozi, che non potranno più usufruirne. Novità anche per il regime delle detrazioni. Da quest'anno saranno infatti ritenute valide solo quelle realizzate per via digitale, quindi attraverso bancomat, carta di credito, bonifico o assegno non trasferibile.
Addio anche alla flat tax al 15% di salviniana memoria. L'esecutivo ha infatti attuato un giro di vite: la tassa piatta sarà limitata a coloro che guadagnano fino a 65.000 euro all'anno, e non verrà estesa ai redditi superiori come previsto dal progetto del Carroccio. Si stima che circa 500.000 persone non potranno più aderire ai benefici della tassa fissa.
Da non scordare nemmeno il limite all'uso del contante che da luglio scenderà da 3.000 a 2.000 euro al mese. Un'altra norma che avrà l'unico effetto di complicare la vita dei contribuenti onesti.
Per lo scontrino elettronico partenza flop: in bilico 1,2 miliardi di recupero Iva
Lo scontrino elettronico parte a rilento e rischia di trasformarsi in un flop per il governo. La moratoria delle sanzioni per sei mesi, alcuni ritardi da parte dei rivenditori dei lettori di cassa e dei software e le difficoltà ad adeguarsi dei commercianti stanno mettendo a rischio il tesoretto di 1,2 miliardi di euro che il governo ha messo a bilancio contando di recuperare parte dell'evasione Iva attraverso lo scontrino elettronico. Nella manovra i giallorossi hanno puntato sul recupero di 3,2 miliardi di evasione in un anno: un obiettivo già di per sé probabilmente troppo ambizioso, e che ogni intoppo contribuisce a rendere più irrealistico.
Ma andiamo con ordine. Il 1° gennaio è scattato l'obbligo dello scontrino elettronico per tutti gli esercizi commerciali. E dunque i commercianti si sarebbero dovuto dotare in anticipo o di un lettore di cassa telematico (simile a quello già in uso nelle farmacie) oppure di un software ad hoc. In entrambi i casi, i due strumenti inviano a fine giornata i file di quanto fatturato direttamente all'Agenzia delle entrate. Al cliente viene comunque rilasciata una copia cartacea dello scontrino, che non ha più nessuna valenza fiscale ma può servire per tenere monitorate le spese. Non tutti i commercianti si sono però dotati dei nuovi lettori di cassa a gennaio. Secondo un'inchiesta del Messaggero, su 1,6 milioni di registratori di cassa solo 500.000 a oggi sarebbero già conformi alle nuove leggi.
I problemi con lo scontrino elettronico risalgono però all'estate 2019. Diversi produttori hanno infatti avuto seri disagi nella produzione dei lettori di cassa e dei software, soprattutto per quanto riguardava l'implementazione della lotteria degli scontrini (rimandata al prossimo luglio). Diverse grandi catene, l'estate appena passata, non avevano i lettori di cassa nuovi proprio perché non erano ancora stati consegnati dal fornitore (per i grandi esercizi commerciali l'obbligo dello scontrino elettronico è partito nell'estate 2019). Nei mesi però la situazione si è parzialmente stabilizzata. Al momento infatti si stanno verificando dei lievi ritardi nella consegna dei dispositivi o nell'installazione del software ma il tutto è da ricondurre (soprattutto) alle tempistiche sbagliate. Molti commercianti non si sarebbero attrezzati per tempo. A dicembre non avevano ancora fatto l'ordine per il nuovo lettore di cassa o per l'installazione di un nuovo software. Questo ha come conseguenza lo slittamento delle consegne e il mancato uso dello scontrino elettronico dal 1° gennaio 2020. Il gettito di 1,2 miliardi che sarebbe dovuto derivare dalla riforma viene così messo in pericolo, sempre prendendo per buona la convinzione dell'esecutivo secondo cui questa misura sarà utile per sconfiggere il nero.
Ma come mai i commercianti non si sono adeguati per tempo? La risposta sta tutta nella moratoria alle sanzioni di sei mesi. È stato infatti deciso, come per la fattura elettronica, che per un primo periodo transitorio anche per lo scontrino elettronico si dovesse concedere un periodo di «zero sanzioni».
