Adesso che la crisi politica più lunga della storia repubblicana è terminata il Parlamento può iniziare concretamente a lavorare dopo 3 mesi di estenuanti trattative. Oggi al Senato è in agenda il voto di fiducia al governo Conte. Nella prassi è previsto che il premier si rechi prima a Palazzo Madama - dove è atteso per le 12 - per esporre il programma di governo. Subito dopo raggiungerà la Camera per consegnare il programma. Quindi tornerà alle 14,30 in Senato dove si consumerà la discussione sul «contratto» firmato da M5s e Lega illustrato dal presidente del Consiglio. Il voto di fiducia è previsto per questa sera, mentre a Montecitorio si dovrà attendere fino a domani.
Nella Camera Alta il nuovo governo può contare teoricamente su 167 voti certi, appena 6 in più rispetto alla maggioranza assoluta. Si tratta dei 58 senatori della Lega e dei i 109 del Movimento 5 stelle. A questi potrebbero aggiungersi (ma il condizionale è d'obbligo) altri 4 voti: 2 dagli ex pentastellati Maurizio Buccarella e Carlo Martelli e 2 dagli esponenti del Maie Ricardo Antonio Merlo e Adriano Cario, che dopo le consultazioni con Conte avrebbero manifestato la volontà di sostenere il nuovo esecutivo.
In ogni caso, per la tenuta di maggioranza che al Senato si regge su fragili equilibri, sarà decisivo l'orientamento di Fratelli d'Italia, con i suoi 18 rappresentanti. I meloniani hanno già fatto sapere che oggi si asterranno durante la fiducia. Tuttavia da qui in avanti i loro voti potrebbero diventare determinanti per tirare fuori dalle secche il governo, soprattutto su alcuni provvedimenti giudicati «a rischio» per la compagine gialloblù. Tra l'altro è importante sottolineare come a Palazzo Madama, dopo la modifica del regolamento, il voto di astensione conterà ai soli fini del numero legale e non potrà essere più considerato sostanzialmente equivalente al voto contrario. Durante la conferenza dei capigruppo di ieri, gli emissari di Giorgia Meloni hanno chiesto maggiori lumi su quest'aspetto. Se infatti il gruppo di Fratelli d'Italia venisse riconosciuto come forza di opposizione potrebbe concorrere alla presidenza delle commissioni di garanzia che per prassi spettano ai gruppi che non fanno parte della maggioranza.
Scenario diverso, invece, alla Camera dove il governo può fare affidamento su una maggioranza più robusta, con 346 voti (222 deputati M5s e 124 esponenti del Carroccio). Sono 30, quindi, i voti di scarto rispetto alla maggioranza assoluta di 316. Anche qui i consensi potrebbero aumentare, sempre grazie ad alcuni deputati ex grillini e ad alcuni componenti del gruppo Misto. Fdi anche qui dovrebbe astenersi, mentre Forza Italia, Leu e Pd hanno annunciato voto contrario.
La partita delle commissioni, al contrario, non dovrebbe aprirsi subito dopo il voto di fiducia del Parlamento al governo. Presumibilmente sarà affrontata la prossima settimana, quando dovrebbe essere in calendario anche il voto sul Def, comunque una volta definita la griglia dei sottosegretari. I gruppi dovranno indicarne i rispettivi componenti. Resta in capo a quest'ultimi, poi, il compito di eleggere presidente e ufficio di presidenza di ciascuna commissione. Non ci sarà occasione per rifiatare: il primo impegno internazionale per Giuseppe Conte è fissato per venerdì e sabato prossimi, con il G7 che si terrà a La Malbaie, in Canada.
- Il neoministro dell'Interno non arretra: «Per i clandestini è finita la pacchia, devono fare le valigie. Le Ong non sono i vice scafisti» Oggi volerà in Sicilia, dove sono ripresi gli sbarchi. Mattarella però tenta di frenarlo: «Nessuna regressione sull'accoglienza».
- Un amico di famiglia di Sana Chema ha tentato di corrompere un agente e un dipendente del laboratorio forense per inscenare una morte naturale.
