2020-07-05
Roma, gli intrecci dimenticati da Pignatone
Giovanni Pignatone (Ansa)
L'ex procuratore «smemorato» sui contratti di lavoro del fratello avvocato e sui rapporti con 5 indagati dal suo stesso ufficio. Giovanni Salvi, titolare dell'azione disciplinare sul pm Stefano Fava, dovrà adesso rivedere gli atti di quando era pg della Capitale.«Area sbaglia sull'audio, è a Strasburgo da 5 anni». Niccolò Ghedini, il difensore di Silvio Berlusconi: «Le toghe progressiste non sanno di che cosa parlano. Grave interferenza con il nostro ricorso».Lo speciale comprende due articoli. Il procuratore generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi, quando ricopriva l'incarico di Pg della Corte d'appello di Roma sembra essersi bevuto più di un'amnesia del già procuratore di Roma Giuseppe Pignatone che, prima di andare in quiescenza, gli comunicò solo qualche profilo di potenziale incompatibilità in alcuni fascicoli scottanti che la Procura di Roma stava trattando. In un provvedimento datato 9 aprile 2019 Salvi, infatti, valutò: «Va solo conclusivamente rilevato che il dottor Pignatone rappresentò correttamente a questo ufficio tutti i profili di potenziale incompatibilità di sua iniziativa e non appena ne venne a conoscenza informandone peraltro i magistrati del suo ufficio». Un'affermazione, contenuta in un documento ufficiale, che, però, appare cozzare con una serie di evidenze. Il fratello di Pignatone, l'avvocato Roberto, è stato consulente di almeno tre indagati coinvolti (anche se Salvi nei suoi scritti dà atto che sono due) in un fascicolo del suo ufficio, quello sulla corruzione al Consiglio di Stato, con al centro la figura del faccendiere Piero Amara (oltre che per Amara, lavorò come consulente per Ezio Bigotti e per Pietro Balistreri). Inoltre Pignatone aveva rapporti personali, come da lui stesso ammesso, con altri due indagati, Riccardo Virgilio, ex presidente di una sezione del Consiglio di Stato, e il lobbista Fabrizio Centofanti. In tutto, quindi, lui e il fratello avevano incrociato cinque indagati dell'inchiesta sulle sentenze comprate. Qualche informazione però non sembra essere arrivata in Procura generale. Il 19 marzo 2019, infatti, Pignatone scrisse al pm Stefano Fava (autore di un esposto al Csm sui presunti conflitti d'interesse del suo capo, dal quale è scaturito un procedimento disciplinare a carico dello stesso Fava): «Ribadisco quanto affermato durante la riunione del 5 corrente mese con i colleghi (...) e cioè di essere sicuro di aver informato la signoria vostra a suo tempo, e cioè nella seconda metà del 2016 quando divennero oggetto di indagini Amara ed Ezio Bigotti, dell'esistenza di rapporti professionali peraltro già cessati tra il Bigotti e mio fratello avvocato Roberto Pignatone». E proprio in quella comunicazione sottolineò che «di tutto era stato informato tempestivamente il procuratore generale». Ovvero Salvi. «Che», aggiunse Pignatone, «con suo provvedimento del 3 luglio 2017 ha ritenuto che non ci fosse alcun elemento che rendesse opportuna, o tanto meno necessaria, la mia astensione». Qualcosa, però, sembra non tornare. Nella richiesta di astensione datata 17 maggio 2017 Pignatone affermò che «in epoca di poco successiva (all'arresto del fratello di Centofanti, avvenuto il 4 maggio 2016, ndr) sono emersi a carico di Fabrizio Centofanti indizi di reità (...). Subito dopo l'estate 2016 la figura di Centofanti è emersa in altro procedimento penale». Ma Pignatone, per quanto riguarda Centofanti, avrebbe dovuto essere informato già a maggio 2016, e per gli altri indagati dalla seconda metà del 2016. Ha inoltrato la richiesta di astensione, però, il 17 maggio 2017, dopo aver adottato atti proprio nei confronti di Amara: assegnò un'informativa di reato che riguardava Amara e Bigotti il 14 novembre 2016 e, il 19 dicembre 2016, coassegnò a più sostituti il procedimento che riguardava Amara. Ma c'è ancora qualche tassello fuori posto. Nella richiesta di astensione del 26 marzo 2019 Pignatone comunicò: «Aggiungo per precisione che dai controlli eseguiti è risultato che la prima iscrizione nel registro degli indagati per Amara è avvenuta in data 16 gennaio 2017 e per Bigotti in data 19 gennaio 2017, mentre le operazioni di intercettazione nei loro confronti sono cominciate rispettivamente il 24 novembre 2016 e il 30 gennaio 2017». In realtà, Amara è stato iscritto il 18 novembre 2016. Come poteva essere intercettato dal 24 novembre 2016 senza essere stato iscritto come indagato? Il nome di Centofanti, insomma, arrivò a Pignatone già nel maggio 2016 ma la richiesta di astensione risale al 17 maggio 2017. Il 26 marzo 2019, poi, chiese di nuovo di astenersi, allegando un progetto di parcella emesso dal fratello nei confronti della Nico Spa, «riconducibile al Bigotti», scrisse Pignatone. In realtà la Nico è riconducibile a un altro indagato: Balistrieri, anche lui cliente dell'avvocato Amara. La società di Bigotti