2021-11-11
Risarcimenti per le reazioni avverse. Si rischia un’odissea lunga dieci anni
La correlazione tra effetti gravi e iniezione non basta. Chiedere un indennizzo è un calvario costoso e tortuoso tra perizie, ricorsi e scudi penali. E le cifre son ridicole: 77.000 euro in caso di morte, 800 al mese per invalidità.Un silenzio sospetto avvolge il diritto ad essere risarciti, se il vaccino anti Covid provoca seri problemi. Perfino la Regione Lombardia, che ad agosto aveva chiesto al ministero della Salute «di farsi carico del riscontro ai cittadini e comunque di condividere il percorso da attuarsi», considerate le circa 300 richieste di indennizzo fino ad oggi presentate, è ancora senza riposta. Silenzio da Lungotevere Ripa, fanno sapere dagli uffici dell'assessore al Welfare, Letizia Moratti.L'unica certezza è che a luglio il ministro Roberto Speranza, di concerto con il Mef, ha ripartito tra le Regioni 50 milioni di euro in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie e somministrazione di emoderivati. Il vaccino anti Covid è raccomandato, non obbligatorio, ma in base alla giurisprudenza costituzionale l'indennizzo dovrebbe comunque essere riconosciuto. Saranno mai spesi questi fondi? Senza una farmacovigilanza attiva, stabilire un nesso causale tra reazione avversa e somministrazione della prima o della seconda dose è già di per sé un'impresa titanica. Quando poi i periti arrivano a delle certezze, per chi ha subito un danno o ha perduto un familiare inizia il lungo, vergognoso percorso dell'indennizzo o del risarcimento. Se si è fortunati devono passare almeno dieci anni prima che vengano riconosciuti pochi spiccioli dallo Stato. Così accade che i genitori di Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante morta lo scorso giugno dopo la somministrazione di Astrazeneca in un open day, abbiano aspettato mesi prima che i periti accertassero che la piastrinopenia era stata conseguenza fatale, assieme alla trombosi cerebrale, della somministrazione del siero, ma senza «soddisfazioni» di responsabilità penali riconosciute e con l'unica consolazione di poter avviare un tortuoso procedimento amministrativo o una causa civile. Allo stesso modo i familiari del cinquantenne maresciallo dei carabinieri di Mantova, Pietro Taurino, morto lo scorso marzo in seguito alla prima dose di Astrazeneca, come hanno appena concluso tre periti esperti in trombosi cerebrali, si devono rassegnare al non luogo a procedere in ordine al reato di omicidio colposo e sperare, forse, in qualche indennizzo. Per i vaccinatori dallo scorso aprile c'è lo «scudo penale», che esclude la punibilità per omicidio colposo e lesioni personali colpose del personale sanitario che somministra il farmaco, «quando questo è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle autorità competenti». Fanno eccezione l'imperizia o il non rispetto delle linee guida, escluse dall'impunità. I danni, dunque, si possono chiedere solo in sede civile, sprofondando nella giungla di procedimenti costosi e assai poco imparziali. Partiamo dall'indennizzo «previsto per legge solo per i danneggiati in modo irreversibile da vaccinazioni obbligatorie o raccomandate, come è per il Covid», spiega l'avvocato Pietro Becci, esperto di diritto civile e amministrativo. «Prevede un assegno vitalizio bimestrale, determinato nella misura prevista per i militari di truppa dell'esercito che abbiano riportato una menomazione fisica», quali perdita di uno o tre arti, amputazioni e un lungo elenco di lesioni e infermità più di ambito militare che civile. Per cercare di ottenere circa 800 euro mensili se il vaccino ti ha ridotto a essere un invalido, o 77.000 euro nel caso di coniuge, figli, genitori, fratelli di una persona deceduta dopo l'inoculazione, la procedura è macchinosa. La domanda di indennizzo deve essere presentata alla propria Azienda sanitaria entro tre anni dall'accertamento della reazione avversa. Poi, con i dovuti tempi per controllare il fascicolo, questo viene inviato alla Commissione medica ospedaliera competente, ancora presso i dipartimenti militari di medicina legale, che convoca l'interessato per una visita. I medici militari fanno le loro valutazioni, anche se periti di tribunale hanno già stabilito il nesso di causa, e in un paio d'anni assegnano un'infermità, finalmente notificata all'interessato. Se la giudica insoddisfacente, ha tempo trenta giorni per presentare ricorso al ministero della Salute, il quale impiega un anno a rispondere e, in caso di rigetto, solo a quel punto il rovinato dal vaccino può rivolgersi al tribunale ordinario, «dove prende il via un iter giudiziale in media di due, tre anni per ciascun grado di giudizio: tribunale, Corte d'appello, Cassazione», precisa Becci, che negli ultimi dieci anni ha seguito numerose richieste di indennizzo per danni da vaccinazione pediatrica o influenzale. «Solo sei su trenta sono andate a buon fine, dimostrare il nesso di causa è molto difficile e costoso», ammette il legale. Ma non è finita, se alla fine del giudizio le proprie ragioni sono riconosciute «il ministero paga solo a seguito del giudizio di ottemperanza, costringendo il danneggiato a rivolgersi al Tar per far nominare un commissario per il pagamento del dovuto». Tenete ben presente, dunque, il vergognoso trattamento che lo Stato vi riserva nel caso di danno permanente da vaccino. Se invece avete avuto una problematica temporanea, grave ma che per fortuna si è risolta, non è possibile chiedere un indennizzo, dovete provare a ottenere un risarcimento che però non è previsto da una legge e in base a tabelle. Va accertata una responsabilità colposa o dolosa dei sanitari, la causa civile difficilmente dura meno di dieci anni e si spendono parecchi soldi perché ben pochi possono beneficiare del gratuito patrocinio. «Attenzione però», prova a consolare l'avvocato «il consenso informato fornito per la vaccinazione non può essere considerato un esonero di responsabilità rispetto a reazioni avverse, danni a lunga distanza o inefficacia della vaccinazione».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 settembre con Carlo Cambi