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2020-03-02
Tutti bloccati dallo sblocca cantieri: 749 opere al palo
Ansa
Il decreto Sbloccacantieri è un altro buco nell'acqua. È passato quasi un anno e di cantieri sbloccati siamo a quota zero. Secondo l'Ance sono 749 le opere infrastrutturali bloccate, per un valore complessivo di 62 miliardi di euro. Di queste, 101 sono grandi opere di importo superiore ai 100 milioni di euro, per un totale di oltre 56 miliardi di euro. Le cause dello stop dei cantieri sono diverse: dalla mancanza di fondi, al fallimento delle imprese coinvolte, ai ricorsi, all'arrivo di altre leggi che richiedono modifiche ai progetti. I lavori del nodo ferroviario di Genova, ad esempio, sono bloccati da novembre 2018, quando il gruppo Astaldi, che si era aggiudicato l'appalto dopo la crisi del consorzio Eureca, è stato costretto a risolvere il contratto prima del fallimento. L'ultradecennale questione della Cremona-Mantova attende ancora una soluzione. Per la Ragusa-Catania, vecchia di 30 anni, sono arrivati 750 milioni; peccato però che il progetto definitivo non sia ancora completato, perché devono essere recepite le nuove norme a cominciare dal Milleproroghe.
Il decreto, oltre a non sbloccare le grandi opere, sta mettendo a rischio le gare per i piccoli e medi cantieri, che rappresentano il 70% dell'attività degli appalti dei Comuni. Opere apparentemente minori, eppure fondamentali per i piccoli centri. Stiamo parlando di 11.500 appalti, di importo inferiore a 5 milioni di euro, che potrebbero rimanere in sospeso. Lo Sbloccacantieri contiene una norma concepita proprio per semplificare le gare di queste tipologie di appalti. Peccato che sia stata scritta in modo tutt'altro che chiaro e preciso, al punto che ha scatenato una gazzarra di interpretazioni contrastanti e di conseguenti contestazioni, mettendo in crisi le amministrazioni comunali. L'allarme è stato lanciato dal presidente dell'Ifel, fondazione Anci per l'economia locale, l'Associazione dei Comuni. Guido Castelli ha passato ai raggi x il decreto e ha ricostruito l'ambiguità di parti importanti del testo che hanno indotto l'intervento di vari Tar, del ministero delle Infrastrutture, dell'Anac e alla fine anche del Consiglio di Stato.
Nel 2019, come attesta l'Associazione dei costruttori, sono stati presentati 22.000 bandi di gara per lavori pubblici. Quelli di importo fino a 5 milioni (cui si riferisce la norma dello Sbloccacantieri) sono 11.512. Proprio questi, circa la metà, corrono il rischio di restare impantanati in contestazioni giudiziarie.
Ma andiamo con ordine. Questa la ricostruzione di Castelli. Il decreto, varato il 18 aprile scorso e convertito in legge a giugno, ha espressamente previsto una modalità di aggiudicazione semplificata per gli appalti di importo inferiore a 5,350 milioni di euro, (cioè sotto la soglia oltre la quale scatta la normativa europea) e privi di carattere transfrontaliero ( non appetibili a operatori esteri). Per queste gare, se arrivano almeno dieci offerte, scatta l'obbligo (prima era facoltativo) del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale, in presenza del criterio del minor prezzo. Questo significa che se in una gara, con le caratteristiche di cui sopra, emerge che alcune offerte hanno un prezzo talmente basso da essere sospetto, queste vengono automaticamente escluse. Non si perde tempo a sentire le ragioni e le spiegazioni dell'impresa interessata, ma si passa subito ad aggiudicare la gara. Tale meccanismo dovrebbe accorciare i tempi e far emergere subito anomalie che rischierebbero, a cantiere aperto, di compromettere l'esecuzione dei lavori. Quante volte, in effetti, leggiamo di opere che sono partite con la previsione di un costo e poi si interrompono perché risulta che c'è stata una sottostima e i soldi non bastano? Allora servono altri stanziamenti, con un effetto moltiplicatore che spesso porta alla sospensione dei lavori. Le ben note cattedrali nel deserto…
Per evitare quindi sorprese in corso d'opera, ecco che il decreto ha introdotto il meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale.