era invece la Sti (che ha conferito incarichi al fratello Roberto). Pignatone, quindi, non ha comunicato al Pg che Balistrieri aveva conferito incarichi al fratello. E lo stesso sembra aver fatto per Virgilio, sebbene ne diede comunicazione ai suoi sostituti. Del rapporto con Centofanti ha riferito con un anno di ritardo; dei rapporti di suo fratello con Amara ha riferito con circa otto mesi di ritardo. E infine non ha mai comunicato al pg di avere adottato atti nei confronti di Amara in costanza dei rapporti che l'avvocato intratteneva con il fratello. E Salvi? Con il cambio di ruolo è diventato titolare dell'azione disciplinare su Fava. E sarà costretto a riguardare i suoi stessi atti. Da controllore e da controllato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/roma-gli-intrecci-dimenticati-da-pignatone-2646332038.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="area-sbaglia-sullaudio-e-a-strasburgo-da-5-anni" data-post-id="2646332038" data-published-at="1593906877" data-use-pagination="False"> «Area sbaglia sull’audio, è a Strasburgo da 5 anni» L'avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, è rimasto esterrefatto dal comunicato delle toghe progressiste di Area là dove scrivono che «la vicenda delle confessioni postume del Giudice Amedeo Franco al suo imputato ha profili torbidi ed inquietanti» e che «la registrazione, della quale è ignoto il contesto e non è stata appurata la genuinità e l'integralità, viene divulgata a molti anni di distanza, dopo la morte del giudice Franco, in un contesto che appare favorevole ad accreditare qualsiasi ignominia per screditare e delegittimare i magistrati e la giurisdizione». «Non sanno neanche cosa dicono» si scalda Ghedini. «Prospettano che la registrazione sia inveritiera. Se quella registrazione è falsa lo appurerà la Corte europea per i diritti dell'uomo, mica loro. Ma perché dovrebbe esserlo? Non c'è ragione. Quelli di Area fanno un errore di fondo: le registrazioni di Franco sono nella disponibilità della Corte europea da cinque anni. È una cosa gravissima che la magistratura italiana voglia intervenire su un atto procedimentale di un'autorità sovranazionale. Berlusconi ha accettato la condanna, ha scontato la pena a Cesano Boscone, non ha rotto le scatole a nessuno. Semplicemente ha portato all'attenzione del giudice sovranazionale il fatto che a suo parere, e a parere dei suoi difensori, non ha avuto un giudice super partes. Tra le tante cartucce a sua disposizione aveva una registrazione dove uno dei giudici dice che il giudizio non è stato imparziale. Se sia vero lo deciderà la Corte europea, mica i giudici italiani…». Avete approfittato del clima anti toghe creato dal caso Palamara per fare la denuncia? «Non c'entra un tubo. Glielo ripeto, quella cosa lì era depositata da cinque anni. Nelle scorse settimane abbiamo fatto l'ennesimo sollecito, come ogni sei-sette mesi. Dopodiché, in un momento in cui c'è molta attenzione sulle questioni legate alla magistratura, un giornalista attento ha recuperato gli atti del nostro procedimento, visto che le carte depositate alla Corte europea sono tutte pubbliche. Per questo le insinuazioni di Area sono una follia. Hanno sempre detto che Berlusconi non voleva farsi processare e Berlusconi è stato processato. Noi a quell'epoca avremmo potuto tirare fuori le registrazioni quando Berlusconi era in affidamento in prova ai servizi sociali, ma lui non ha voluto. Così le abbiamo prodotte davanti alla Corte europea e Franco era ancora vivissimo quando gli atti sono andati alla Cedu». Quindi le trascrizioni non le avete tirate fuori solo adesso che Franco è morto? «Adesso abbiamo depositato l'audio. Noi abbiamo dato fin dall'inizio la disponibilità delle trascrizioni e abbiamo detto alla Corte europea: se volete le registrazioni sono qui. La memoria aggiuntiva di aprile riguardava al 90% la sentenza civile che ci ha dato recentemente ragione. Dopodiché abbiamo detto: comunque ricordatevi la vicenda del giudice Franco che purtroppo è deceduto e non l'avete sentito. E a questo punto gli abbiamo dato anche l'audio. Certo se l'avessero convocato prima avrebbero potuto ascoltare la sua versione dalla sua viva voce». Dunque la Corte europea per i diritti dell'uomo aveva da anni la possibilità di visionare questo materiale? «Avevamo solo chiesto che le trascrizioni non fossero rese pubbliche, ma erano narrate all'interno dell'atto a disposizione del giudice naturale precostituito per legge, che poteva quindi in qualsiasi momento prenderne visione. Ed era a disposizione anche dell'autorità italiana perché il governo italiano viene informato sempre delle carte depositate». Le due donne che hanno aiutato Berlusconi a registrare il giudice Franco, e le cui voci si sentono distintamente negli audio, sono state identificate? «Credo si tratti di due povere segretarie. Ma non so proprio chi fossero».
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli