2018-08-03
Sanzioni Usa alla Turchia: è la prima volta tra due alleati Nato
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Cresce il livello di scontro tra Donald Trump e Recep Tayyip Erdoğan. Washington accusa due ministri di Ankara di essere stati protagonisti dell'arresto del pastore americano Andrew Brunson, da due anni prigioniero delle autorità del Sultano. Che minaccia di sequestrare le Trump Towers a Istanbul. Ma il patto atlantico è fragile: Germania e Regno Unito tralasciano il progetto ottomano pur di mantenere buoni rapporti. Alta tensione in seno alla Nato, tanto che per la prima volta un Paese membro ne sanziona un altro. I rapporti tra Stati Uniti e Turchia si stanno infatti facendo sempre più tesi. E la temperatura all'interno dell'alleanza atlantica ha ormai raggiunto i livelli di guardia. Al centro delle tensioni si collocano i rapporti non esattamente idilliaci tra il presidente americano Donald Trump e l'omologo turco Recep Tayyip Erdoğan. Washington ha imposto sanzioni a due ministri turchi per la detenzione del pastore americano Andrew Brunson (prigioniero in Turchia da due anni con l'accusa di terrorismo e spionaggio). Un atteggiamento, a ben vedere, non poi così dissimile dalle misure recentemente adottate contro alcune entità russe, accusate di aver interferito nella campagna elettorale americana del 2016. In particolare, a essere colpiti dalle sanzioni sono stati il ministro della Giustizia turco Abdulhamit Gul e il ministro dell'Interno Suleyman Soylu, i quali, secondo il dipartimento del Tesoro americano, risulterebbero «protagonisti delle organizzazioni responsabili dell'arresto e della detenzione del pastore Andrew Brunson». Una tensione altissima che ha determinato un crollo della lira turca e una situazione non poco agitata dalle parti della Borsa di Istanbul. Senza contare gli impatti negativi per un'economia, quella turca, non esattamente florida in questo periodo. Il governo di Ankara - neanche a dirlo - non ha gradito la cosa. E reazioni piccate sono giunte anche dal parlamento turco. La situazione è difficile. E, del resto, non è certo la prima volta che i rapporti tra Turchia e Stati Uniti si guastano. Non dimentichiamo che, da tempo, Erdoğan chiede a Washington l'estradizione del predicatore Fethullah Gülen, da lui considerato l'architetto del fallito golpe turco del 2016. Qualche giorno fa, in occasione del secondo anniversario del fallito golpe, per circa un'ora, un maximanifesto da 250 metri quadrati con il volto del Sultano è stato appeso in cima alle Trump towers di Istanbul. A pagare per esporre il poster al trentacinquesimo piano del palazzo è stata l'imprenditrice turca Aliye Uzun, che ha anche affittato un drone per riprendere la scena. «Volevo affiancare il brand Trump alla presidenza di Erdoğan», ha spiegato l'imprenditrice, che sul manifesto ha anche fatto scrivere un messaggio per commemorare il fallito golpe: «Il 15 luglio è l'epica di una nazione che si fida del suo leader e di un leader che si fida della sua nazione». Trump Towers al centro delle minacce del leader turco all'omologo statunitense: se non ritira le sanzioni, i due edifici verranno sequestrati. Inoltre, la tensione è salita anche alcuni mesi fa, quando, alla fine del 2017, Trump ha deciso di riconoscere unilateralmente Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele. La mossa suscitò la durissima reazione di gran parte del mondo islamico: tanto che il machiavellico Erdoğan tentò addirittura di mettersi a capo di un ampio consesso di nazioni musulmane per contrastare la linea americana. Più in generale, poi, non bisogna trascurare che negli ultimissimi anni il Sultano ha avuto atteggiamenti non poco ambigui in seno alla Nato, arrivando ad intrattenere rapporti particolarmente stretti e cordiali con la Russia di Vladimir Putin. In questo quadro non proprio lineare, è allora chiaro che l'attuale scontro tra Washington e Ankara non si configuri esattamente come un fulmine a ciel sereno. Senza poi trascurare come questo ennesimo attrito rischi di deteriorare ulteriormente un'istituzione come la Nato, che ha non pochi problemi interni e che l'attuale inquilino della Casa Bianca non ha mai fatto mistero di considerare onerosa e obsoleta. Inoltre, al di là dell'alleanza atlantica in sé, c'è forse da sottolineare la differenza di trattamento che Stati Uniti ed Europa stanno riservando a Erdoğan: un leader storicamente controverso che, secondo molti, starebbe sempre più trasformando la Turchia in un regime autoritario, picconando tra l'altro l'eredità laica di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna. Ciononostante, in alcune capitali europee tutto questo non sembra trovarsi propriamente al centro dell'attenzione. La cancelliera tedesca Angela Merkel è per esempio piuttosto morbida verso le mire neo-ottomane del Sultano: elemento che, secondo i malpensanti, nascerebbe dalla volontà di non inimicarselo sulla questione dei flussi migratori. In tutto questo, anche il Regno Unito non nutre un atteggiamento ostile. A maggio scorso, Erdoğan è stato infatti ricevuto dal premier Theresa May e dalla regina Elisabetta II. E, nonostante alcune polemiche per quegli incontri, non si sono comunque viste le proteste oceaniche avvenute in occasione della visita di Donald Trump a Londra lo scorso luglio. Quando si dice «il senso delle misure». E soprattutto delle priorità.
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