Fin qui tutto bene. Il problema sorge per il calcolo della soglia di anomalia. Quand'è che un'offerta, nei casi di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, può definirsi anomala e dunque da escludere?
È qui che il meccanismo si è inceppato. Lo Sbloccacantieri ha modificato un articolo del Codice dei contratti pubblici, sostituendo i precedenti cinque metodi di calcolo, con due distinte modalità utilizzabili secondo il numero delle offerte ammesse (pari o superiori o inferiori a 15). Siccome dal calcolo si individua chi si aggiudica una gara e chi viene escluso, questo passaggio è molto delicato. Castelli lancia il sasso: «Era evidente l'esigenza di scrivere la norma nella maniera più chiara possibile, cercando di evitare che si prestasse a molteplici interpretazioni». Invece così non è stato. E sono partiti numerosi ricorsi. Sulla questione sono addirittura intervenuti quattro Tar: della Sicilia, della Calabria, dell'Emilia e della Lombardia. Ciascuno, però, è arrivato a soluzioni contrapposte. Alla fine si sono pronunciati l'Anac e il ministero delle Infrastrutture, che hanno condiviso l'impostazione del Tribunale amministrativo di Brescia. Ma quando la questione sembrava risolta, ecco che il Tar delle Marche ha rimescolato le carte sul tavolo, fornendo una sua interpretazione.
A questo punto la palla è passata al Consiglio di Stato, che ha fissato due udienze, una per trattare il ricorso sulla sentenza del Tar di Brescia e un'altra per quella delle Marche. Alla fine, ha deciso di sospendere entrambi i pronunciamenti, fissando al prossimo 4 giugno una riunione per sciogliere il nodo. E altro tempo passa…
È evidente che ora in ogni gara al minor prezzo, che prevede l'aggiudicazione con esclusione automatica, obbligatoria, per appalti di importo compreso tra 350.000 euro e a 5,350 milioni di euro, rischia di essere soggetta a ricorso, qualunque sia l'interpretazione adottata. Rieccoci quindi alla trafila delle contestazioni, al balletto delle carte bollate e degli avvocati. Almeno fino a giugno, quando, si spera, sia messo un punto a questa paradossale vicenda legislativa.
Nel frattempo, in attesa di un chiarimento, chi era in procinto di bandire una gara si guarderà bene dal farlo per evitare di mettersi in una posizione che potrebbe essere contestata, con il rischio di dover cominciare da capo.
A fare le spese di questa situazione sono soprattutto le zone colpite dal terremoto del 2016, dove la ricostruzione marcia a rilento. La situazione dovrebbe essere milgiore soltanto per i cantieri di importo tra i 40.000 e i 500.000 euro, per i quali è previsto l'affidamento diretto e, più in generale, per le gare fino a 350.000 euro. Secondo l'Ance, è possibile che «per i tagli di lavori più ridotti, le stazioni appaltanti, prendendo atto delle nuove disposizioni, ricorrano in misura maggiore all'affidamento diretto».
Auspici. Che faranno piccoli Comuni? Aspetteranno il pronunciamento del Consiglio di Stato e l'arrivo di altri provvedimenti, o magari di uno Sbloccacantieri bis, di cui si parla? Intanto, si sarà perso un altro anno.
Dodici anni per la Cremona-Mantova (e 400 milioni in più)
Sono 41 i cantieri rimasti sulla carta, non ancora partiti e 26 le opere incompiute. Alcuni lavori sono fermi alla progettazione perché si attende la nomina del commissario.
Per la Variante Est di Edolo non si parla della gara prima del prossimo anno. Il nuovo collegamento tra Bergamo e l'aeroporto Orio al Serio, dovrebbe essere pronto, nelle intenzioni, per le Olimpiadi del 2026, ma si marcia a rilento. Per il raddoppio della tratta Codogno-Cremona-Mantova, è ancora in corso la progettazione e si stima che solo a marzo 2021 sarà completato l'iter delle approvazioni, dopodiché ci sarà la gara. Al palo il quadruplicamento della Milano Rogoredo-Pavia e il potenziamento della tratta ferroviaria Rho-Gallarate.
