2020-04-14
Ritardi, rinvii e bugie. Ma i soldi promessi dal governo quando arrivano?
Se tutto va bene, il decreto aprile verrà sbloccato... a maggio Il ministro Nunzia Catalfo annuncia: «Prossimo bonus di 800 euro».Roberto Calderoli attacca Giuseppi: «Accusando i governatori ha tradito la Costituzione»Lo speciale contiene due articoliIl governo si è perso. Da un lato, in un labirinto di ritardi che vanno accumulandosi in modo consapevole e tutt'altro che causale: per decisione politica, e non per lentezza burocratica come qualcuno vorrebbe far credere. Dall'altro, in un uso ormai fastidioso del gerundio («stiamo provvedendo, stiamo elaborando») come metodo di comunicazione se non addirittura come forma mentis. L'una e l'altra cosa non sono addebitabili solo a una propensione levantina al rinvio, alle lunghe attese, ma dipendono da una ragione molto più prosaica: Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri non hanno risorse, le attendono dall'Ue (a dispetto della faccia feroce mostrata dal premier nell'ormai famigerata conferenza stampa di venerdì scorso), e per il momento si limitano a centellinare quel che hanno a disposizione. Anche se da Palazzo Chigi parlano di «lavoro senza sosta negli uffici di Inps e banche, aperti anche durante il weekend di Pasqua per velocizzare l'iter di attuazione delle misure di sostegno ai lavoratori e alle famiglie previsti dal governo»... È questo il motivo per cui, sfidando la pazienza degli italiani, l'esecutivo sta continuando a dilatare e diluire le scadenze. Per le partite Iva, i 600 euro promessi a marzo non sono ancora arrivati a tutti, e oggi è 14 aprile. Al di là della beffa dei 400.000 che dovranno addirittura rinnovare la domanda, l'ennesima promessa del governo, (fatta circolare con una velina ormai tre giorni fa, sabato scorso) è che i 600 euro dovrebbero essere finalmente versati questa settimana: cioè, se va bene, un importo irrisorio previsto per marzo arriverebbe entro il 17-18 aprile.Proprio ieri sera, il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha annunciato che i 600 euro sono già sul conto di un milione di autonomi. E che il prossimo decreto «sarà più consistente rispetto a quello di marzo, in modo tale da aumentare l'importo dell'indennità per autonomi e professionisti fino a 800 euro». Quanto ai lavoratori dipendenti, la beffa della cassa integrazione si profila ancora più clamorosa. Si era ipotizzata la data del 15 aprile per un primo anticipo, e lo si doveva alla buona volontà dell'Abi, resasi disponibile a un'intesa (senza garanzia pubblica, ma con garanzia a carico del lavoratore) per anticipare 1.400 euro per 9 settimane, evitando così di far attendere ai lavoratori sospesi i due mesi di cui l'Inps ha solitamente bisogno per sbrigare la pratica. Ma le notizie degli ultimi giorni non sono confortanti, e si teme uno slittamento fino a fine aprile. Giova ricordare che lo stato di emergenza è stato annunciato da Conte il 31 gennaio e il lockdown totale sull'intero territorio nazionale è stato stabilito il 10 marzo. Morale: se gli autonomi ricevessero qualcosa il 17-18 aprile, sarebbero a quel punto passati 77-78 giorni dal primo annuncio e 38-39 dal secondo; se i dipendenti ricevessero qualcosa il 30 aprile, per loro i giorni di attesa sarebbero a quel punto 90 dalla proclamazione dell'emergenza e 51 dall'avvio del lockdown. È perfino imbarazzante ricordare che nel Regno Unito di Boris Johnson, il giorno successivo al lockdown il governo ha aperto un ombrello per assicurare ai dipendenti l'80% dello stipendio (fino a 2.500 sterline) e agli autonomi l'80% del fatturato dell'anno precedente. Ma non finisce qui: ci sono altri due ritardi che fanno rumore. Primo: non si hanno notizie dei provvedimenti attuativi del decreto liquidità, particolarmente significativi perché, se rimanessero intatti i paletti di Basilea e l'attuale assetto delle segnalazioni di rischio al sistema Crif, un numero enorme di imprese si verrebbe sbarrata la porta dell'accesso al credito. Secondo: che fine ha fatto il decreto aprile? Si ricorderà che Conte aveva annunciato, dopo il Cura Italia di marzo, un provvedimento per il mese di aprile di misura almeno equivalente a quello adottato a marzo (le parole esatte del premier furono: un decreto «altrettanto significativo, di non minore importo»). E aveva fatto intendere che il varo ci sarebbe stato intorno a Pasqua. Due giorni fa, però, il viceministro dell'Economia, la grillina Laura Castelli, si è fatta sfuggire la verità, ammettendo che «il nuovo decreto sarà dopo il 20, perché nella partita si infila il dibattito Ue». E allora ecco il calendario più realistico: siccome il Consiglio Europeo è stato convocato dal belga Charles Michel solo per il 23 aprile (e non è detto che la videoconferenza risulti decisiva), considerando i giorni che saranno materialmente necessari al governo per trarne le conseguenze, si può temere che il decreto aprile arriverà… a maggio. Sarà - prevedibilmente - una fotocopia del Cura Italia di marzo, ma ovviamente per ora mancano le munizioni, gli stanziamenti. Il che testimonia la totale dipendenza delle misure che Conte e Gualtieri adotteranno dalle linee di credito che otterranno a Bruxelles. Serve una controprova? Eccola: il governo, diversamente da quanto fece a marzo, non ha ritenuto di chiedere al Parlamento un'ulteriore autorizzazione a sforare. La cosa è avvenuta un mese fa per un importo di circa 20 miliardi (già utilizzati), e lì ci si è fermati, per il momento. Se ne riparla a maggio, anche se il decreto si chiama «aprile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ritardi-rinvii-e-bugie-ma-i-soldi-promessi-dal-governo-quando-arrivano-2645707705.