2019-06-26
In Russia non c'è solo Vladimir Putin. La guida e i luoghi da non perdere
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Il rapporto tra il presidente russo e il mondo occidentale non è mai risultato troppo cordiale. Eppure non è sempre stato improntato ad aperta ostilità. Un'analisi dei rapporti tra Vladimir Putin e gli Stati Uniti negli anni. Mosca, città di cultura e religione. I cinque luoghi da non perdere, dalla famosa Piazza Rossa al teatro Bolshoi.Il Lotte Hotel Moscow e il Barvikha Hotel & Spa: The Leading Hotels of the World presenta le due strutture nella capitale russa. Alla scoperta di San Pietroburgo, un luogo dove d'estate la città si tinge dei colori del crepuscolo e balla tutta la notte.L'Ermitage, il Palazzo di inverno, la Chiesa sul Sangue Versato: cosa visitare e dove dormire nella «finestra sull'Occidente».Lo speciale contiene cinque articoli e consigli utili di viaggio.La strategia geopolitica portata avanti da Vladimir Putin negli ultimissimi anni sembra avere come obiettivo un'oscillazione costante tra Oriente e Occidente. Si tratta, del resto, di una linea che presenta radici lontane.Il rapporto tra il presidente russo e il mondo occidentale non è mai risultato troppo cordiale. Eppure non è sempre stato improntato ad aperta ostilità. Nei primi anni di potere, Putin mostrò anzi un avvicinamento non indifferente nei confronti di Washington. Soprattutto all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, lo Zar diede il suo appoggio alla lotta al terrore, guadagnandosi per questo la simpatia dell'allora presidente statunitense, George W. Bush. Addirittura, nel 2002, si registrò una vera e propria distensione tra Stati Uniti e Russia in occasione del vertice di Pratica di Mare, fortemente caldeggiato da Silvio Berlusconi. Ciononostante l'idillio non durò troppo. Non solo perché l'espansione della Nato a Est ha progressivamente irritato il Cremlino ma anche perché Putin non mostrò accondiscendenza verso l'invasione irachena del 2003: elementi, questi, che contribuirono a creare non pochi attriti con Washington. Nonostante una simpatia personale non indifferente tra i due, Bush e Putin iniziarono da allora un rapporto complicato e altalenante. Un rapporto parzialmente incrinato, oltre che dai singoli dossier, anche da una divergenza di fondo. Nel 2007, il presidente russo affermò in una intervista di prediligere un mondo multipolare e un rafforzamento del diritto internazionale: una chiara critica diretta all'unilateralismo dell'amministrazione Bush. Si trattò del resto di una tensione che riesplose, pochi mesi dopo, in occasione della crisi dell'Ossezia del Sud. Con l'elezione di Barack Obama nel novembre del 2008 la situazione sembrò rasserenarsi. Uno dei principali punti programmatici presentati dal nuovo presidente americano era la distensione con alcuni dei vecchi nemici degli Stati Uniti. In questo senso, la Casa Bianca avviò la cosiddetta politica del reset con la Russia. Un approccio decisamente distensivo che Obama portò avanti fino al 2014: fino, cioè all'annessione della Crimea da parte di Putin. Quell'evento ha costituito un autentico spartiacque. Se, fino ad allora, la Russia – pur con non pochi attriti – si era mostrata particolarmente vicina all'area geopolitica occidentale, quell'atto scatenò alcune reazioni che produssero una serie di effetti significativi. Unione Europea e Stati Uniti comminarono pesanti sanzioni economiche a Mosca. Un fattore da cui scaturirono due principali conseguenze: una economica e una geopolitica. Sul versante economico, la Russia è incorsa, dal 2014, in un periodo particolarmente turbolento. La forte crescita avvenuta negli anni precedenti ha subìto una battuta d'arresto, mentre il rublo ha registrato un netto crollo. In termini geopolitici, questa situazione ha progressivamente spinto il Cremlino a volgere il proprio sguardo verso la Cina. Non a caso, nello stesso 2014, Mosca e Pechino siglarono trentotto accordi dal valore complessivo di 25 miliardi di dollari in settori come energia, finanza e commercio. Senza poi dimenticare come, l'anno successivo, le due potenze abbiano firmato un'ulteriore intesa da 400 miliardi di dollari per la fornitura di gas naturale.L'ascesa al potere di Donald Trump nel 2016 sembra aver inaugurato una nuova fase. Il magnate newyorchese non ha mai fatto mistero di auspicare un disgelo con Mosca. Un