C'è poi il caso del maxi polo dedicato alla logistica della società Esselunga. Quest'opera di 650.000 metri quadri si è impantanata in una serie di ricorsi al Tar da parte delle amministrazioni locali, poi sbloccati dall'intervento del Consiglio di Stato.
Una vicenda che ormai si trascina da oltre 30 anni è quella della tangenziale di Isorella. L'opera è stata inserita nel 2017 dalla Provincia nel programma triennale 2018-2020 delle opere pubbliche. Prevede un investimento di 6 milioni e 500.000 euro.
Due ricorsi hanno bloccato la realizzazione del nuovo Museo dell'industria e del Lavoro a Brescia. Valore: 12 milioni di euro. Il cantiere si deve chiudere entro il 2021.
L'opera di depurazione del Garda è considerata primaria ma è impantanata in veti ambientalistici. Il progetto dovrebbe essere realizzato tra il 2025 e il 2030 ma si continua ancora a discutere su quanti impianti di depurazione realizzare sulla riva bresciana. Al momento è stato creato un tavolo di approfondimento per chiarire l'impatto ambientale e individuare misure compensative.
L'autostrada Cremona-Mantova è un progetto che risale al 2005 e prevedeva costi per 756 milioni di euro. Nel 2017 dopo 12 anni di attesa, è arrivato il piano esecutivo con una lievitazione dell'onere a 1,2 miliardi. La Regione, in un recente incontro al ministero delle Infrastrutture, ha confermato l'impegno finanziario. L'opera dovrebbe essere completata entro il 2026, ma siamo ancora ai tavoli di discussione.
All'Anagrafe delle opere incompiute, numerosi cantieri risultano bloccati per la mancanza di fondi, o perché nel frattempo sono arrivate nuove norme tecniche o disposizioni di legge, o addirittura perché nel corso dei lavori è venuto meno l'interesse da parte della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore. È il caso della realizzazione di una nuova casa mandamentale nel Comune di Borgo Mantovano.
Raccordo Salerno-Avellino: manca ancora il commissario
Il 23 dicembre 2003, l'Anas annunciava l'appalto per il raddoppio della statale 268 «del Vesuvio». I lavori su circa 19,5 chilometri che interessano i Comuni di Boscoreale, Poggiomarino, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno erano suddivisi in due lotti. Prevedevano la realizzazione di 9 viadotti, 25 ponti e 14 cavalcavia, il tempo stabilito per l'esecuzione delle opere era di 1.160 giorni (poco più di tre anni). Il Portale nazionale delle infrastrutture di trasporto e logistica (Trail) di Unioncamere riportava come inizio lavori il 30 marzo 2010 e come previsione di fine cantieri il primo gennaio 2014. Lo scorso giugno l'Anas indicava in un report, alla commissione Trasporti della Camera, che in Campania 13 cantieri erano a rischio, tra i quali il raddoppio della statale del Vesuvio. Non sarebbero mancati i fondi, oltre 1.600 milioni di euro già stanziati, ma abbondavano ritardi e intoppi burocratici «che vanno dalla condivisione dei progetti con gli enti locali, la necessità di approfondimenti tecnici fino a ritardi nella presentazione dei pareri tecnici o allungamenti dei tempi nell'iter autorizzativo». Tra le opere bloccate, anche l'avvio del raddoppio della statale 372 «Telesina» lunga 71 chilometri, una delle più trafficate della Regione con un traffico medio giornaliero di circa 20.000 veicoli leggeri e di circa 3.500 veicoli pesanti. Importo stanziato, 790 milioni di euro.
La statale 268 è un'arteria nevralgica per snellire il traffico dei paesi a Nord del Vesuvio e rappresenta la principale via di fuga in caso di eruzione. I lavori dello svincolo di Angri, che «contribuirebbe a favorire un significativo decongestionamento del traffico pesante», come evidenziava Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d'Italia, non sono ancora stati completati.