C'è da dire che la moratoria delle sanzioni, riproposta nel 2020, non ha fatto bene alla fattura elettronica nel 2019: a inizio anno ci furono seri problemi legati alla non fatturazione da parte anche di grandi società multinazionali che iniziarono in ritardo a emettere gli scontrini elettronici, essendoci la moratoria della sanzioni per i primi mesi.
E in quel caso si aggiunsero anche i sistemi dell'Agenzia delle entrate che si bloccarono diverse volte, rendendo difficile le operazioni online.
Insomma, anno nuovo problemi elettronici nuovi. Lo escontrino presenta tre aspetti critici. In primis l'introduzione della moratoria, come detto prima, non fa bene alla misura e al suo obiettivo di gettito. Questo potrebbe dover essere ridimensionato dato che i commercianti non emetteranno gli scontrini elettronici prima di uno o due mesi (se tutto va bene). Secondo, l'obiettivo è quello di combattere l'evasione fiscale (insieme alla fattura elettronica) dell'Iva (gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione Ue la stimano attorno ai 33,5 miliardi di euro, -2% rispetto al 2018). Da parte sua la efattura non ha dato un grande contributo nella lotta all'evasione. Gli incassi Iva non sono infatti andati come si sperava. Le attività di controllo nel 2019 sarebbero infatti inferiori a quelle del 2018. Si parla di 5,72 contro 5,76. Dato rilevante dato che il precedente governo aveva sostenuto come proprio dall'attività di controllo sarebbe emerso il gettito messo a bilancio per il 2019. C'è anche da dire che i dati definitivi, scorporati, sull'incasso dell'Iva dell'anno scorso non sono ancora stati pubblicati del ministero dell'Economia. Ma le stime preliminari non fanno sperare nel raggiungimento dei quasi 2 miliardi di extra gettito legati alla fattura elettronica previsti entro fine 2019.
Inoltre, la lotta all'evasione è un obiettivo che né la fattura elettronica né lo scontrino elettronico possono raggiungere in modo definitivo. In entrambi i casi potrebbero anzi favorire i casi di evasione consensuale (dove le due parti sono d'accordo nel non emettere lo scontrino o la fattura digitale). L'unico modo per cercare di scalfire l'evasione consensuale è la lotteria degli scontrini, che si è ben pensato di far partire scorporata dallo scontrino elettronico. Questa infatti potrebbe incentivare i contribuenti a chiedere al commerciante lo scontrino per poter avere la possibilità di partecipare all'estrazione finale del montepremi.
«Un boomerang che lascerà le casse vuote»
Massimo Garavaglia, esponente della Lega e fino all'estate scorsa viceministro dell'Economia, non ci sta e su Twitter attacca lo slittamento della scadenza per la presentazione del 730. Un balzello che, secondo lui, non avrà nemmeno l'effetto sperato: quello di fare cassa pagando gli italiani tre mesi dopo. Sarà un disastro per tutti, spiega alla Verità: per il settore del turismo, che vedrà il suo fatturato crollare, e persino per i commercialisti che verranno pagati dopo per i servizi che offrono sulla dichiarazione dei redditi. Tutto questo senza portare il benché minimo beneficio per le casse dello Stato.
Qual è il motivo di questo slittamento che comporta un ritardo di almeno tre mesi per i rimborsi che lo Stato deve ai contribuenti?
«Io non credo che sia nemmeno fare cassa, si tratta solo di incapacità. Lo Stato ci perde perché chi è a debito alla fine paga all'ultimo e dunque lo Stato incassa in ritardo rispetto al solito. Chi, invece, è a credito inizia a spendere molto dopo e anche in questo caso è un danno per la cosa pubblica. Si tratta di cifrei importanti, le imposte dirette totali valgono circa 250 miliardi di euro, quindi i rimborsi valgono sicuramente svariati miliardi di euro. Se, anziché incassarli a luglio e usandoli per andare in ferie si prendono a novembre, va finire che in parte non si spendono nell'anno in corso e anche questo è un danno per lo Stato».