- Il Comune dà il via libera a sei luoghi di preghiera per musulmani, quattro da regolarizzare e due da costruire Uno di questi sarà affidato a un'associazione che il ministero dell'Interno tedesco ha bollato come estremista
Lo speciale contiene tre articoli
Venerdì, poche ore dopo aver giurato al Quirinale, una riunione al Viminale con il capo della polizia Franco Gabrielli. A seguire un briefing con i capi dei dipartimenti del dicastero terminato quando l'ora di cena era passata da un pezzo. Insomma, una full immersion per il neoministro dell'Interno Matteo Salvini. E ancora: la presenza, ieri, in prima fila, alla parata per la festa della Repubblica e poi in tour elettorale in Veneto, a Vicenza e Treviso. Oggi, invece, in programma l'approdo in Sicilia, per un viaggio nei luoghi-frontiera del nostro Paese.
«Voglio migliorare gli accordi con i Paesi da cui arrivano migliaia di disperati per il bene nostro e loro. Sentirò i ministri degli Interni dei Paesi europei con cui collaborare e non litigare», sono state le parole pronunciate per annunciare la prima visita al Sud nelle vesti ufficiali di ministro. Una trasferta di governo, ma anche di lotta. Già, perché nelle scorse ore in terra siciliana sono ripresi gli sbarchi di migranti. A Pozzallo, due giorni fa, bordo della nave Aquarius sono arrivate 158 persone, fra le quali due donne in gravidanza. E una barca con 21 migranti è stata soccorsa al largo di Pantelleria. Proprio all'hotspot di Pozzallo parlerà oggi Salvini: il programma ufficiale prevede un passaggio da Catania, Maletto, Messina, Siracusa e Modica, ma già ieri il titolare del Viminale ha detto di volere andare anche al centro per immigrati del Ragusano. Arrivi che si aggiungono a quelli registrati in Sardegna sempre negli ultimi giorni. Tanto da spingere il ministro ad annunciare su Twitter un giro di vite sull'accoglienza: «Difesa dei confini e rimpatri, riprendiamoci l'Italia». E poi a dire in un comizio a Vicenza: «Per i clandestini è finita la pacchia, devono fare le valigie, con calma, ma se ne devono andare. Sulle Ong ho le mie idee: gli stati devono tornare a fare gli stati e nessun vice scafista deve attraccare nei porti italiani».
Sono parole che si scontrano con i paletti fissati dal capo dello Stato in materia di Europa e accoglienza e condensati in un messaggio fatto recapitare ai prefetti in occasione della ricorrenza del 2 giugno. Mattarella ricorda che «va arrestato con fermezza ogni rischio di regressione civile, affermando un costume di reciproco rispetto e mettendo a frutto le grandi risorse di generosità e dinamismo dei nostri concittadini». Un messaggio facile da girare al governo Conte, che nei prossimi giorni si presenterà davanti alle Camere per ottenere la fiducia. Ed è un segnale rivolto soprattutto verso chi, come Salvini, ha dimostrato di voler iniziare la nuova avventura con il piede pigiato sull'acceleratore. Soprattutto quando il presidente evoca «il bene della coesione sociale», che «si consolida con le scelte di corresponsabilità e di cittadinanza attiva che ciascuno è chiamato a operare». Non basta. C'è anche altro nella riflessione del presidente della Repubblica. Un avvertimento indirizzato al leader leghista, soprattutto quando accenna al «fenomeno delle migrazioni», su cui raccomanda un impegno «in grado di garantire legalità, accoglienza e integrazione». In buona sostanza dal Colle è arrivato un primo aut aut che sottintende un controllo capillare sugli atti compiuti dal governo, in particolare su quelli firmati dal Viminale. «La cornice delle istituzioni repubblicane», argomenta Mattarella, «ha sempre dimostrato di consentire all'Italia di affrontare sfide impegnative. Lo stesso confronto politico si è sempre tradotto nell'attitudine a non ridursi a un conflitto fine a sé stesso».