La trasformazione in autostrada del raccordo Salerno-Avellino, 232,3 milioni di euro per i primi due lotti, è un'altra delle opere inserite nel decreto sblocca cantieri. Strada di collegamento tra l'A3 (Salerno-Reggio Calabria) e A30 (Caserta -Salerno), con la bretella verso il porto così pure con la tangenziale di Salerno, per il suo ampliamento è finanziata la prima parte dell'investimento. Il Cipe ha approvato il progetto preliminare per la terza corsia e la messa in sicurezza del lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, primo dei due lotti in cui è stato suddiviso il progetto dell'autostrada Salerno-Avellino. Non è stato bandito l'appalto perché il governo non ha ancora nominato il commissario che faccia partire i lavori, si rischia di perdere i finanziamenti. A metà febbraio è stata avanzata l'ipotesi di allargare l'autostrada con binari ad alta velocità, una sinergia tra Rfi e Anas che potrebbe generare la prima linea italiana autostradale ferroviaria lungo l'asse Salerno Avellino Benevento. Treni e auto percorrerebbero questa direttrice parallelamente. Magari prima completando la trasformazione della superstrada in autostrada.
Sulla «strada della morte» si schiantano Regione e ministeri
«L'intervento per la realizzazione del raddoppio a quattro corsie della nuova statale 597 da Sassari a Olbia è stato suddiviso in 10 lotti funzionali», riporta l'Anas, indicando che i lavori sono «in corso». Per migliorare la percorribilità di quella che viene chiamata «la strada della morte», il principale collegamento trasversale interno della Sardegna, tra la costa occidentale e quella orientale del Nord, si è potuto iniziare solo nel 2013. In quell'anno, la Regione Sardegna comunicava che i cantieri «assorbiranno molti posti di lavoro», circa 1.400 operai e che l'opera, prevista con un costo di circa 960 milioni di euro, sarebbe stata ultimata nel «primo semestre del 2017».
A tutt'oggi, invece, la nuova strada statale non è stata ultimata, il collegamento sarà disponibile forse nel 2023. I lotti vanno avanti a singhiozzo, il numero 4 è fermo da maggio 2018, dopo che il contratto venne rescisso. Silos, il sistema informativo legge opere strategiche della Camera dei deputati, lo scorso ottobre segnalava che i lavori del lotto 2, con un costo «aggiornato» di 110.346.001 euro, erano al 13,7%. Il lotto 5, dal costo di 59.992.000 euro, presentava «un avanzamento dei lavori del 15,6%». Sempre Silos indicava che al 31 ottobre 2019 le previsioni di costo della strada erano lievitate a 1.120.559 euro. Lo scorso 16 gennaio ha aperto al traffico un tratto di carreggiata lungo 2,3 chilometri, ma raddoppiare 80 chilometri di una strada giudicata pericolosissima, sembra un'impresa impossibile. Camion e pullman la percorrono ogni giorno a velocità piuttosto basse, tentare di superarli con solo due corsie a disposizione significa rischiare la vita, vie di fuga non esistono, infatti è disseminata di croci.
Un calvario anche il completamento della 291 Sassari-Alghero a quattro corsie, lavori iniziati nel 2009 poi più volte bloccati perché «sparivano» i soldi, i fondi venivano dirottati su altre opere. Nel 2007 l'importo del finanziamento era stato di 54.660.000 euro. «Non bisogna perdere altro tempo, mai più, l'iter prosegua velocemente al Cipe e si appalti l'opera», tuonava nel febbraio dello scorso anno l'allora ministro dei Trasporti, il pentastellato Danilo Toninelli. «Siamo soddisfatti che tutti i ministeri competenti abbiano sbloccato un'opera strategica, finanziata nel 2015 con 125 milioni dallo Sblocca Italia», commentava l'ex sindaco di Alghero, Mario Bruno. Due mesi fa, il ministero dei Beni culturali ha espresso parere negativo sul completamento della strada, per problemi di compatibilità ambientale. In questo modo si perderanno i finanziamenti dell'opera.
