2023-02-24
Si avvicina il rischio di una «pace armata» puntellata dai missili
Mentre la Svizzera svela «colloqui segreti» in sede Onu, dietro il dibattito sulle forniture si gioca la partita della ricostruzione.Il quotidiano svizzero Le Temps apriva l’edizione cartacea di ieri mattina con le dichiarazioni del ministro degli Esteri della Confederazione su trattative segrete in sede Onu, quindi tra le due parti coinvolte nella guerra. Ignazio Cassis, dopo aver smontato il segreto (sempre che di segreto si tratti), ha poi specificato che il livello della trattativa tocca gradi bassi della diplomazia e la possibilità che quagli qualcosa a breve è scarsa. Il dato interessante però sta nella divulgazione della notizia e nel fatto che esiste ancora un territorio neutro che può essere prodromico alla ricostruzione e - inutile ribadirlo - al business della ricostruzione. Non è un caso che la prima riunione sul tema si sia tenuta sempre in Svizzera e che i vari Paesi Ue coinvolti nell’invio di armi comincino a ragionare di ricostruzione abbinandola alla prossima estate.La difficoltà però ad arrivare a un punto di caduta è testimoniata dal costante invio di armi in direzione di Kiev. L’analisi del tipo di sistemi di difesa o munizioni da spedire ci aiuta a comprendere che cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi. Il primo livello di ragionamento si basa sul livello di forza che i membri Ue, Gran Bretagna e Usa riescono a mettere in campo. Il sottinteso è semplice. Chi non contribuisce allo sforzo bellico non partecipa alla ricostruzione. Chi partecipa con uno sforzo maggiore ottiene la regione più interessante dal punto di vista delle risorse e delle materie prime. L’Italia è quindi al suo settimo decreto e conseguente stock di armi. Ne deduciamo che le aziende tricolore avranno il loro posto al sole o al ghiaccio ucraino. Il continuo invio di armi però, almeno in apparenza, cozza con la volontà di tirare una linea e ricostruire il Paese. C’è infatti una discrasia temporale che non è facile da comprendere. Un conto l’invio di proietti di artiglieria come quello sovvenzionato con 522 milioni a Northrop Grumman, un conto inviare missili terra aria come i nostri Samp/T. Un altro conto è mandare i Leopard, altro i blindati e diverso segnale inviare caccia. Innanzitutto per via dei tempi, poi per via delle funzioni. Le munizioni da artiglieria richiedono poco tempo e servono a mantenere in alcune regioni lo status quo. I carri come i Leopard servono a sfruttare l’arrivo della primavera e a macinare importanti distanze. Mandare caccia richiede, invece, mesi di addestramento e garantirà la possibilità agli ucraini di intervenire direttamente nel Donbass. Tre giorni fa Il Messaggero ha svelato le parole del sottosegretario agli Esteri di Fdi, Edmondo Cirielli. «Gli F35 sono fuori discussione, si può avviare un discorso sui caccia Amx. Ascolteremo le richieste degli ucraini». Gli Amx sono mezzi molto vecchi e per l’Italia sarebbe di fatto un risparmio, non dovendo smaltirli. Il loro lavoro di attacco al suolo sanno però ancora svolgerlo. Soprattutto in aree dove non c’è una aviazione concorrente. Tradotto. Inviarli in Ucraina vorrebbe dire consentire a Kiev di bombardare le postazioni russe nelle regioni separatiste che hanno appena votato per l’annessione alla Russia. Posto che vengano spediti, difficile immaginare che siano operativi prima di agosto. E qui torniamo al tema della disconnessione temporale tra ricostruzione e fine della guerra. ll ministro Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia, ha ribadito che l’Italia andrà avanti con l’invio delle armi all’Ucraina: «Abbiamo già approvato il sesto pacchetto e l’invio del materiale è in via di perfezionamento. Tra qualche settimana, in collaborazione con i francesi, manderemo in Ucraina anche il sistema missilistico Samp/T per la difesa aerea», ha detto in un’intervista alla Stampa, nella quale ha affrontato anche il tema dei caccia. «Ancora non ne abbiamo parlato, ma nel caso dovremo coordinarci con gli alleati, capire che tipo di aerei manderanno loro, perché non ha senso consegnare agli ucraini modelli diversi, poi c’è il problema di addestrare i piloti. Insomma, mi pare praticamente impossibile che vengano inviati caccia italiani», ha proseguito. «Se vogliamo arrivare alla pace», ha continuato, «dobbiamo fare in modo che l’Ucraina resti indipendente e difenda il proprio territorio, altrimenti non si potrà costruire un accordo». Uniti i vari puntini è facile immaginare che l’ulteriore invio di armi nella visione europea e americana serva a tracciare un confine artificiale per poi presidiarlo nei mesi e negli anni. Non sappiamo quale sarà la postura russa. Visto l’ingente numero di morti russi (indiscrezioni parlano di 150.000 tra deceduti e feriti) e il passaggio da un’operazione speciale a una riconversione industriale è difficile che il Cremlino accetti di rinunciare al Donbass. Se ne perdesse metà a quel punto anche Kiev potrebbe piantare una bandierina e definire una pace armata. Nel frattempo nelle altre regioni potrebbe già scattare la ricostruzione. Il rischio è che tenere i nuovi confini dia il via a un nuovo teatro di guerra che ricordi l’Afghanistan. Tempi lunghi e tensioni destabilizzanti. A quel punto la ricostruzione andrebbe sì in parallelo al teatro di guerra, ma quanto durerebbe?
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