2024-10-14
Scarpinato rifiutò di rispondere all’Antimafia siciliana
Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
L’Assemblea regionale voleva chiarire i rapporti del pm con Antonello Montante, imprenditore condannato in secondo grado.Chissà in quale delle cinque categorie in cui aveva suddiviso l’umanità, Leonardo Sciascia oggi inserirebbe l’ex pm Roberto Scarpinato, esponente di punta di quel mondo dei professionisti dell’Antimafia che lo scrittore ha criticato in vita. Proprio il senatore grillino, membro della commissione Antimafia, ha citato l’autore del Giorno della civetta in un’intervista in cui si è preoccupato di minimizzare la storia delle intercettazioni scambiate con l’ex collega Gioacchino Natoli prima dell’audizione a Palazzo San Macuto di quest’ultimo. Al momento delle captazioni, ma i due non lo sapevano, Natoli, già campione della lotta alle cosche, era indagato per favoreggiamento della mafia e per questo «spiato» dalla Procura di Caltanissetta. Un corto circuito che avrebbe deliziato Sciascia.Le trascrizioni delle conversazioni più significative sono state trasmesse dai magistrati nisseni alla commissione nell’ambito di un’attività di scambio di informazioni sulle reciproche e parallele indagini sulle vere cause della strage di via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. Da allora il presidente della commissione Chiara Colosimo ha messo in moto gli uffici tecnici di Palazzo Madama per sapere se ci siano controindicazioni a condividere con i commissari il contenuto di quei dialoghi, essendo stato intercettato un senatore della Repubblica, le cui comunicazioni sono tutelate dalla Costituzione. La Procura nissena ha assicurato che l’ascolto del politico sarebbe avvenuto in modo casuale, mentre veniva intercettato Natoli.Da oggi, ogni giorno potrebbe essere quello buono per l’autorizzazione alla consultazione delle trascrizioni da parte dei commissari, come è avvenuto con gli atti del procedimento di Perugia sui cosiddetti dossieraggi.In entrambi i casi le investigazioni non sono ancora concluse e spetta, anche stavolta, alla presidente Colosimo decidere se condividere questi dati con gli altri componenti della commissione, compreso il senatore Scarpinato, in stretto contatto, come da lui stesso ammesso, con almeno uno degli indagati.Il senatore grillino, ufficialmente, non sembra preoccupato dalla possibile diffusione delle sue conversazioni private: «Non mi turba in alcun modo l’essere stato intercettato, non avendo nulla da nascondere». Una posizione ribadita in un’intervista concessa al Fatto Quotidiano in cui manca, però, la domanda più importante: se le chiacchiere con Natoli sono così irrilevanti perché la Procura di Caltanissetta ha ritenuto di trasmetterle alla commissione Antimafia?I due hanno parlato anche della risposta da fornire a proposito della riunione in Procura del 14 luglio 1992 e sulla (mai accertata) condivisione da parte di Borsellino della richiesta di archiviazione del fascicolo «mafia e appalti»?Scarpinato, che firmò l’istanza di proscioglimento, e Natoli sostengono che il giudice eroe fosse d’accordo, i famigliari e altri ex colleghi di Borsellino contestano tale versione, al punto da considerare le indagini sui rapporti tra cosche e imprenditoria il vero movente della strage.Altro quesito: Scarpinato e Natoli si sono lasciati andare a commenti poco edificanti sull’iniziativa in commissione della famiglia Borsellino?Infatti, nell’autunno del 2023 Lucia Borsellino e il marito, l’avvocato Fabio Trizzino, hanno condiviso con l’organismo bicamerale la loro ipotesi sulle reali cause che si nasconderebbero alla strage di via D’Amelio.I due coniugi hanno segnalato anche le stranezze legate a un’indagine sugli affari delle cosche con il gruppo Ferruzzi in cui erano coinvolti importanti mafiosi che avevano venduto alcuni anni prima numerosi immobili alla famiglia dell’allora pm Giuseppe Pignatone, uno dei titolari di «mafia e appalti».Quella seconda indagine venne chiusa proprio con la richiesta, del tutto inusuale, di Natoli di distruggere bobine e brogliacci (ma sembra che l’indicazione di mandare al macero i riassunti delle telefonate fosse venuta dallo stesso Pignatone).Adesso Scarpinato dice che sarebbe in corso un tentativo di «strumentalizzazione» ai suoi danni. L’obiettivo? «Estromettermi dai lavori di Palazzo di San Macuto».Con Il Fatto Scarpinato ha ribadito la sua spiegazione di quelle telefonate, già contenuta in un comunicato: «Da decenni con l’ex collega Natoli intratteniamo conversazioni sulle comuni esperienze di lavoro alla Procura di Palermo e sui tragici eventi del ‘92. Colloqui proseguiti anche dopo che, nel corso di una audizione alla commissione Antimafia, vi furono illazioni (da parte dei congiunti di Borsellino, ndr) sulla regolarità della gestione di un’indagine da lui archiviata nel ’92 e di cui non mi sono mai occupato». Illazioni che si sono trasformate in precise accuse giudiziarie.Il senatore ha anche assicurato di non aver concordato alcuna versione con Natoli e che, a suo giudizio, dalle captazioni non sarebbe «stato ravvisato niente di irregolare né di rilevante ai fini delle indagini». Tanto da non aver ricevuto alcuna contestazione da parte della Procura durante il suo esame testimoniale. Ha, infine, accusato la maggioranza di centrodestra di non voler approfondire una sua memoria sulle stragi e di non avere «alcuna intenzione di coltivare piste di indagine che possono portare ai livelli superiori a quelli della mafia militare». Come se il centrodestra, al pari della famiglia Borsellino, avesse da proteggere qualcuno, con il «frazionamento del quadro probatorio» e un’inchiesta «mafiocentrica». Insomma Scarpinato si dice convinto, da pensionato, di avere la soluzione al caso che non ha risolto nella sua lunga carriera da inquirente in terra siciliana.Ricordiamo che non è la prima volta che il politico grillino viene sfiorato da un’inchiesta antimafia. Senza, però, essere mai stato indagato.Durante una perquisizione nella casa di Antonello Montante, ex presidente di Sicindustria accusato di associazione a delinquere e accesso abusivo al sistema informatico e condannato a 8 anni (pende la decisione in Cassazione) per aver creato una rete di spionaggio e di dossieraggio, saltarono fuori dei file equivocabili. Tra questi c’erano documenti che tracciavano i suoi rapporti con diversi magistrati della Corte d’Appello di Caltanissetta, incluso Scarpinato, che nel frattempo era diventato procuratore generale di Palermo. Una nota del 3 maggio 2012 riportava candidamente: «Scarpinato mi consegna composizione del consiglio Csm con i suoi scritti per nuovo incarico... Procura generale Palermo + Dna». Insomma, quasi una lettera di referenze. E sempre nello studio di Montante quella comunicazione di Scarpinato probabilmente gli investigatori l'hanno trovata: infatti c’era un foglio con la composizione del Csm e a ogni nome corrispondeva la corrente giudiziaria o il partito politico di riferimento. Montante, però, spiegò ai magistrati che Scarpinato non gli parlò mai della sua candidatura a Pg di Palermo, né gli chiese altri favori. Di certo i due si erano incontrati più volte, al punto che nel computer di Montante c’era la piantina di una casa (a Caltanissetta) di proprietà della famiglia di Scarpinato. Ma Montante spiegò di essersi incuriosito, ma che poi aveva rinunciato perché, a quanto pare, l’acquisto non era di suo interesse. Secondo Montante gli incontri con Scarpinato erano sempre e rigorosamente «istituzionali», anche quando avvenivano in luoghi informali, come a casa del magistrato. Naturalmente i due, come ha affermato Montante, discutevano di lavoro e di lotta alla criminalità. Gli atti riguardanti la rete di magistrati (ben dieci) con i quali Montante intratteneva rapporti vennero trasmessi alla Procura di Catania, competente sui magistrati passati dalla Procura di Caltanissetta (Scarpinato compreso), ma sotto l’Etna non vennero accertati reati: le raccomandazioni per parenti e affini vennero ritenute «discutibili», ma non «illecite». E così il fascicolo finì in archivio, come quello aperto al Csm per verificare eventuali illeciti disciplinari. Ma la vera chicca arriva davanti alla commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. Nella relazione finale, approvata il 19 marzo 2019, l’estensore Claudio Fava, all’epoca esponente di punta del centrosinistra, sottolinea che Scarpinato, insieme ad altri illustri personaggi, aveva «declinato l’invito» a presentarsi per un’audizione. La commissione, che in dieci mesi aveva sentito 49 persone tra politici, funzionari, giornalisti e parlamentari, ha dovuto fare i conti con ogni tipo di scusa: «In alcuni casi», si legge nella relazione, «perché» i convocati erano «imputati nel processo in corso», in altri, però, «offrendo altre, più generiche, motivazioni».Fatto sta che Scarpinato non andò a spiegare alcunché a un altro campione dell’antimafia come Fava, figlio di Giuseppe, il giornalista ucciso dalle cosche. Adesso forse qualche chiarimento ai colleghi della commissione capitolina di cui fa parte forse l’esimio senatore dovrà darla.