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Il decreto voluto dal M5s ha finito per complicare gli iter. E così i ricorsi hanno mandato in tilt persino i piccoli appalti.In Lombardia sono 41 i cantieri rimasti sulla carta, non ancora partiti e 26 le opere incompiute. Alcuni lavori sono fermi alla progettazione perché si attende la nomina del commissario.In Campania ancora fermo il raddoppio della statale 268 «del Vesuvio» la cui conclusione era prevista per il primo gennaio 2014.In Sardegna la nuova statale 597 da Sassari a Olbia non è ancora stata ultimata. Il collegamento sarà disponibile forse nel 2023.Lo speciale contiene quattro articoli.Il decreto Sbloccacantieri è un altro buco nell'acqua. È passato quasi un anno e di cantieri sbloccati siamo a quota zero. Secondo l'Ance sono 749 le opere infrastrutturali bloccate, per un valore complessivo di 62 miliardi di euro. Di queste, 101 sono grandi opere di importo superiore ai 100 milioni di euro, per un totale di oltre 56 miliardi di euro. Le cause dello stop dei cantieri sono diverse: dalla mancanza di fondi, al fallimento delle imprese coinvolte, ai ricorsi, all'arrivo di altre leggi che richiedono modifiche ai progetti. I lavori del nodo ferroviario di Genova, ad esempio, sono bloccati da novembre 2018, quando il gruppo Astaldi, che si era aggiudicato l'appalto dopo la crisi del consorzio Eureca, è stato costretto a risolvere il contratto prima del fallimento. L'ultradecennale questione della Cremona-Mantova attende ancora una soluzione. Per la Ragusa-Catania, vecchia di 30 anni, sono arrivati 750 milioni; peccato però che il progetto definitivo non sia ancora completato, perché devono essere recepite le nuove norme a cominciare dal Milleproroghe.Il decreto, oltre a non sbloccare le grandi opere, sta mettendo a rischio le gare per i piccoli e medi cantieri, che rappresentano il 70% dell'attività degli appalti dei Comuni. Opere apparentemente minori, eppure fondamentali per i piccoli centri. Stiamo parlando di 11.500 appalti, di importo inferiore a 5 milioni di euro, che potrebbero rimanere in sospeso. Lo Sbloccacantieri contiene una norma concepita proprio per semplificare le gare di queste tipologie di appalti. Peccato che sia stata scritta in modo tutt'altro che chiaro e preciso, al punto che ha scatenato una gazzarra di interpretazioni contrastanti e di conseguenti contestazioni, mettendo in crisi le amministrazioni comunali. L'allarme è stato lanciato dal presidente dell'Ifel, fondazione Anci per l'economia locale, l'Associazione dei Comuni. Guido Castelli ha passato ai raggi x il decreto e ha ricostruito l'ambiguità di parti importanti del testo che hanno indotto l'intervento di vari Tar, del ministero delle Infrastrutture, dell'Anac e alla fine anche del Consiglio di Stato.Nel 2019, come attesta l'Associazione dei costruttori, sono stati presentati 22.000 bandi di gara per lavori pubblici. Quelli di importo fino a 5 milioni (cui si riferisce la norma dello Sbloccacantieri) sono 11.512. Proprio questi, circa la metà, corrono il rischio di restare impantanati in contestazioni giudiziarie.Ma andiamo con ordine. Questa la ricostruzione di Castelli. Il decreto, varato il 18 aprile scorso e convertito in legge a giugno, ha espressamente previsto una modalità di aggiudicazione semplificata per gli appalti di importo inferiore a 5,350 milioni di euro, (cioè sotto la soglia oltre la quale scatta la normativa europea) e privi di carattere transfrontaliero ( non appetibili a operatori esteri). Per queste gare, se arrivano almeno dieci offerte, scatta l'obbligo (prima era facoltativo) del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale, in presenza del criterio del minor prezzo. Questo significa che se in una gara, con le caratteristiche di cui sopra, emerge che alcune offerte hanno un prezzo talmente basso da essere sospetto, queste vengono automaticamente escluse. Non si perde tempo a sentire le ragioni e le spiegazioni dell'impresa interessata, ma si passa subito ad aggiudicare la gara. Tale meccanismo dovrebbe accorciare i tempi e far