
Esce la nuova edizione italiana del capolavoro 1984. E il traduttore Nicola Gardini trasforma il totalitarismo sovietico in un regime «fascista».«Considero della massima importanza che i cittadini dell'Europa occidentale aprano gli occhi sulla realtà del regime sovietico. [...] In questo clima l'uomo della strada non può capire fino in fondo realtà come i campi di concentramento, le deportazioni di massa, gli arresti senza processo, la censura della stampa». Questo scriveva George Orwell nella prefazione all'edizione in ucraino della Fattoria degli animali, uscita nel 1947. L'immortale 1984 sarebbe uscito non molto tempo dopo, nel 1949. Proprio in quell'anno, sull'Observer, lo scrittore britannico pubblicò un articolo intitolato Marx e la Russia (contenuto nella bella antologia Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci uscita in Italia nel 2018 per Eleuthera) in cui spiegava, riguardo all'Urss, che «i comunisti possono aver distorto i propri obiettivi, ma non hanno perso la loro aura mistica. [...]Intanto ci troviamo ad affrontare un movimento politico mondiale che minaccia l'esistenza stessa della civiltà occidentale, e che non ha perso in niente il suo vigore per essere diventato in certo senso corrotto». Basterebbero queste citazioni a chiarire una volta per tutte che cosa Orwell pensasse del comunismo sovietico. Lo condannava senza pietà, ancora prima che 1984 vedesse la luce. Nel 1946, per esempio, su Polemic, scrisse parole roventi: «Quindici anni fa, quando si difendeva la libertà intellettuale, bisognava difenderla dai conservatori, dai cattolici e, fino a un certo punto - perché in Inghilterra non contavano molto - dai fascisti. Oggi bisogna difenderla dai comunisti e dai “compagni di strada"». A causa del Partito comunista, continuava il romanziere, «fatti noti vengono eliminati e distorti al punto che diventa difficile capire se si potrà mai scrivere una storia del nostro tempo». Queste stesse parole descrivono quanto accade oggi nel nostro Paese, dove l'azione del pensiero unico conformista non si ferma davanti a niente, compresi i capolavori della letteratura. Spieghiamo. Mondadori - che da tempo immemore pubblica i classici di Orwell - ha appena mandato in libreria una nuova edizione di 1984 nella collana Oscar Cult. Per l'occasione, il romanzo è presentato nella traduzione di Nicola Gardini, che il pubblico italiano conosce per lo più grazie al bestseller Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile, rimasto a lungo in classifica. Oltre alla traduzione, Gardini firma la postfazione. Non è un particolare irrilevante: stiamo parlando di un'edizione che finirà in mano a tantissimi italiani, tra cui pure studenti a cui potrebbe fare molto comodo una analisi approfondita del testo. Ebbene, lo studente che dovesse sfogliare lo scritto di Gardini su 1984 non troverebbe alcun riferimento al comunismo. Nulla, nemmeno una parola. Sentite qua. «La distruzione del linguaggio assume in 1984, che è l'ultimo romanzo completo di Orwell, dimensioni apocalittiche», scrive Gardini. «Molto del fascismo che vi si rappresenta, si sa, richiama direttamente il totalitarismo russo e altri totalitarismi recenti. Né mancano - non dimentichiamoli - riferimenti polemici all'imperialismo e al classismo britannici». Forse Gardini si è troppo immedesimato nel romanzo, perché ciò che scrive sembra un prodotto della propaganda del ministero della Verità. La mistificazione è incredibile: il «totalitarismo russo» diviene «fascismo». La parola comunismo non c'è, viene cancellata. Ma non è finita. Gardini prosegue spiegando che «alla fine per Orwell il fascismo non si identifica con questo o quel particolare sistema di governo. Il fascismo lo fa, indipendentemente dal colore ideologico, qualunque politico parli male e faccia parlare male; e, parlando male e facendo parlare male, pensi male e faccia pensare male». Stupefacente. Non solo il traduttore è riuscito a eliminare qualunque riferimento alla mortifera dittatura rossa, ma cerca pure di allargare la definizione di fascismo a «tutti i politici che parlano male». A dirla tutta non stupisce. Basta dare uno sguardo alla quarta di copertina, dove il lettore si imbatte in queste parole: «1984 è il testamento di uno scrittore che ha dedicato la vita alla difesa della libertà e della verità, denunciando tutte le perversioni politiche, dall'imperialismo all'ingiustizia sociale ai totalitarismi di ogni colore». Di nuovo, niente comunismo. Ma andiamo avanti: «1984 è un potentissimo monito contro l'odio verso l'altro, contro le false informazioni, contro il “sentire di pancia", contro gli insulti all'immaginazione, contro le parole che non corrispondono a un pensiero». Sembra di leggere ciò che ogni giorno Repubblica dice a proposito dei sovranisti. Viene quasi da pensare che Orwell abbia scritto 1984 per attaccare Matteo Salvini. La distorsione della realtà raggiunge il parossismo in una delle alette del volume, in cui sono riportati i giudizi di personalità come Churchill, Milosz e Koestler su 1984. C'è anche una citazione di Palmiro Togliatti che definisce Orwell un «poliziotto coloniale», uno che «doveva avere davvero una grande esperienza di bastonature». Oh, certo, nel testo togliattiano troviamo la parola «comunismo». Anzi, per la verità troviamo la parola «anticomunismo», che il Migliore utilizza per denigrare il capolavoro orwelliano, descrivendolo come uno strumento nelle mani della «classe che con la bandiera dell'anticomunismo pretende il dominio sul mondo intiero». Ovviamente non si specifica che Togliatti era a capo del Pci. Vero è che la sinistra americana, negli ultimi tempi, ci ha abituato a simili perversioni, utilizzando 1984 come se fosse un testo anti trumpiano, ma dalle nostre parti una operazione tanto grottesca non si era mai vista. Orwell era un socialista democratico, e certo non amava i fascisti. 1984 è - anche - un monito sugli effetti del capitalismo senza controllo. Ma togliere ogni riferimento al comunismo è insensato, offensivo, menzognero... totalitario. Come scriveva il grande George: «Cose di questo tipo accadono ovunque, ma è più probabile che portino a una vera e propria falsificazione in quelle società dove a seconda del momento è ammissibile un'unica opinione».
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