2021-04-09
Finora i pochi aiuti sono spesso arrivati sotto forma di prestiti difficili da ripagare. Per rilanciare l'economia, lo Stato deve risarcire un terzo del fatturato perso e coprirne un altro terzo con mutui garantiti a 30 anni all'1%.In principio fu Giuseppi, con le sue ultime parole famose: «Dal decreto di oggi 6 aprile 2020 arrivano 400 miliardi di liquidità per le imprese. Con il Cura Italia ne avevamo liberati 350 miliardi. Parliamo di 750 miliardi. Quasi la metà del nostro Pil. Lo Stato c'è e mette subito la sua potenza di fuoco nel motore dell'economia. Quando si rialza l'Italia corre». Cosa capiva una persona mediamente intelligente? Che il governo stava mettendo nell'economia 750 miliardi. Risposta sbagliata. Giuseppe Conte aveva omesso di spiegare che quei 400 miliardi avrebbero dovuto metterli le banche. Che crediamo quei soldi vogliano rivederli indietro. A un anno di distanza da quelle parole che bilancio ne traiamo? L'ultimo comunicato del Mef ci dice che le imprese italiane hanno chiesto nuovi finanziamenti bancari garantiti dal Fondo di garanzia in misura pari a circa 152 miliardi cui si aggiungono le garanzie Sace per i finanziamenti di importo più rilevante pari a circa 22 miliardi. Ovvero 174 miliardi di euro mal contanti di nuova finanza per le imprese. Finanziamenti e non sussidi, sia chiaro. Non certo la «potenza di fuoco» da 750 miliardi ma pur sempre qualcosa.Ma fu vera gloria? Dal 29 febbraio 2020 (quando scoppia l'emergenza Covid in Italia) al 28 febbraio 2021 il credito totale al settore privato (società non finanziarie, famiglie produttrici, famiglie consumatrici e istituzioni senza scopo di lucro nella terminologia di Banca d'Italia) è in realtà aumentato soltanto di 48 miliardi (da 1.450 a 1.498 miliardi). Poiché - come abbiamo visto - le banche avevano immesso 174 miliardi di nuova finanza, vuol dire che ben 126 sono serviti a rimborsare debiti già in essere. Sette euro su 10 prestati (e garantiti dallo Stato) sono stati dalle banche trattenuti mettendo in saccoccia la garanzia dello Stato per prestiti già in precedenza erogati. Una potenza di fuoco effettivamente e letteralmente «mai vista». Sia chiaro, un effettivo scostamento nei saldi di bilancio pubblico nel 2020 c'è stato. Per l'esattezza 128 miliardi e 437 milioni. A tanto ammonta infatti il deficit pubblico in più fatto dallo Stato rispetto ai quasi 28 miliardi del 2019. Una cifra spesa con il contagocce e fra molte incertezze a fronte di un crollo del Pil senza precedenti. Oltre 153 miliardi è il reddito perso nel 2020; quasi il 9%. Mai così tanto nella storia dell'Italia unita se si escludono gli ultimi due anni della seconda guerra mondiale. E i depositi presso le banche di imprese e famiglie sono nel frattempo aumentati di quasi 155 miliardi. Con il lockdown gli italiani hanno compresso obtorto collo consumi e investimenti accentuando ulteriormente la caduta del Pil a tutto vantaggio dei risparmi. La spinta antirecessiva del bilancio pubblico ne è risultata indebolita, se non vanificata. La campagna vaccinale arranca, e il governo deve dare risposte. Il Paese non può più assistere al susseguirsi di decreti. Sempre in ritardo. Sempre modesti. Oggi 1,6 milioni di italiani - grazie alla moratoria -sono temporaneamente graziati dal dover pagare le rate su 173 miliardi di mutui. Altri 1,8 milioni hanno richiesto prestiti bancari con garanzia statale per ripartire prima di chiudere. Dalla rielaborazione dei dati del Mef (Sole 24 Ore del 4 aprile) emerge che circa 3 milioni di imprese hanno beneficiato dell'ultimo decreto Sostegno. Di queste, oltre l'80% aveva nel 2019 un fatturato inferiore a 100.000 euro. La perdita di giro d'affari (stimata dall'Agenzia delle entrate) è di circa 310 miliardi. Cifra destinata inesorabilmente a salire con i mesi di chiusura del 2021. E più le chiusure si protrarranno, più il danno per le imprese aumenterà. Due sono allora le priorità su cui concentrarsi: la riapertura con misure di sicurezza adeguate (e adeguate significa anche che non devono essere così cervellotiche da impedirne di fatto l'operatività) e un calcolo più equo degli indennizzi tenendo conto del danno effettivamente subito. La nostra proposta è questa. Fatto 100 la perdita di fatturato a causa della pandemia, un terzo di questa rimane a carico dell'impresa. Lo Stato si fa carico di un altro terzo indennizzando l'imprenditore (50% con un bonifico sul conto corrente e 50% con un credito d'imposta compensabile con imposte e contributi sul lavoro). E le banche finanzieranno il rimanente terzo con un mutuo a 30 anni al tasso dell'1% garantito dallo Stato. Un sostegno concreto cui dovranno essere apportati alcuni correttivi che al momento possiamo solo individuare e non quantificare: l'impresa con un calo di ricavi inferiore al 30% non dovrà alla fine dei calcoli essere penalizzata rispetto a chi