2018-04-08
Il Pd si spacca dopo l'invito di Napolitano a parlare con Di Maio
Il presidente della Repubblica e il suo predecessore coordinano con il leader M5s l'intervista che apre ai dem. Matteo Renzi tiene duro. Ma Maurizio Martina e Dario Franceschini... Dopo aver consolidato il «patto di sangue» con gli alleati, il Carroccio resta a guardare. Se i pentastellati dovessero cedere alle sirene dem, si aprirebbero praterie. Mentre la caccia ai voti di Fi può continuare. Rampelli, capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia: «Sergio Mattarella sa che abbiamo vinto noi: sul programma niente veti, neppure sul Pd». Lo speciale contiene tre articoli. C'è un retroscena da guerra fredda, di Stati Uniti contro la Russia, dietro le ultime mosse di avvicinamento tra il Movimento 5 stelle e il Partito democratico in vista del secondo giro di consultazioni e la possibile formazione di un nuovo governo. L'intervista che il leader pentastellato Luigi Di Maio ha concesso ieri a Repubblica, dove annuncia di voler sotterrare «l'ascia di guerra», pare sia stata particolarmente apprezzata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, come noto, continua a puntare a un governo di unità nazionale con dentro tutti i partiti. Insomma, il ramoscello d'ulivo è stato lanciato al Partito democratico con la speranza di avere presto un effetto palla di neve: ora l'obiettivo è che diventi una valanga tale da convincere anche i più riottosi - tra cui il segretario uscente Matteo Renzi - a sedersi al tavolo delle trattative con i grillini. Non è un caso che tutto avvenga sul quotidiano da sempre più vicino alle istanze del Quirinale, giornale diretto da Mario Calabresi, che da subito ha teorizzato la possibilità di un accordo tra i grillini e i democratici. E questo, sostengono alcuni spifferi dei palazzi, combacia con l'esigenza del gruppo De Benedetti di non mollare le stanze di palazzo Chigi, dove il centrosinistra alberga più o meno dal 2011, quando fu fatto fuori Silvio Berlusconi con l'arrivo di Mario Monti. Ma c'è di più. Ed è qui che spirano i venti della guerra fredda. Il discorso ruota intorno all'attivismo da parte dei due presidenti, specie quello emerito Giorgio Napolitano, ex ministro degli Esteri del Pci, particolarmente stimato dalle parti di Washington. Anche Mattarella ha uno storico rapporto di amicizia con gli americani, sin dai tempi in cui era ministro della Difesa nonché vicepremier del governo di Massimo D'Alema dal 1998 al 1999: l'esecutivo che attraversò la guerra in Kosovo, con le basi di Vicenza messe a disposizione della Nato per bombardare Belgrado. A quanto pare né Mattarella né Napolitano si fiderebbero troppo del leader della Lega Matteo Salvini, considerato troppo vicino alla Russia di Vladimir Putin, una vicinanza rimarcata negli ultimi giorni con la richiesta, da parte del segretario leghista, di togliere i dazi che penalizzano l'economia di Mosca. Caso vuole che proprio Di Maio, da alcuni commentatori e politici considerato vicino a Putin in passato, nella sua uscita dalle stanze del Quirinale abbia subito messo le cose in chiaro con una frase inequivocabile: «Abbiamo ribadito al presidente della Repubblica un punto sulla politica estera. Con noi al governo l'Italia rimarrà alleata dell'Occidente, del Patto atlantico, dell'Unione europea e monetaria. Questo è l'obiettivo che ci prefiggiamo con un governo a guida M5s». Ecco, il Patto atlantico, caro a Napolitano, vecchio amico dell'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, è la chiave per capire come si potrebbe sbrogliare la matassa. Nelle ultime settimane il presidente emerito ha lavorato per capire la posizione dell'ex segretario democratico Renzi, in silenzio da giorni e proprio ieri, non a caso, tornato a parlare su Facebook dopo che un altro retroscena pubblicato sulla Repubblica informava di una possibile apertura da parte dei renziani ai grillini, a condizione che Di Maio facesse un passo indietro. Le pressioni su Renzi, in particolare da parte dalle aree del Pd che si rifanno ad Andrea Orlando e Dario Franceschini, pare siano servite, anche se il segretario in una nota ha rilasciato