Salvini, dal canto suo, non intende arretrare. E a chi gli chiede conto, ripete quanto annunciato in precedenza: «Taglieremo il fondo da 5 miliardi di euro che oggi lo Stato spende per l'accoglienza dei migranti». Il «messaggio» rischia di creare un miniterremoto nelle regioni meridionali, quelle più coinvolte nel sistema dell'accoglienza. Solo in Sicilia sono attivi due hotspot (oltre a Pozzallo c'è anche Trapani), quattro centri di accoglienza per richiedenti asilo (Agrigento, Caltanissetta, Mineo e Messina), ai quali si aggiungono 104 centri di accoglienza temporanea e 102 Sprar. Senza contare poi le fibrillazioni, soprattutto tra i 5 stelle, seguite all'indicazione di voler costruire un nuovo hotspot allo Zen di Palermo.
Sul tavolo del nuovo ministro ci sono queste e molte altre cose. Così come ci sarà da tener conto dei rapporti con il Vaticano e con le gerarchie ecclesiastiche più in generale. «Ho iniziato a coltivare utili e numerosi rapporti con diversi esponenti del mondo cattolico: lavoreremo assieme, vi stupiremo, troveremo decisamente convergenze», assicura Salvini, escludendo che il governo possa entrare in rotta di collisione con il mondo cattolico. «Con loro», conclude, «ci sono molte più vicinanze che distanze perché l'accoglienza nei limiti e nelle regole penso sia interesse di tutti». E sulla conferma o meno degli accordi con la Libia, siglati dal suo predecessore Marco Minniti, taglia corto: «Prima devo studiare». Dopodomani è in agenda la sua prima trasferta al Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari interni dell'Ue, chiamato ad avviare una discussione sulla revisione del trattato di Dublino e sulle modalità di accoglienza dei richiedenti asilo.
Antonio Ricchio
Pagata una tangente per falsificare l’autopsia su Sana
Ora emerge una mazzetta di 600.000 rupie, ovvero circa 7.400 euro, versata a un poliziotto e a un dipendente del laboratorio di scienze forensi affinché truccassero l'esito dell'autopsia. A proporre la tangente, come ha rivelato il Giorno, sarebbe stato un personaggio vicino alla famiglia della giovane bresciana, Muhammad Naveed, di Gujrat. Malgrado il versamento di denaro, tuttavia, il tentativo di modificare i referti non sarebbe andato a buon fine, anche perché tecnicamente impossibile. Il direttore del laboratorio ha infatti spiegato che il dipendente corrotto era «un personaggio di basso profilo che non avrebbe potuto fare nulla. Da noi è impossibile falsare i referti, siamo un istituto all'avanguardia».
Il referto è quindi restato quello che ha messo nero su bianco la verità, oltre le bugie della famiglia: l'esame autoptico ha accertato che Sana aveva l' osso del collo rotto, causa strangolamento. Chi ha versato la tangente senza ottenere in cambio la falsificazione dei documenti, tuttavia, ha poi deciso di vendicarsi, denunciando i due soggetti che egli stesso aveva corrotto. Le manette sono scattate grazie a un team della forza anticorruzione del Pakistan nei confronti di un vice ispettore di polizia e un dipendente dell'Agenzia di scienze forensi del Punjab.
A quanto risulta, Naveed avrebbe avvicinato il vice ispettore Maqsood Ahmad proponendogli di intascare 600.000 rupie per falsare il referto e attribuire la morte di Sana a cause naturali. Era stata questa, del resto, la spiegazione iniziale della famiglia: si era trattato, dicevano, di un malore, forse di un infarto. Dopo la scoperta dell'osso del collo rotto, sul corpo della giovane, il padre aveva addirittura dichiarato che Sana aveva battuto la testa cadendo in seguito al suddetto malore. Una versione che gli amici italiani della ragazza avevano subito trovato inverosimile, forse conoscendo i conflitti familiari fra i Cheema.
Dopo l'offerta di denaro, l' ispettore pakistano avrebbe preso contatto con un impiegato dell'Agenzia di scienze forensi per mettere in atto la falsificazione. Insomma, i due avrebbero preso il denaro, senza però riuscire a portare a termine la loro missione criminale. A nulla erano valse le richieste in tal senso dell'amico di famiglia mobilitato alla bisogna. Da qui l'insolita denuncia del corruttore.
In carcere a Kunjah ci sono il padre della ragazza, Mustafa Ghulam e il fratello trentenne Adnan, considerati gli esecutori materiali dello strangolamento messo in atto nell'abitazione dei Cheema, nel villaggio di Magowal, il 18 aprile. Anche la madre della giovane, inoltre, avrebbe tentato di coprire il delitto. Tra gli indagati, gli zii, un cugino e un medico, autore di un certificato di morte naturale.
Adriano Scianca
Il Pd ha capito la lezione delle urne A Milano più moschee per tutti
Sono passati quasi due mesi da quando le parole del pm sono state rese pubbliche, e ovviamente il Pd non ha chiarito un bel niente. In compenso, però, due giorni fa la giunta guidata dal sindaco Beppe Sala ha presentato il nuovo «Piano delle attrezzature religiose», ovvero il documento che spiega quali e quanti luoghi di culto possano sorgere sul territorio cittadino. Sapete qual è la novità? Nel piano sono comprese sei moschee, quattro già esistenti e da regolarizze, più altre due che devono ancora sorgere. Queste ultime potrebbero essere realizzate negli spazi di via Esterle e via Novara. Le quattro già esistenti sono, invece, quelle che sorgono in «via Padova/Cascina Gobba (associazione Al-Waqf Al-Islami in Italia); via Maderna (comunità culturale islamica Milli Gorus); via Gonin (associazione culturale no profit Der El Hadith) e via Quaranta (comunità islamica Fajr). Nell'elenco non compare il centro islamico, piuttosto noto, di viale Jenner. Vale la pena, tuttavia, di soffermarsi su un particolare, ovvero sulla presenza nel documento della struttura affidata all'associazione islamica Milli Gorus.
Nel 2013, Milli Gorus ha iniziato i lavori di ristrutturazione di un edificio in via Maderna. Sul tetto di quello che era un magazzino industriale è comparsa una curiosa cupola bianca, anche se nessuno aveva informato il Comune riguardo l'eventuale costruzione di una moschea. A metà marzo, dopo non poche polemiche, i lavori sono stati finalmente bloccati dalla giunta milanese, ma la faccenda non si è chiusa. Anzi, ritorna prepotentemente di attualità, visto che il Comune a guida Pd intende regolarizzare il luogo di culto, giudicato compatibile «con i parametri urbanistici previsti dalla legge regionale (presenza di strade di collegamento, distanze minime, parcheggio pubblico)».
È interessante approfondire il discorso relativo a Milli Gorus, di cui spesso abbiamo parlato su queste pagine. Si tratta di un'associazione turca, molto legata al governo di Ankara, tanto che nel 2015 firmò un protocollo d'intesa con la Turchia per la formazione di imam. Tale formazione doveva avvenire tramite borse di studio finanziate dall'Agenzia per gli affari religiosi turca. In sostanza, questi signori sono in ottimi rapporti con Erdogan.
Il presidente di Milli Gorus Italia è un signore chiamato Osman Duran, che da alcuni mesi è anche presidente del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, il Caim, una delle organizzazioni più rilevanti della galassia musulmana italiana. Significa che il ruolo di Milli Gorus non è del tutto secondario nel nostro Paese. Così come non lo è quello del Caim, da cui provengono personalità come Davide Piccardo (tra i fondatori della Costituente islamica) e Sumaya Abdel Qader, consigliere comunale del Partito democratico a Milano (la prima nella storia a indossare il velo).
La questione più interessante riguardo a Milli Gorus, tuttavia, è contenuta in alcuni dei rapporti annuali pubblicati dal ministero dell'Interno tedesco. L'associazione è ovviamente attiva anche in Germania, dove è particolarmente forte anche per via della presenza di un gran numero di immigrati turchi. Ebbene, già nel 2013 il ministero germanico inseriva Milli Gorus in un lista di associazione «islamiste» (cioè estremiste, o comunque radicali) da tenere d'occhio. Un analogo elenco è contenuto anche nell'ultimo documento diffuso dal ministero dell'Interno tedesco, uscito nel luglio 2017 e relativo al 2016. Nel report si legge: «Il movimento Milli Gorus si compone di diverse correnti che vengono tenute insieme da un comune orientamento ideologico-religioso e dal legame ideale con il politico Necmettin Erbakan (1926-2011). Benché tutte le sue componenti siano autonome e agiscano in maniera indipendente l'una dall'altra, l'ideologia di Milli Gorus - pur con diversi livelli di intensità - rimane l'elemento unificante».
«I concetti chiave elaborati da Erbakan», continua il testo, «sono appunto “Milli Gorus", che significa “Prospettiva nazionale" e “Adil Duzen" (Ordine giusto). Giusti sono per Erbakan gli ordinamenti che si fondano sulla rivelazione divina, mentre illegittimi sono quelli che sono creati dagli uomini. Attualmente con la civiltà occidentale dominerebbe un ordine ingiusto, fondato su violenza, torto e sopraffazione. Questo sistema illegittimo dovrebbe essere sostituito da un “ordine giusto" orientato esclusivamente dai principi islamici, anziché da regole arbitrarie create dagli uomini. Tutti i musulmani dovrebbero contribuire alla realizzazione di tale ordine giusto. A questo scopo essi devono adottare un certo comportamento, maturare una determinata prospettiva sul mondo (Gorus), ossia una prospettiva nazionale e religiosa (Milli), una “Milli Gorus"».
Chissà se i dirigenti del Pd milanese conoscono questi documenti tedeschi. Sarebbe interessante che fornissero ai cittadini (milanesi e italiani) la loro opinione in proposito, oltre a qualche chiarimento in merito ai loro rapporti con Milli Gorus. Visto che la giunta guidata da Beppe Sala intende dare il via libera alla moschea gestita da un'associazione che le autorità tedesche guardano con una certa diffidenza, forse un paio di spiegazioni in più sarebbero opportune.
Riccardo Torrescura
- A Siena e Vicenza nessun candidato grillino, strada spalancata a Lega e Forza Italia. I pentastellati contano di rifarsi sul Pd.
- Intervista con la candidata sindaco di Brescia, la forzista Paola Vilardi: «Ho unito il centrodestra. Punto su sicurezza, immigrazione, reddito di maternità».
Lo speciale contiene due articoli
Un sesto degli elettori italiani (oltre 6,9 milioni) chiamati alle urne e un voto, quelle delle Amministrative in programma per domenica 10 giugno, che rappresenterà un importante indicatore per valutare l'orientamento della base dopo settimane di infinite trattative a Roma per la formazione del nuovo governo.
Lega e Movimento 5 stelle sono i due partiti che sperano di trarre i maggiori vantaggi dalla competizione. Il Carroccio nutre, infatti, l'ambizione di ribadire anche a livello locale una supremazia nel centrodestra, mentre tra i pentastellati l'obiettivo è quello di prosciugare ulteriormente il bacino dei consensi fino a poco tempo fa indirizzati al Pd. Riflettori ovviamente puntati sui 20 capoluoghi di provincia: Ancona (in questo caso anche capoluogo della Marche), Avellino, Barletta, Brescia, Brindisi, Catania, Imperia, Massa, Messina, Pisa, Ragusa, Siena, Siracusa, Sondrio, Teramo, Terni, Trapani, Treviso, Vicenza e Viterbo.
Tra i 763 centri chiamati ad eleggere il sindaco e a rinnovare il Consiglio comunale sono solo 4 quelli amministrati dal M5s (Ragusa in Sicilia, Pomezia nel Lazio e Assemini in Sardegna) e uno (Quarto in Campania) conquistato nel 2015, dove si torna a votare anticipatamente. Nell'unico capoluogo di provincia amministrato, Ragusa, il sindaco uscente Federico Piccitto non si è ricandidato dopo alcuni contrasti interni con i big locali del Movimento. Al suo posto i grillini sostengono la corsa di Antonio Tringali. Sempre in Sicilia i vertici pentastellati sperano di bissare il successo conseguito alle ultime Politiche e proveranno a portare sotto la loro egida realtà importanti come Catania e Messina, ma dovranno fare i conti con un centrodestra che su base locale (lo dimostra il successo di Nello Musumeci alle recenti Regionali) ha dimostrato di avere ancora appeal. Non è forse un caso che Luigi Di Maio, nonostante una situazione convulsa a livello centrale, si sia più volte fatto vedere da queste parti per tirare la volata ai suoi rappresentanti sul territorio.
