2021-10-05
Milano, Sala segna a porta vuota e acchiappa il bis
Giuseppe Sala 57,3% - Luca Bernardo 32,2% (Ansa)
Il primo cittadino gongola («Elezione storica») anche se i milanesi disertano le urne (astenuti al 52,3%). Troppo debole la proposta di Luca Bernardo, come ammettono i big della sua coalizione. Pentastellati invisibili all'ombra della Madonnina: sotto il 3% di Italexit.Ha vinto il partito del «vadaviaiciap», quello che semplicemente ha voltato le spalle alle urne. A Milano, dove le chiacchiere stanno a zero, succede. Ma mai come questa volta. Il 52,3%, partito di maggioranza assoluta, si è tenuto ben lontano dal voto e ha lanciato alla politica un messaggio agghiacciante: no alla stagione dell'apparenza, no alle vacue passerelle del Vanity sindaco Giuseppe Sala, no al semisconosciuto Luca Bernardo (appena sopra il 32%), no alle stucchevoli polemiche interne al centrodestra. Questa è una città che non perdona la «flanella» e gli errori. Così, se è vero che Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia sono stati puniti duramente (fuori perfino dal ballottaggio), è anche vero che il borgomastro di centrosinistra è stato rieletto per inerzia (poco più del 57%) e da oggi è un sindaco di minoranza.Nella storia elettorale, mai prima d'ora la quota dei votanti era rimasta sotto il 50% (47,69% ben 7 punti sotto la media nazionale). Nel 2016 il duello fra il medesimo Sala e Stefano Parisi aveva visto la partecipazione del 54,7% dei milanesi e nel 2012 il confronto Giuliano Pisapia-Letizia Moratti aveva infiammato il 67% degli elettori. Questa volta è record negativo, neppure le tradizionali truppe cammellate di sinistra hanno risposto all'appello compatte. Disaffezione in centro e nelle periferie: distrazione nel Municipio 1, roccaforte radical chic, e disinteresse nei quartieri più disagiati dove i disastri dell'immigrazione sono palpabili e dove per cinque anni l'attuale amministrazione non aveva mai messo il naso. Più che in passato, oggi vale il principio che «Milano si governa da sola» e la maggioranza dei cittadini non ha ritenuto di dover perdere tempo. C'è poi una curiosa valutazione che fa innervosire la sinistra: al di là delle concessioni al circo arcobaleno, Sala - manager, liberista, attento a non appiattirsi sulla decrescita infelice - è evidentemente percepito come «quello di destra». L'astensionismo clamoroso è un brutto segnale anche per lui, ma finge di non vederlo e commenta così la rielezione: «È un evento quasi storico, dal 1993 il centrosinistra non aveva mai vinto al primo turno. Abbiamo dato una lezione alla politica per modi e toni. Un mese fa non mi sarei aspettato, ma negli ultimi giorni andando in giro avevo capito che c'era la possibilità di fare questo grande risultato. La mia promessa ai milanesi è essere sindaco di tutti, garantire che troverò le formule per far partecipare tutti». Sarebbe una novità epocale perché in questi cinque anni il suo spoil system è stato feroce. Entusiasti gli esponenti del Pd, soprattutto i due Pierfranceschi, velocissimi a salire sul podio a gomito largo. Majorino, europarlamentare, controllore dei voti nei centri sociali e del potere di sottogoverno: «Meno male che la destra diceva che stavamo distruggendo Milano». Meno banale la valutazione di Maran, discutibile assessore all'Urbanistica, responsabile degli scempi viabilistici. Lui da oggi punta al bersaglio grosso: «Se il centrosinistra si dimostra compatto possiamo vincere in Lombardia e anche le elezioni politiche. La Regione non è mai stata contendibile fino a oggi ma pensiamo che per la prima volta si possa battere la Lega in tutta la Lombardia, bisogna farla svoltare tutta». Un messaggio agli amici della Procura ambrosiana, ai giornali della parrocchietta e al tempo stesso una valutazione dal respiro corto. La questione settentrionale è sempre in prima linea e fuori dalla metropoli l'iperstatalista Pd da almeno 30 anni dimostra di conoscere poco il cielo di Lombardia. Come poco ha fatto in questa tornata il centrodestra per vincere. Mentre Matteo Salvini conferma che «abbiamo sbagliato nello scegliere i candidati tardi», Maurizio Lupi va più a fondo e si allinea alle critiche a urne aperte di Silvio Berlusconi. «Una bella scoppola, quando vedono in gioco un'alternativa credibile i cittadini vanno a votare. Non è colpa di Bernardo, questo non è X Factor. Piuttosto il centrodestra, senza una proposta moderata, non va da nessuna parte». Il leader di Milano popolare sarebbe stato un buon candidato se la coalizione non avesse deciso di puntare tutto su nomi poco riconoscibili d'una società civile sempre meno coinvolta. Il resto sta tutto in due 3%: quello di Gianluigi Paragone (Italexit) e quello di Layla Pavone (Movimento 5 stelle). Grillini non pervenuti come al solito. Dove contano lavoro, sviluppo e richiesta di poco Stato, loro semplicemente non esistono. Ma questa, più che una notizia, è una sentenza di Cassazione.
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