una smentita al retroscena del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Ma sarà così? Oppure Renzi scenderà a compromessi per «il bene del Paese»? Tutto si deciderà il prossimo 21 aprile, giorno dell'assemblea. C'è chi spinge perché Maurizio Martina resti in sella un altro anno, nonostante gli attacchi da parte del cerchio renziano degli ultimi giorni. Altri spingono per Debora Serracchiani, ex governatrice del Friuli Venezia Giulia vicina a Renzi, forse più controllabile da parte dell'ex segretario. Ma Renzi avrà la forza di reagire? Ieri si è limitato a puntualizzare su Facebook: «La politica italiana da un mese è ferma al chiacchiericcio, agli accordi, ai retroscena inventati. Noi lo avevamo detto: se non passa il referendum, torneremo agli accordi vecchio stile. E purtroppo è andata così. Parleremo di questo il 21 aprile, all'assemblea del Pd». Quindi si dialoga tra dem e pentastellati. «L'autocritica nei toni è apprezzabile, l'ambiguità politica rimane evidente», ha detto Martina, noi continuiamo a pensare che la differenza la fanno i contenuti e sui contenuti abbiamo presentato anche al Quirinale il nostro percorso e la nostra agenda fondamentale per il Paese. Noi ripartiamo dai temi sociali, dall'occupazione, dal lavoro, dalle grandi questioni europee, da temi delicati come il governo dei fenomeni migratori. Da questo punto di vista non vedo grandi novità. Quel che è certo è che centrodestra e M5s devono dire chiaramente cosa intendono fare. Il tempo dell'ambiguità è finito». Una frase che Di Maio ha definito un passo in avanti. E Franceschini ha rincarato la dose pacificatrice: «Di fronte alla novità dell'intervista, serve riflettere e tenere unito il Pd nella risposta. L'opposto di quanto sta accadendo». Lo stesso Di Maio lo ha spiegato a Repubblica: «Io non sto rinnegando le nostre idee né le critiche che in più momenti abbiamo espresso anche aspramente nei confronti del Pd, e che anche il Pd non ci ha risparmiato. Credo però che ora il senso di responsabilità nei confronti del Paese ci obblighi tutti, nessuno escluso, a sotterrare l'ascia di guerra. A noi viene chiesto l'onere di dare un governo al Paese, ma tutti hanno il dovere di contribuire a risolvere i problemi della gente e di mostrare senso di responsabilità». Ci sarà tempo per ragionare e per riflettere come ha invitato a fare nei giorni scorsi Mattarella. Tanto che si parla già di un terzo giro di consultazioni, che potrebbero cadere - guardacaso - proprio dopo il 21 di aprile, quando nel Pd si sarà ritrovata una quadra. Insomma, anche al capo dello Stato un governo Pd-Movimento 5 stelle non dispiacerebbe. Alessandro Da Rold <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-pd-con-m5s-mamma-mia-ma-lopposizione-non-gli-fa-paura-2557428886.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-pd-con-m5s-mamma-mia-ma-lopposizione-non-gli-fa-paura" data-post-id="2557428886" data-published-at="1757697071" data-use-pagination="False"> Salvini: «Pd con M5s? Mamma mia». Ma l'opposizione non gli fa paura «A forza di passi indietro si finisce per cadere dalla scogliera». Nella pancia della Lega il tempo delle trattative sta finendo. E il gesto di Matteo Salvini di imporre agli alleati la plateale passeggiata a braccetto verso il Colle per il secondo giro di consultazioni, ha proprio lo scopo di farlo sapere a chi sta vicino e a chi sta lontano. Vale a dire a Silvio Berlusconi e a Luigi Di Maio. Mentre il Movimento 5 stelle continua a invitare il Pd a ballare il tango, il centrodestra trascorre un weekend unitario e coeso, forse per la prima volta dal verdetto del 4 marzo. Giancarlo Giorgetti lo ha ribadito con una metafora apache: «Fra noi c'è un patto di sangue». L'evoluzione delle cose è favorevole al Carroccio. Secondo gli strateghi di via Bellerio, mostrando di voler governare con chi ha platealmente perso le elezioni - mandato a casa dagli italiani «senza se e senza ma» - i grillini si stanno incartando. Il che fa dire a Salvini: «Governo Di Maio-Renzi, governo M5s-Pd? Mamma mia… Sto facendo e farò tutto il possibile per cambiare questo Paese, con coerenza, serietà e onestà, ascoltando tutti. Una