Interessanti saranno anche le sfide di Siena e Vicenza dove il M5s ha deciso di non presentare simbolo e candidati. Una mossa che tanto somiglia a un patto di desistenza nei confronti del centrodestra e, in particolare, della Lega. Proprio nella città del Palio la coalizione guidata da Matteo Salvini punta forte su Luigi De Mossi. Stesso discorso in terra vicentina dove Francesco Rucco, appoggiato da Lega, Forza Italia e Fdi, aspira a conquistare buona parte dell'elettorato grillino, rimasto senza riferimento.
E tuttavia al Nord il M5s parte teoricamente da una posizione arretrata rispetto agli schieramenti tradizionali. Ciò non significa che il centrosinistra goda di buona salute. Anzi, nel Pd aleggia forte lo spettro di una nuova batosta dopo quelle rimediate alle Politiche e alle Regionali in Molise, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta. A Brescia la scontro sarà tra il primo cittadino uscente Emilio Del Bono (centrosinistra) e la candidata del centrodestra Paola Vilardi. Sembra possedere poche chance di successo Guido Ghidini (M5s).
I dem rischiano di soccombere anche a Treviso, storica roccaforte leghista, che nel 2013 aveva virato sorprendentemente a sinistra. L'uscente Giovanni Manildo si ricandida anche in questo nuova tornata e per ottenere un nuovo mandato da sindaco dovrà battere il suo principale avversario, Mario Conte, appoggiato da tutto il centrodestra, uno schieramento che il 4 marzo ha raccolto in città il 44 per cento dei voti. Perfino Pisa potrebbe tradire il centrosinistra e affidarsi, dopo 47 anni, a una maggioranza a trazione blu. A contribuire a quest'esito, da più parti definito storico, potrebbe contribuire anche la scelta dei bersaniani di Mdp di non sostenere il candidato del Pd Andrea Serfogli. Spera e medita il colpaccio Michele Conti, con un passato da consigliere comunale nelle fila di An, e oggi sostenuto da tutto il centrodestra.
Le uniche speranze concrete di riconfermare un sindaco uscente il Pd le conserva forse ad Ancona. Il primo cittadino Valeria Mancinelli dovrà vedersela con Stefano Tombolini, candidato di una lista civica che ha ricevuto il sostegno di tutto il centrodestra, e da Daniela Diomedi, del M5s.
A destra, invece, uno dei duelli più significativi si annuncia ad Imperia, città feudo di Claudio Scajola. L'ex ministro corre per la poltrona di sindaco contro il centrodestra ufficiale che schiera Luca Lanteri. Per quest'ultimo si stanno spendendo molto il governatore Giovanni Toti e lo stesso Salvini, a conferma dell'attenzione con cui i leader del centrodestra guardano al capoluogo ligure. Il centrosinistra è guidato da Guido Abbo, mentre la candidata del M5s è Maria Nella Ponte.
Antonio Ricchio
«A Brescia ho unito il centrodestra»
L'intervista a Paola Vilardi, forzista e candidata per il centrodestra alla poltrona più importante di Palazzo Loggia non può che cominciare dalla tenuta della coalizione. A Brescia, Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia, Udc, Il popolo della famiglia e X Brescia civica sono compatti nel supporto alla candidata sindaco, come confermato nella telefonata con Silvio Berlusconi arrivata a margine della recente visita in città del capogruppo azzurro alla Camera, Mariastella Gelmini, e del governatore della Liguria, Giovanni Toti. Vilardi, avvocato, già assessore all'Urbanistica nella giunta di centrodestra guidata da Adriano Paroli (che alle Amministrative del 2013 venne poi battuto dall'attuale sindaco di centrosinistra, Emilio Del Bono) ed ex presidente del Consiglio provinciale, ha ribadito al suo leader «che a Brescia il centrodestra è più che mai unito». Nella Leonessa d'Italia la disfida per il governo della città vede in corsa, oltre ai tre big, Del Bono, Vilardi e Guido Ghidini per il M5s, cinque outsider, ovvero Laura Castagna per Bs italiana - Forza nuova - Azione sociale, Leonardo Peli per Pro Brixia il Bigio, Alberto Marino per Potere al popolo, Lamberto Lombardi per il Pci e Davide De Cesare per Casa Pound.
Scusi che cosa le ha risposto Berlusconi?
«Che non aveva dubbi che a livello locale la Lega fosse un alleato fedele».
Alleanza di centrodestra che dunque a Brescia tiene.
«Abbiamo lavorato molto per tenere unito il centrodestra. L'elaborazione del programma è stato il collante. L'abbiamo steso tutti assieme e contiene i temi che per ciascuno dei componenti dell'alleanza sono importanti».
Tra le quali vi sono anche l'immigrazione e la sicurezza, tematiche molto care all'alleato leghista.
«Sono snodi imprescindibili per tutta la coalizione. Per quanto riguarda l'immigrazione, diciamo meno buonismo e più controlli. Se saremo eletti, chiederemo al governo una moratoria per non inviare altri richiedenti asilo sul territorio bresciano. Così come per noi è prioritaria la richiesta di chiusura delle moschee abusive. Una circolare della Regione Lombardia estende i paletti già fissati per le moschee alle associazioni e ai centri culturali religiosi. E consente ai sindaci, con un'ordinanza, qualora vi sia la certezza che ci si trova di fronte a un centro culturale islamico mascherato, di stabilirne la chiusura».
Lei e i suoi alleati siete da sempre molto critici rispetto alla gestione della sicurezza da parte del sindaco Del Bono.
«Il sindaco del Pd non ha affrontato il tema con la dovuta attenzione. Noi proponiamo un piano d'azione per la sicurezza, che preveda, tra i punti principali, anche la riapertura del presidio della Polizia locale in stazione, l'aumento delle pattuglie in borghese e tolleranza zero verso i parcheggiatori e i venditori abusivi».
Nell'alleanza di centrodestra che la sostiene c'è pure il Popolo della famiglia.
«Uno dei punti imprescindibili del nostro programma è il riconoscimento della famiglia come pilastro portante. E uno dei capitoli, pensato come un aiuto alle giovani coppie bresciane, è il reddito comunale di maternità, un contributo di 150 euro al mese per ogni figlio, dal quinto mese di gravidanza fino ai tre anni del bambino. I requisiti sono i parametri stabiliti dalla Regione tra cui entrambi i genitori che lavorano. Questo criterio andrà comunque integrato con quello della residenzialità: cinque anni di residenza».
Lei ha raccolto la proposta lanciata, dalla leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, di intitolare una via a Sana Cheema, la ragazza pakistana da anni residente a Brescia e uccisa nell'aprile scorso in Pakistan per il cui omicidio sono sotto accusa il padre e altri familiari.
«Su questo chiarisco innanzitutto che non vi è l'intenzione di cambiare il nome a via Bevilacqua, la strada in cui Sana abitava, ma di intitolarle una via vicina. Sulla tragica vicenda di Sana quel che mi ha lasciato senza parole è stato il silenzio di tutte le donne di sinistra. Che si indignano su tutto, ma non si sono indignate per un omicidio così efferato».
Ci crede nella vittoria? Se eletta sarebbe il primo sindaco donna di Brescia.
«L'entusiasmo che sento attorno a me mi gratifica molto. E mi spinge ancor più a fare bene e a crederci fino in fondo. Sì, ci credo nella vittoria. E diventare il primo sindaco donna della città sarebbe un ulteriore motivo d'orgoglio. La Brescia di Del Bono è una Brescia ripiegata su sé stessa. Io voglio una città che ritorni protagonista delle sfide del futuro».
Paola Gregorio