L'obiettivo del governo però è quello di fare cassa.
«In questo caso è peggio la toppa del buco. Non solo non si farà cassa, ma il rischio è di portare danni molto seri al comparto turistico. È evidente che tutti coloro che erano abituati ad avere la busta paga di luglio più ingente per andare serenamente in vacanza con questa novità si troveranno spiazzati».
Dunque anche chi presenterà la dichiarazione a maggio riceverà i soldi a novembre?
«È chiaro che chi va dal commercialista dovrà attendere di trovare la pratica finita a settembre e non più a luglio come è stato nel 2019. Il ritardo ci sarà un po' per tutti. Non è un problema solo per le vacanze. A settembre ci sono le tasse scolastiche da pagare, senza considerare tutti quelli che hanno eseguito lavori di ristrutturazione facendo affidamento sui rimborsi che avrebbero dovuto vedere a luglio o al più tardi ad agosto. Ora, invece, arrivando dopo, il contribuente si ritrova scoperto».
Quindi il gettito sarà minore?
«Il paradosso potrebbe essere proprio questo: una norma pensata per fare cassa potrebbe persino portare ad avere un gettito minore».
Il ritardo potrebbe quindi essere anche superiore ai tre mesi?
«Certo, si può arrivare facilmente anche a novembre, visto che la scadenza è il 30 settembre. Per i pensionati questo ritardo è una certezza. Gli altri potranno vedere i rimborsi anche a ottobre, ma bisogna vedere quando il sostituto di imposta sarà pronto. Non è detto che lo sia già entro ottobre. Il problema è che si andrà così vicini alla fine dell'anno che il rischio è che la spesa da parte degli italiani sia inevitabilmente minore. A dicembre ci sarà la tredicesima e quindi in molti saranno portati a risparmiare qualche soldo in più».
L'esecutivo potrebbe pensare a un dietrofront su questo punto?
«Visto il disastro che succederà quest'anno è probabile che si farà retromarcia. La scusa per tutto questo era allargare la possibilità di fare la precompilata. Visto che c'è ancora il Milleproroghe emendabile, forse il governo è ancora in tempo per fermare la norma. Il vero problema è per i commercialisti che pianificano il loro lavoro in base alle scadenze. È pacifico che gli studi professionali quest'anno si organizzeranno per essere operativi a partire da settembre, quindi tutto slitterà in avanti».
Anche i commercialisti, peraltro, vedranno slittare il loro compenso per la dichiarazione dei redditi...
«Assolutamente sì, tutto si ritarderà. I soldi per i servizi legati alla dichiarazione dei redditi slitteranno per forza di tre mesi».
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La presentazione della dichiarazione dei redditi a settembre, invece che a luglio, posticipa la restituzione delle imposte versate in più: a ottobre per i dipendenti e a novembre per i pensionati. Danni per il turismo. Per lo scontrino elettronico partenza flop: in bilico 1,2 miliardi di recupero Iva. La misura è in vigore dal 1° gennaio, ma migliaia di negozianti non sono a norma: sei mesi per mettersi in regola. Rischiano di saltare le previsioni dell'esecutivo. «Un boomerang che lascerà le casse vuote». L'ex viceministro Massimo Garavaglia: «Ridurrà i consumi e danneggerà anche i commercialisti». Lo speciale comprende tre articoli. Il 2020 verrà ricordato come uno degli anni con il maggior numero di novità in ambito fiscale. Quella probabilmente più dolorosa riguarda la scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi. Fino all'anno scorso, infatti, il modello 730 andava presentato entro il 23 luglio e i rimborsi per le tasse in eccesso di solito arrivavano con la busta paga di luglio, al più tardi con quella di agosto. Come già annunciato dalla Verità lo scorso novembre, però, con le novità della manovra la scadenza slitterà al 30 settembre e per i dipendenti il rimborso non arriverà prima di ottobre (se non oltre). Peggio andrà ai pensionati che riceveranno i loro soldi a novembre. In due parole lo Stato restituirà quanto deve a livello fiscale dopo e non prima della pausa