cosa è certa: o nasce un governo serio, per ridare lavoro, sicurezza e speranza all'Italia, oppure si tornerà a votare, e a quel punto noi stravinciamo». Sa che la minaccia ha il potere di complicare i processi digestivi di Sergio Mattarella e fa sommamente innervosire i colonnelli a 5 stelle, che dovrebbero convincere un intero popolo di eletti (il 72% è alla prima nomina) che la festa è già finita, i voli gratis non ci sono più e quel delizioso bilocale davanti al Pantheon va disdettato. Sarebbe un disastro. Non per Salvini, che non ha bisogno, come avrebbe detto Umberto Bossi, «di trovare una quadra». Lo ha già fatto sapere schiettamente: «Non avverto la necessità di governare a tutti i costi». Alla Lega andrebbe bene un'opposizione ancor più di rottura per gridare al tradimento, fare il pieno di consensi, continuare l'Opa su Forza Italia e depotenziare con una certa facilità i coetanei grillini, a quel punto impastoiati dal renzismo, dai giovani turchi, dalle Ong, dall'accoglienza diffusa, dagli scampanii provenienti dalle parrocchie e dall'incapacità di liberarsi dalle catene di Bruxelles. In più c'è un sondaggio Swg che piace molto a Salvini. Il 44% degli italiani è favorevole a un accordo 5 stelle-Lega (61% elettori di Salvini, 67% elettori di Di Maio), e un voltafaccia pentastellato sarebbe visto male. Anche l'umore della base berlusconiana sta cambiando: è passato dal 18% di favorevoli al 46%. Una vera conversione. E Berlusconi, maestro nelle trattative e pronto a giocare a poker con chiunque, per tenersi la golden share sul governo sarebbe pronto a una mossa da cardinal Mazzarino: sfruttare al meglio la nuova procedura (come anticipato ieri dal Foglio) approvata il 20 dicembre scorso, che prevede un ruolo attivo per chi si astiene in Senato. La novità è tutt'altro che marginale. La scheda bianca non viene più equiparata a un voto perso, ma fa abbassare il quorum; quindi il partito azzurro potrebbe appoggiare un governo 5 stelle-Lega semplicemente standone fuori, senza il rischio di irritare Di Maio. Ma allo stesso modo, in via del tutto teorica, potrebbe utilizzare lo stesso metodo per tenere in piedi un governo a trazione renziana, con i 5 stelle a fare numero, il vessillo del presidente della Repubblica e una figura di garanzia a Palazzo Chigi. Per la Lega tutto ciò costituirebbe nell'immediato una immangiabile bouillabaisse in stile Emmanuel Macron, ma la garanzia di un 25% di consensi a medio termine. Dopo le feroci fibrillazioni delle scorse settimane, in Forza Italia sta tornando il sereno. Non si parla più di fronde, ma di politica. Lo hanno sancito, secondo le sublimi categorie del mai abbastanza rimpianto Edmondo Berselli, una giovane promessa come Giovanni Toti e un venerabile maestro come Gianni Letta. «Non c'è alcuna fronda in Forza Italia, se non quelle degli alberi che in primavera fioriscono, soprattutto in Liguria per il bene dei turisti e degli abitanti che se le godono», ha spiegato il governatore ligure. «Il centrodestra è, e deve rimanere, compatto. Ha vinto le elezioni, gli spetta essere il perno centrale dell'eventuale governo. Ho sempre lavorato per un centrodestra ancora più unito, per una federazione o un partito unico. Non ci sarà mai alcuna tentazione frondista». Quanto a Letta, nelle ultime settimane si è stressato non poco, qualche volta perfino stropicciandosi il doppiopetto per il coinvolgimento emotivo. Venerdì il consigliere principe ha chiarito con Berlusconi la sua posizione per nulla incline alla sottomissione nei confronti della Lega. «Se devi accettare un ruolo del genere, allora tanto vale che ti ritiri tu» avrebbe detto, «invece di farti cacciare da Salvini per conto di Di Maio, dando l'immagine di essere irrilevante sul programma e sui nomi del nuovo governo. Tu devi far capire a Salvini che se ti emargina, non è detto che quel 14% di elettorato, che alle ultime elezioni ha votato Forza Italia, alla fine vada con lui». Il leader leghista, che fra qualche giorno porgerà il braccio al Cavaliere per la passeggiata verso il Quirinale, è al contrario convinto di sì.Giorgio Gandola <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-pd-con-m5s-mamma-mia-ma-lopposizione-non-gli-fa-paura-2557428886.