emergere subito anomalie che rischierebbero, a cantiere aperto, di compromettere l'esecuzione dei lavori. Quante volte, in effetti, leggiamo di opere che sono partite con la previsione di un costo e poi si interrompono perché risulta che c'è stata una sottostima e i soldi non bastano? Allora servono altri stanziamenti, con un effetto moltiplicatore che spesso porta alla sospensione dei lavori. Le ben note cattedrali nel deserto…Per evitare quindi sorprese in corso d'opera, ecco che il decreto ha introdotto il meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale.Fin qui tutto bene. Il problema sorge per il calcolo della soglia di anomalia. Quand'è che un'offerta, nei casi di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, può definirsi anomala e dunque da escludere?È qui che il meccanismo si è inceppato. Lo Sbloccacantieri ha modificato un articolo del Codice dei contratti pubblici, sostituendo i precedenti cinque metodi di calcolo, con due distinte modalità utilizzabili secondo il numero delle offerte ammesse (pari o superiori o inferiori a 15). Siccome dal calcolo si individua chi si aggiudica una gara e chi viene escluso, questo passaggio è molto delicato. Castelli lancia il sasso: «Era evidente l'esigenza di scrivere la norma nella maniera più chiara possibile, cercando di evitare che si prestasse a molteplici interpretazioni». Invece così non è stato. E sono partiti numerosi ricorsi. Sulla questione sono addirittura intervenuti quattro Tar: della Sicilia, della Calabria, dell'Emilia e della Lombardia. Ciascuno, però, è arrivato a soluzioni contrapposte. Alla fine si sono pronunciati l'Anac e il ministero delle Infrastrutture, che hanno condiviso l'impostazione del Tribunale amministrativo di Brescia. Ma quando la questione sembrava risolta, ecco che il Tar delle Marche ha rimescolato le carte sul tavolo, fornendo una sua interpretazione.A questo punto la palla è passata al Consiglio di Stato, che ha fissato due udienze, una per trattare il ricorso sulla sentenza del Tar di Brescia e un'altra per quella delle Marche. Alla fine, ha deciso di sospendere entrambi i pronunciamenti, fissando al prossimo 4 giugno una riunione per sciogliere il nodo. E altro tempo passa…È evidente che ora in ogni gara al minor prezzo, che prevede l'aggiudicazione con esclusione automatica, obbligatoria, per appalti di importo compreso tra 350.000 euro e a 5,350 milioni di euro, rischia di essere soggetta a ricorso, qualunque sia l'interpretazione adottata. Rieccoci quindi alla trafila delle contestazioni, al balletto delle carte bollate e degli avvocati. Almeno fino a giugno, quando, si spera, sia messo un punto a questa paradossale vicenda legislativa.Nel frattempo, in attesa di un chiarimento, chi era in procinto di bandire una gara si guarderà bene dal farlo per evitare di mettersi in una posizione che potrebbe essere contestata, con il rischio di dover cominciare da capo.A fare le spese di questa situazione sono soprattutto le zone colpite dal terremoto del 2016, dove la ricostruzione marcia a rilento. La situazione dovrebbe essere milgiore soltanto per i cantieri di importo tra i 40.000 e i 500.000 euro, per i quali è previsto l'affidamento diretto e, più in generale, per le gare fino a 350.000 euro. Secondo l'Ance, è possibile che «per i tagli di lavori più ridotti, le stazioni appaltanti, prendendo atto delle nuove disposizioni, ricorrano in misura maggiore all'affidamento diretto».Auspici. Che faranno piccoli Comuni? 