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dallesecutivo-caos-e-scaricabarile-le-zone-rosse-vanno-decise-a-roma" data-post-id="2645707705" data-published-at="1586807028" data-use-pagination="False"> Dall’esecutivo caos e scaricabarile. Le zone rosse vanno decise a Roma Senatore della Lega Caro direttore, verrà un momento in cui dovremo fare il punto sulla gestione di questa crisi che non ha precedenti nella storia repubblicana. Precedenti però ne ha nella storia d'Italia e i nostri costituenti, tutt'altro che sprovveduti, lo sapevano bene avendo passato due guerre mondiali, tumulti, epidemie, calamità di ogni genere. Il fatto è, come purtroppo essi stessi temevano, che negli oltre 70 anni di vita costituzionale abbiamo talmente abusato degli strumenti di emergenza da perdere il senso della loro centralità. E a furia di urlare al lupo al lupo… quando è arrivato il lupo per davvero abbiamo smarrito qualsiasi coordinata. E nel momento di dover usare gli strumenti costituzionali ci siamo inventati i decreti del presidente del Consiglio. Peraltro, non paghi dell'abuso del decreto legge, abbiamo aggiunto l'uso e l'abuso delle ordinanze di necessità, diventate lo strumento per praticare, in numerosi settori, quel «doppio binario» legislativo che a noi italiani piace tanto. Il risultato? Con lo scoppio del coronavirus si è riversata sul Paese una valanga di centinaia di pagine di provvedimenti delle più svariate autorità: governo, presidente del Consiglio, ministri, presidenti di Regione, sindaci, capo della Protezione civile, commissario straordinario, e chi più ne ha più ne metta. Il modello del codice della Protezione civile, che negli anni aveva costituito il tentativo di arginare l'anarchia millantata per emergenza, non ha retto nemmeno un giorno. Già il decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020 ha abbandonato il solco di quel codice e ha creato una specie di ordinamento ad hoc, la meta-emergenza. Questa giungla di atti e autorità è stato il peggior servizio che si potesse rendere agli italiani. Nell'emergenza bisogna contrastare il caos con l'ordine, non con altro caos. A tutt'oggi dopo più di un mese continuano i conflitti di interpretazione e di competenza, che costringono i giudici a intervenire e il governo ad annullare atti (vedi l'ordinanza del sindaco di Messina). È l'emergenza, bellezza! L'alibi eterno. Senza che a nessuno sia venuto in mente, dopo due mesi, almeno di razionalizzare in un testo unico la montagna di «Gride» che sono state partorite. Ovviamente il caos scatena gli sciacalli e quindi, alla prima occasione… dagli ai presidenti delle Regioni più martoriate, rei di non aver avuto la palla di vetro, mentre il presidente del Consiglio e il segretario del maggior partito di maggioranza minimizzavano la situazione, magari con un aperitivo. La colpa è sempre degli altri in Italia e la caccia all'untore illude di un facile consenso. E poco importa, ad esempio, che il Parlamento sia stato costretto a convertire il decreto legge senza letteralmente conoscere il testo su cui vota. Il fatto è, però, che se rileggessimo la Costituzione scopriremmo che le risposte ci sono e sono chiare. Nell'emergenza la catena di comando dev'essere concentrata nella responsabilità politica e giuridica del governo nazionale, sotto il controllo del Parlamento, che è il solo a poterlo esonerare da quella responsabilità. Non spetta a Regioni e Comuni dare la linea solo per l'insipienza o la lentezza del governo. Perché è quest'ultimo che deve adottare i provvedimenti, anche per singole porzioni del territorio, come tante volte nel passato è avvenuto. E soprattutto tenere il polso del Paese. Lo scaricabarile non solo è una vigliaccata politica, è anche un boomerang istituzionale. Basta rileggere la copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale, anche dopo la riforma del 2001, per sapere che «Protezione civile» e «tutela della salute» sono materie condivise e trasversali in cui la linea la dà lo Stato. E a ciò si aggiunga che, anche sulle competenze che residuassero alle Regioni, lo Stato dispone di strumenti di intervento da azionare in caso di inerzia o di inadempimento regionale: dal potere sostitutivo (art. 120 Cost.), fino al potere di scioglimento dei consigli regionali per violazioni gravi di leggi o della costituzione, o anche solo se si verificano situazioni in cui è a rischio la «sicurezza nazionale» (art. 126).
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
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L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)