ha ricevuto l'indennizzo. Una clausola di salvaguardia e garanzia va quindi prevista. Va quantificato anche il danno del primo trimestre 2021 per aggiungerlo al conto della serva. Un'operazione di igiene nel dibattito che mette spalle al muro gli esperti che a cuor leggero decretano chiusure di interi comparti «perché la salute viene prima di tutto». Queste misure devono ricomprendere al loro interno anche la miseria già erogata fino a oggi. In soldoni: si arriverebbe a uno scostamento di bilancio di 102 miliardi senza tenere conto del primo trimestre del 2021. È il minimo sindacale. Un esempio concreto - tratto da uno studio del gruppo di lavoro Win the bank diretto e coordinato dal professor Valerio Malvezzi dell'università Link campus - aiuta a capire. Si prenda un ristorante. Nel 2019 ha fatturato 431.705 euro. Nel 2020, 261.133 euro. Una perdita di ricavi di circa 170.000 euro. Questa impresa ha ottenuto la miseria di 5.686 euro. Con la nostra proposta lo Stato si fa carico di un terzo della perdita (56.857 inclusa la miseria già erogata con «sostegni»). Metà con un bonifico sul conto corrente. Il resto (28.429 euro) con un credito d'imposta compensabile, ad esempio, con i contributi Inps. Infine, tocca alla banca accreditare sul conto altri 56.858 di euro. Un mutuo a 30 anni garantito dallo Stato. Una rata mensile di 183 euro. Non sarà indennizzo ma poco ci manca. Alla fine la nostra impresa che ha perso 170.000 euro di fatturato vedrebbe sul conto 85.000 euro e uno sconto di 28.000 euro sui contributi.Tocca a Mario Draghi in persona offrire il chiaro segnale di aver compreso la situazione e comportarsi di conseguenza. Draghi e il suo ministro dell'Economia Daniele Franco non possono non sapere che gli oltre 170 miliardi finora prestati dalle banche alle imprese con garanzie statali (oltre ai 173 miliardi di mutui tuttora oggetto di moratoria) potrebbero presto trasformarsi in sofferenze. La garanzia statale verrebbe escussa dalle banche. E le uscite di cassa per lo Stato sarebbero tante e inevitabili. Il punto 23-ter dell'ultima modifica del Quadro temporaneo della Commissione Ue consente di trasformare i crediti in sussidi a fondo perduto. Non serve erogare nuova finanza. Basta semplicemente smettere di fingere di credere che milioni di partite Iva possano rispettare la scadenza di sei anni per il loro rimborso. Come si finanzia una simile operazione? Le banche sostituirebbero i prestiti alle imprese, potenzialmente problematici, sottoscrivendo un'emissione speciale di titoli di Stato a lunghissima scadenza. Le banche annegano nella liquidità avendo depositato in Bce quasi 260 miliardi in più rispetto al minimo regolamentare. Ad esempio il Mef ha emesso un nuovo Btp a 50 anni, collocato tramite sindacato tra banche, per 5 miliardi e ricevendo ordini per 64, al tasso del 2,17%. Inoltre, la pressione fiscale del 2020 indica l'incredibile cifra del 43,1%; in aumento dal 42,4% del 2019. Gli ultimi dati delle entrate tributarie indicano nel primo bimestre dell'anno un modesto calo del 4,1% (circa 3 miliardi) rispetto a un anno fa. E l'economia era ancora a pieni giri. Ogni mese, al Mef dispongono di entrate per circa 30/40 miliardi e il confronto segnala un calo di gettito del 7,1%. Meno che proporzionale rispetto alla caduta del Pil. Da qui l'aumento della pressione fiscale. La leva tributaria non è stata affatto azionata. È l'ora di farlo: non richiedere il pagamento delle tasse è lo strumento più rapido che lo Stato ha per immettere liquidità nell'economia. E va fatto con un orizzonte temporale lungo approfittando della disponibilità della Bce all'acquisto del debito pubblico aggiuntivo emesso per finanziare questa operazione. Come si evince dal grafico, se a Francoforte decidessero di utilizzare tutto il plafond disponibile di 1.850 miliardi del programma Pepp, nei prossimi 12 mesi l'Italia potrebbe beneficiare di acquisti aggiuntivi per circa 138 miliardi, 23 miliardi a bimestre. A cui si aggiungerebbero altri 3,5 miliardi mensili del programma Pspp, per un totale di circa 180 miliardi. Iva (la Germania l'ha già fatto), Irpef, Ires: nessuna imposta deve essere esclusa da un taglio straordinario, mirato e misurabile nell'ordine delle decine di miliardi, finalizzato a lasciare nelle tasche delle imprese italiane, messe in ginocchio dalla forzata inattività, le risorse per tornare a spendere.Si dovrà discutere dei dettagli tecnici di tale proposta, ma basta con l'errore fatale di fornire soluzioni di breve respiro e modesta entità a una crisi di proporzioni epocali. Nelle decisioni di consumo e investimento le aspettative sono tutto. E sapere di non essere schiacciati tra pochi mesi da rate in scadenza e cartelle esattoriali è il primo passo per ripartire. Sempre che si risollevino le saracinesche. Ma questa è la premessa.
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