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Il nuovo collegamento tra Bergamo e l'aeroporto Orio al Serio, dovrebbe essere pronto, nelle intenzioni, per le Olimpiadi del 2026, ma si marcia a rilento. Per il raddoppio della tratta Codogno-Cremona-Mantova, è ancora in corso la progettazione e si stima che solo a marzo 2021 sarà completato l'iter delle approvazioni, dopodiché ci sarà la gara. Al palo il quadruplicamento della Milano Rogoredo-Pavia e il potenziamento della tratta ferroviaria Rho-Gallarate. C'è poi il caso del maxi polo dedicato alla logistica della società Esselunga. Quest'opera di 650.000 metri quadri si è impantanata in una serie di ricorsi al Tar da parte delle amministrazioni locali, poi sbloccati dall'intervento del Consiglio di Stato. Una vicenda che ormai si trascina da oltre 30 anni è quella della tangenziale di Isorella. L'opera è stata inserita nel 2017 dalla Provincia nel programma triennale 2018-2020 delle opere pubbliche. Prevede un investimento di 6 milioni e 500.000 euro. Due ricorsi hanno bloccato la realizzazione del nuovo Museo dell'industria e del Lavoro a Brescia. Valore: 12 milioni di euro. Il cantiere si deve chiudere entro il 2021. L'opera di depurazione del Garda è considerata primaria ma è impantanata in veti ambientalistici. Il progetto dovrebbe essere realizzato tra il 2025 e il 2030 ma si continua ancora a discutere su quanti impianti di depurazione realizzare sulla riva bresciana. Al momento è stato creato un tavolo di approfondimento per chiarire l'impatto ambientale e individuare misure compensative. L'autostrada Cremona-Mantova è un progetto che risale al 2005 e prevedeva costi per 756 milioni di euro. Nel 2017 dopo 12 anni di attesa, è arrivato il piano esecutivo con una lievitazione dell'onere a 1,2 miliardi. La Regione, in un recente incontro al ministero delle Infrastrutture, ha confermato l'impegno finanziario. L'opera dovrebbe essere completata entro il 2026, ma siamo ancora ai tavoli di discussione. All'Anagrafe delle opere incompiute, numerosi cantieri risultano bloccati per la mancanza di fondi, o perché nel frattempo sono arrivate nuove norme tecniche o disposizioni di legge, o addirittura perché nel corso dei lavori è venuto meno l'interesse da parte della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore. È il caso della realizzazione di una nuova casa mandamentale nel Comune di Borgo Mantovano. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/s-blocca-cantieri-2645350787.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="raccordo-salerno-avellino-manca-ancora-il-commissario" data-post-id="2645350787" data-published-at="1764993402" data-use-pagination="False"> Raccordo Salerno-Avellino: manca ancora il commissario Il 23 dicembre 2003, l'Anas annunciava l'appalto per il raddoppio della statale 268 «del Vesuvio». I lavori su circa 19,5 chilometri che interessano i Comuni di Boscoreale, Poggiomarino, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno erano suddivisi in due lotti. Prevedevano la realizzazione di 9 viadotti, 25 ponti e 14 cavalcavia, il tempo stabilito per l'esecuzione delle opere era di 1.160 giorni (poco più di tre anni). Il Portale nazionale delle infrastrutture di trasporto e logistica (Trail) di Unioncamere riportava come inizio lavori il 30 marzo 2010 e come previsione di fine cantieri il primo gennaio 2014. Lo scorso giugno l'Anas indicava in un report, alla commissione Trasporti della Camera, che in Campania 13 cantieri erano a rischio, tra i quali il raddoppio della statale del Vesuvio. Non sarebbero mancati i fondi, oltre 1.600 milioni di euro già stanziati, ma abbondavano ritardi e intoppi burocratici «che vanno dalla condivisione dei progetti con gli enti locali, la necessità di approfondimenti tecnici fino a ritardi nella presentazione dei pareri tecnici o allungamenti dei tempi nell'iter autorizzativo». Tra le opere bloccate, anche l'avvio del raddoppio della statale 372 «Telesina» lunga 71 chilometri, una delle più trafficate della Regione con un traffico medio giornaliero di circa 20.000 veicoli leggeri e di circa 3.500 veicoli pesanti. Importo stanziato, 790 milioni di euro. La statale 268 è un'arteria nevralgica per snellire il traffico dei paesi a Nord del Vesuvio e rappresenta la principale via di fuga in caso di eruzione. I lavori dello svincolo di Angri, che «contribuirebbe a favorire un significativo decongestionamento del traffico pesante», come evidenziava Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d'Italia, non sono ancora stati completati. La trasformazione in autostrada del raccordo Salerno-Avellino, 232,3 milioni di euro per i primi due lotti, è un'altra delle opere