estiva (con almeno tre mesi di ritardo rispetto al 2019), per la gioia dei contribuenti che non potranno fare affidamento sul tradizionale tesoretto per pagare le vacanze e degli operatori turistici che, inevitabilmente, vedranno arrivare meno quattrini nello loro tasche. Di fatto, si tratta di una tassa occulta per chi va in vacanza o per coloro operano nel mondo del turismo. Una gabella voluta da un governo che si vanta di non aver aumentato l'Iva (fatto che non avviene da otto anni) e aver ridotto il cuneo fiscale ma che, nei fatti, sta riempiendo gli italiani di imposte che ne limitano i consumi. Lo slittamento della scadenza per il 730 non è infatti l'unica norma che avrà il sicuro effetto di limitare i consumi. Dal 1° luglio, infatti, diventerà operativa la plastic tax, l'imposta che si abbatterà su tutte le aziende che hanno a che fare con i contenitori di plastica. In parole povere, per ogni chilo di polietilene monouso (la plastica alimentare) o di materiale per imballaggi, ma anche di polistirolo, tappi o etichette, le società dovranno pagare 50 centesimi di euro. Si tratta di una tassa che inevitabilmente finirà sulle spalle dei consumatori (la Federconsumatori stima una spese media di 138 euro a famiglia). Ma non finisce qui. La tassa sulla plastica fa il «paio» con la sugar tax, cioè la nuova tassa sulle bevande zuccherate. Le aziende in questo caso dovranno mettere mano al portafoglio sborsando 10 centesimi al litro per le bevande già pronte all'uso e a 25 centesimi al chilo per i prodotti da diluire. Se, però, non è detto che questa imposta limiterà il consumo di cibi zuccherati (le merendine non verranno tassate), molte aziende come la Coca Cola (2.000 dipendenti in Italia) hanno già annunciato l'intenzione di fermare assunzioni e investimenti perché prevedono un calo delle vendite. C'è poi la stangata sulle auto aziendali. Dal 1° luglio, infatti, scatterà un nuovo regime fiscale che tasserà le macchine aziendali in base alle emissioni di anidride carbonica. L'idea dell'esecutivo è quella di agevolare la tassazione per le auto che emettono fino a 60 grammi di anidride carbonica (in pratica solo le elettriche, basti pensare che una Fiat Panda a metano 900 di cilindrata emette 97 grammi di CO2 per chilometro). In questo caso il costo parametrato in base alla tabelle Aci scenderà dall'attuale 30% al 25%. Per le auto che emettono tra 60 e 161 grammi di CO2 il parametro resta al 30%, come oggi, mentre è destinato a salire parecchio per le macchine più inquinanti, anche se di cilindrata media. Per le auto che emettono tra 160 e 191 grammi di CO2 (una Jeep Cherokee, un suv di medie dimensioni, emette tra 161 e 180 grammi al chilometro) il peso fiscale sale al 40% (poi al 50% nel 2021), e al 50% (al 60% l'anno dopo) per quelle che hanno emissioni superiori. Una misura punitiva soprattutto per Pmi che sono la base del nostro sistema produttivo, che di norma possiedono poche auto aziendali e a cui non convengono le auto elettriche, più costose e con performance peggiori. Dal 2020, inoltre, la cedolare secca sarà solo sulle abitazioni. Sarà invece solo un ricordo per i negozi, che non potranno più usufruirne. Novità anche per il regime delle detrazioni. Da quest'anno saranno infatti ritenute valide solo quelle realizzate per via digitale, quindi attraverso bancomat, carta di credito, bonifico o assegno non trasferibile. Addio anche alla flat tax al 15% di salviniana memoria. L'esecutivo ha infatti attuato un giro di vite: la tassa piatta sarà limitata a coloro che guadagnano fino a 65.000 euro all'anno, e non verrà estesa ai redditi superiori come previsto dal progetto del Carroccio. Si stima che circa 500.000 persone non potranno più aderire ai benefici della tassa fissa. Da non scordare nemmeno il limite all'uso del contante che da luglio scenderà da 3.000 a 2.000 euro al mese. 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Al cliente viene comunque rilasciata una copia cartacea dello scontrino, che non ha più nessuna valenza fiscale ma può servire per tenere monitorate le spese. Non tutti i commercianti si sono però dotati dei nuovi lettori di cassa a gennaio. Secondo un'inchiesta del Messaggero, su 1,6 milioni di registratori di cassa solo 500.000 a oggi sarebbero già conformi alle nuove leggi. I problemi con lo scontrino elettronico risalgono però all'estate 2019. Diversi produttori hanno infatti avuto seri disagi nella produzione dei lettori di cassa e dei software, soprattutto per quanto riguardava l'implementazione della lotteria degli scontrini (rimandata al prossimo luglio). Diverse grandi catene, l'estate appena passata, non avevano i lettori di cassa nuovi proprio perché non erano ancora stati consegnati dal fornitore (per i grandi esercizi commerciali l'obbligo dello scontrino elettronico è partito nell'estate 2019). Nei mesi però la situazione si è parzialmente stabilizzata. Al momento infatti si stanno verificando dei lievi ritardi nella consegna dei dispositivi o nell'installazione del software ma il tutto è da ricondurre (soprattutto) alle tempistiche sbagliate. Molti commercianti non si sarebbero attrezzati per tempo. A dicembre non avevano ancora fatto l'ordine per il nuovo lettore di cassa o per l'installazione di un nuovo software. Questo ha come conseguenza lo slittamento delle consegne e il mancato uso dello scontrino elettronico dal 1° gennaio 2020. Il gettito di 1,2 miliardi che sarebbe dovuto derivare dalla riforma viene così messo in pericolo, sempre prendendo per buona la convinzione dell'esecutivo secondo cui questa misura sarà utile per sconfiggere il nero. Ma come mai i commercianti non si sono adeguati per tempo? La risposta sta tutta nella moratoria alle sanzioni di sei mesi. È stato infatti deciso, come per la fattura elettronica, che per un primo periodo transitorio anche per lo scontrino elettronico si dovesse concedere un periodo di «zero sanzioni». C'è da dire che la moratoria delle sanzioni, riproposta nel 2020, non ha fatto bene alla fattura elettronica nel 2019: a inizio anno ci furono seri problemi legati alla non fatturazione da parte anche di grandi società multinazionali che iniziarono in ritardo a emettere gli scontrini elettronici, essendoci la moratoria della sanzioni per i primi mesi. E in quel caso si aggiunsero anche i sistemi dell'Agenzia delle entrate che si bloccarono diverse volte, rendendo difficile le operazioni online. Insomma, anno nuovo problemi elettronici nuovi. Lo escontrino presenta tre aspetti critici. In primis l'introduzione della moratoria, come detto prima, non fa bene alla misura e al suo obiettivo di gettito. Questo potrebbe dover essere ridimensionato dato che i commercianti non emetteranno gli scontrini elettronici prima di uno o due mesi (se tutto va bene). Secondo, l'obiettivo è quello di combattere l'evasione fiscale (insieme alla fattura elettronica) dell'Iva (gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione Ue la stimano attorno ai 33,5 miliardi di euro, -2% rispetto al 2018). Da parte sua la efattura non ha dato un grande contributo nella lotta all'evasione. Gli incassi Iva non sono infatti andati come si sperava. Le attività di controllo nel 2019 sarebbero infatti inferiori a quelle del 2018. Si parla di 5,72 contro 5,76. Dato rilevante dato che il precedente governo aveva sostenuto come proprio dall'attività di controllo sarebbe emerso il gettito messo a bilancio per il 2019. C'è anche da dire che i dati definitivi, scorporati, sull'incasso dell'Iva dell'anno scorso non sono ancora stati pubblicati del ministero dell'Economia. Ma le stime preliminari non fanno sperare nel raggiungimento dei quasi 2 miliardi di extra gettito legati alla fattura elettronica previsti entro fine 2019. Inoltre, la lotta all'evasione è un obiettivo che né la fattura elettronica né lo scontrino elettronico possono raggiungere in modo definitivo. In entrambi i casi potrebbero anzi favorire i casi di evasione consensuale (dove le due parti sono d'accordo nel non emettere lo scontrino o la fattura digitale). L'unico modo per cercare di scalfire l'evasione consensuale è la lotteria degli scontrini, che si è ben pensato di far partire scorporata dallo scontrino elettronico. 