invito, cui lo stesso presidente russo ha sempre risposto positivamente. Il problema risiede tuttavia nei rispettivi establishment. Se nel Cremlino c'è chi non vede di buon occhio un'apertura verso lo Zio Sam, anche tra le alte sfere di Washington c'è chi si oppone a questo disgelo. Non a caso, Putin è stato accusato di aver interferito nel processo elettorale delle presidenziali del 2016 e la stessa inchiesta Russiagate è stata usata dagli avversari di Trump per ostacolare la distensione. Il risultato sono stati due anni di tira e molla, di avvicinamenti e allontanamenti: un'altalena costante che, a fronte di rapporti personali ottimi, ha man mano trovato sul tavolo dossier divisivi (dal Venezuela all'Iran, fino alla stessa Ucraina).Adesso, dopo la conclusione fondamentalmente felice dell'inchiesta Russiagate, Trump sembra pronto a riprendere l'iniziativa diplomatica con Mosca. E questo è chiaro da una serie di fattori. Innanzitutto il presidente americano ha tirato il freno a mano su alcune crisi divisive: sia in Venezuela che in Iran, per esempio, Trump ha (almeno per ora) evitato interventi militari diretti. In secondo luogo, i due presidenti hanno annunciato un incontro in occasione dell'imminente G20 di Osaka. Infine, non bisogna trascurare le recenti evoluzioni politiche avvenute in Ucraina. La netta sconfitta del presidente antirusso, Petro Poroshenko, alle elezioni dello scorso aprile potrebbe rappresentare un elemento facilitatore nella distensione tra Washington e Mosca.Putin, come dicevamo, sembrerebbe favorevole a un disgelo. Ciononostante il presidente russo teme nuovi sgambetti da parte dell'establishment statunitense. Per questa ragione, pur mantenendo in piedi il dialogo con Trump, lo Zar sta continuando a stringere i propri rapporti con la Cina. A inizio giugno, il presidente cinese Xi Jinping si è recato in Russia, definendo significativamente Putin "il suo migliore amico". I due hanno siglato una serie di nuovi accordi commerciali e – soprattutto – hanno stabilito che sarà Huawei a realizzare la tecnologia 5G in Russia: uno schiaffo, neppure troppo velato, al bando recentemente emesso dalla Casa Bianca contro il colosso cinese. Se Pechino – dal canto suo – sta cercando di creare un asse che possa fornirle una sponda nelle trattative commerciali con gli Stati Uniti, Mosca sta tentando di mettere sotto pressione Washington, mostrando agli americani la propria autonomia geopolitica e commerciale. Un comportamento scaltro che tradisce tuttavia da parte del Cremlino una sorta di paradossale timore nei confronti del gigante cinese. Nonostante gli ottimi rapporti, Putin non ha interesse a schiacciarsi eccessivamente sulle posizioni della Repubblica Popolare: lo Zar teme infatti di restare inglobato dalla superpotenza cinese e – in questo senso – il canale aperto con Washington gli consente di giostrarsi tra i due colossi. Lo stesso riavvicinamento tra Mosca e Pyongyang – sancito dalla visita di Kim Jong-un a Vladivostok lo scorso aprile – può avere questa duplice spiegazione. Da una parte, il Cremlino sta partecipando a un fronte di alleanze potenzialmente ostile all'America. Dall'altra, è pur vero che Putin stia cercando di proporsi come mediatore tra Kim e Trump sulla questione della denuclearizzazione della penisola coreana. Un ruolo cui sta puntando, del resto, lo stesso Xi Jinping. E non è detto che questa ambizione non possa essere rivelativa di una competizione sotterranea tra il presidente russo e il suo omologo cinese.Fedele alla sua prospettiva di un ordine internazionale multipolare, Putin sta quindi attualmente cercando di destreggiarsi tra Cina e Stati Uniti. Da una parte, le sanzioni occidentali hanno sempre più spinto lo Zar nelle braccia di Pechino. Dall'altra, è chiaro che – al di là della compattezza di facciata – dalle parti del Cremlino si consideri la Repubblica Popolare come un alleato ingombrante e un po' inquietante. Su questo elemento farà leva probabilmente Trump per tentare la distensione con Mosca. Anche perché, a ben vedere, il presidente americano avrebbe tutto l'interesse a combinare il conflitto tariffario cinese con un disgelo verso la Russia. Questa mossa gli consentirebbe infatti esercitare una pressione più efficace sulla Repubblica Popolare, potendo così concretamente sperare in una vittoria nella difficile guerra dei dazi.Stefano Graziosi
Jose Mourinho (Getty Images)