inserite nel decreto sblocca cantieri. Strada di collegamento tra l'A3 (Salerno-Reggio Calabria) e A30 (Caserta -Salerno), con la bretella verso il porto così pure con la tangenziale di Salerno, per il suo ampliamento è finanziata la prima parte dell'investimento. Il Cipe ha approvato il progetto preliminare per la terza corsia e la messa in sicurezza del lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, primo dei due lotti in cui è stato suddiviso il progetto dell'autostrada Salerno-Avellino. Non è stato bandito l'appalto perché il governo non ha ancora nominato il commissario che faccia partire i lavori, si rischia di perdere i finanziamenti. A metà febbraio è stata avanzata l'ipotesi di allargare l'autostrada con binari ad alta velocità, una sinergia tra Rfi e Anas che potrebbe generare la prima linea italiana autostradale ferroviaria lungo l'asse Salerno Avellino Benevento. Treni e auto percorrerebbero questa direttrice parallelamente. Magari prima completando la trasformazione della superstrada in autostrada. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/s-blocca-cantieri-2645350787.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="sulla-strada-della-morte-si-schiantano-regione-e-ministeri" data-post-id="2645350787" data-published-at="1764993402" data-use-pagination="False"> Sulla «strada della morte» si schiantano Regione e ministeri «L'intervento per la realizzazione del raddoppio a quattro corsie della nuova statale 597 da Sassari a Olbia è stato suddiviso in 10 lotti funzionali», riporta l'Anas, indicando che i lavori sono «in corso». Per migliorare la percorribilità di quella che viene chiamata «la strada della morte», il principale collegamento trasversale interno della Sardegna, tra la costa occidentale e quella orientale del Nord, si è potuto iniziare solo nel 2013. In quell'anno, la Regione Sardegna comunicava che i cantieri «assorbiranno molti posti di lavoro», circa 1.400 operai e che l'opera, prevista con un costo di circa 960 milioni di euro, sarebbe stata ultimata nel «primo semestre del 2017». A tutt'oggi, invece, la nuova strada statale non è stata ultimata, il collegamento sarà disponibile forse nel 2023. I lotti vanno avanti a singhiozzo, il numero 4 è fermo da maggio 2018, dopo che il contratto venne rescisso. Silos, il sistema informativo legge opere strategiche della Camera dei deputati, lo scorso ottobre segnalava che i lavori del lotto 2, con un costo «aggiornato» di 110.346.001 euro, erano al 13,7%. Il lotto 5, dal costo di 59.992.000 euro, presentava «un avanzamento dei lavori del 15,6%». Sempre Silos indicava che al 31 ottobre 2019 le previsioni di costo della strada erano lievitate a 1.120.559 euro. Lo scorso 16 gennaio ha aperto al traffico un tratto di carreggiata lungo 2,3 chilometri, ma raddoppiare 80 chilometri di una strada giudicata pericolosissima, sembra un'impresa impossibile. Camion e pullman la percorrono ogni giorno a velocità piuttosto basse, tentare di superarli con solo due corsie a disposizione significa rischiare la vita, vie di fuga non esistono, infatti è disseminata di croci. Un calvario anche il completamento della 291 Sassari-Alghero a quattro corsie, lavori iniziati nel 2009 poi più volte bloccati perché «sparivano» i soldi, i fondi venivano dirottati su altre opere. Nel 2007 l'importo del finanziamento era stato di 54.660.000 euro. «Non bisogna perdere altro tempo, mai più, l'iter prosegua velocemente al Cipe e si appalti l'opera», tuonava nel febbraio dello scorso anno l'allora ministro dei Trasporti, il pentastellato Danilo Toninelli. «Siamo soddisfatti che tutti i ministeri competenti abbiano sbloccato un'opera strategica, finanziata nel 2015 con 125 milioni dallo Sblocca Italia», commentava l'ex sindaco di Alghero, Mario Bruno. Due mesi fa, il ministero dei Beni culturali ha espresso parere negativo sul completamento della strada, per problemi di compatibilità ambientale. In questo modo si perderanno i finanziamenti dell'opera.
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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