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Sarà un disastro per tutti, spiega alla Verità: per il settore del turismo, che vedrà il suo fatturato crollare, e persino per i commercialisti che verranno pagati dopo per i servizi che offrono sulla dichiarazione dei redditi. Tutto questo senza portare il benché minimo beneficio per le casse dello Stato. Qual è il motivo di questo slittamento che comporta un ritardo di almeno tre mesi per i rimborsi che lo Stato deve ai contribuenti? «Io non credo che sia nemmeno fare cassa, si tratta solo di incapacità. Lo Stato ci perde perché chi è a debito alla fine paga all'ultimo e dunque lo Stato incassa in ritardo rispetto al solito. Chi, invece, è a credito inizia a spendere molto dopo e anche in questo caso è un danno per la cosa pubblica. Si tratta di cifrei importanti, le imposte dirette totali valgono circa 250 miliardi di euro, quindi i rimborsi valgono sicuramente svariati miliardi di euro. Se, anziché incassarli a luglio e usandoli per andare in ferie si prendono a novembre, va finire che in parte non si spendono nell'anno in corso e anche questo è un danno per lo Stato». L'obiettivo del governo però è quello di fare cassa. «In questo caso è peggio la toppa del buco. Non solo non si farà cassa, ma il rischio è di portare danni molto seri al comparto turistico. È evidente che tutti coloro che erano abituati ad avere la busta paga di luglio più ingente per andare serenamente in vacanza con questa novità si troveranno spiazzati». Dunque anche chi presenterà la dichiarazione a maggio riceverà i soldi a novembre? «È chiaro che chi va dal commercialista dovrà attendere di trovare la pratica finita a settembre e non più a luglio come è stato nel 2019. Il ritardo ci sarà un po' per tutti. Non è un problema solo per le vacanze. A settembre ci sono le tasse scolastiche da pagare, senza considerare tutti quelli che hanno eseguito lavori di ristrutturazione facendo affidamento sui rimborsi che avrebbero dovuto vedere a luglio o al più tardi ad agosto. Ora, invece, arrivando dopo, il contribuente si ritrova scoperto». Quindi il gettito sarà minore? «Il paradosso potrebbe essere proprio questo: una norma pensata per fare cassa potrebbe persino portare ad avere un gettito minore». Il ritardo potrebbe quindi essere anche superiore ai tre mesi? «Certo, si può arrivare facilmente anche a novembre, visto che la scadenza è il 30 settembre. Per i pensionati questo ritardo è una certezza. Gli altri potranno vedere i rimborsi anche a ottobre, ma bisogna vedere quando il sostituto di imposta sarà pronto. Non è detto che lo sia già entro ottobre. Il problema è che si andrà così vicini alla fine dell'anno che il rischio è che la spesa da parte degli italiani sia inevitabilmente minore. A dicembre ci sarà la tredicesima e quindi in molti saranno portati a risparmiare qualche soldo in più». L'esecutivo potrebbe pensare a un dietrofront su questo punto? «Visto il disastro che succederà quest'anno è probabile che si farà retromarcia. La scusa per tutto questo era allargare la possibilità di fare la precompilata. Visto che c'è ancora il Milleproroghe emendabile, forse il governo è ancora in tempo per fermare la norma. Il vero problema è per i commercialisti che pianificano il loro lavoro in base alle scadenze. È pacifico che gli studi professionali quest'anno si organizzeranno per essere operativi a partire da settembre, quindi tutto slitterà in avanti». Anche i commercialisti, peraltro, vedranno slittare il loro compenso per la dichiarazione dei redditi... «Assolutamente sì, tutto si ritarderà. I soldi per i servizi legati alla dichiarazione dei redditi slitteranno per forza di tre mesi».
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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