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="rampelli-fdi-il-centrodestra-unito-per-avere-lincarico" data-post-id="2557428886" data-published-at="1757697071" data-use-pagination="False"> Rampelli (Fdi): «Il centrodestra unito per avere l’incarico» Il centrodestra batte un colpo: andrà con una delegazione unica al Colle al prossimo giro di consultazioni con il capo dello Stato. «Siamo soddisfatti perché la nostra proposta di ricompattare la coalizione è stata accolta da Salvini e Berlusconi». Fabio Rampelli, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, è convinto che sia arrivato il momento di accelerare sulla formazione del nuovo governo. Cosa andrete a dire a Mattarella? «Una cosa molto semplice. E cioè sottolineare che le ultime elezioni sono state vinte dal centrodestra. Dunque, ribadiremo la richiesta a conferire l'incarico a un esponente di questo schieramento. Se tutto ciò finora non è stato possibile, è solo per colpa di Renzi». Renzi? Cosa c'entra in questa vicenda l'ex segretario del Pd? «È stato lui a imporre al Parlamento una legge elettorale monca, priva di premio di maggioranza». Se si tornasse presto alle urne potrebbe ripresentarsi la stessa situazione di ingovernabilità? «Per evitare questo abbiamo già presentato una proposta di legge che inserisce nel Rosatellum un premio di maggioranza e abbiamo chiesto al presidente Fico di inserirla nelle materie di competenza della commissione speciale, l'organismo previsto dal nostro sistema parlamentare nel caso in cui un governo non abbia ancora preso forma». Ieri Luigi Di Maio in un'intervista a Repubblica ha esplicitamente invitato il Pd a collaborare per «dare un governo al Paese». Sorpreso? «Ogni giorno Di Maio ci propina una pillola di “saggezza". I mutamenti di scenario che provengono dal M5s sono repentini e ci lasciano perplessi. Fino a ieri il Pd era visto come il demonio mentre oggi è diventato un possibile interlocutore. Direi che le sue parole sono la risposta al ricompattamento del centrodestra». È una chiusura netta rispetto all'ipotesi di affidare la guida del governo al M5s? «Non abbiamo preclusioni personali, ma vorrei far notare che il 68% degli elettori non ha votato per i 5 stelle». Non teme che Berlusconi possa mollare il centrodestra per favorire la nascita di un governo tecnico o di un «governissimo» sostenuto anche dal Pd? «Il ricompattamento del centrodestra è un ottimo antidoto a qualsiasi soluzione alternativa. Il nostro è un discorso lineare: vogliamo attuare il programma, ma siccome non abbiamo i numeri sufficienti c'è la necessità di cercare il sostegno ad altre forze. Movimento 5 stelle e Pd pari sono. Noi non mettiamo veti, l'importante è che convergano sul nostro programma». Il vostro candidato a Palazzo Chigi resta Salvini? «Il leader della Lega ha detto di non voler impantanarsi su questa proposta. È importante ci sia un governo in grado di attuare le proposte del centrodestra. Noi vogliamo procedere a grandi passi verso la crescita del Pil, il blocco dell'immigrazione clandestina, l'attuazione di un piano sicurezza nelle periferie, il lancio di un piano straordinario per la natalità e l'abolizione della riforma Fornero e di parte della Buona scuola». Al vostro interno siete sicuri che Salvini non si farà tentare da un accordo con il M5s e senza Fdi e Fi? «Non vedo quale possa essere la convenienza per Salvini di un accordo con Di Maio. Se accettasse di fare un governo con loro si ridurrebbe a fare il junior partner». Alcuni dirigenti di primo piano del centrodestra, tra cui il governatore ligure Giovanni Toti, insistono sulla necessità di arrivare a un partito unico. Qual è la sua opinione? «Molte alchimie sui partiti unici sono state fatte e hanno portato male. Il Pdl, per esempio, non è stata un'esperienza positiva. Ogni partito in questo momento ha una sua specificità, è importante che si rimanga uniti. Poi se si vuole costruire una stagione diversa lo si dovrà fare su basi differenti, senza improvvisazioni e colpi di scena». Antonio Ricchio
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.