2025-09-22
Riccardo Procacci: «Diamo i nostri motori ai caccia e un lavoroa oltre 6.000 persone»
Riccardo Procacci (Imagoeconomica)
L’ad di Avio Aero: «Investiamo 200 milioni l’anno in questo Paese e cresceremo tre volte la media. Il management resterà italiano».Avio Aero, attiva nella produzione di motori e parti di essi per l’aviazione civile e militare, è un nome di primo piano dell’industria italiana e manifesta prospettive brillanti di crescita. Fu fondata nel 1908 dall’allora Fiat e iniziò le sue attività sviluppando il primo motore aeronautico derivato da uno di auto da corsa, l’Sa8/75. Dopo vari passaggi societari, la compagnia, nel 2013, è stata acquisita dal colosso statunitense General Electric, oggi Ge Aerospace. Riccardo Procacci, laurea in ingegneria meccanica e dottorato in turbomacchine alla Sapienza di Roma, è l’amministratore delegato di Avio Aero. Ingegner Procacci, ci parla del posizionamento di Avio Aero nel settore aerospaziale italiano e internazionale?«Avio Aero è un’azienda leader globale nel nostro settore, che si sia in Giappone o in America, si sa chi è Avio Aero. Il nostro core è lo sviluppo e la produzione di trasmissioni, turbine e combustori. Partiamo da un posizionamento di componentisti e costruttori di moduli, quindi, dal componente all’intera sezione di un motore. Progressivamente, negli ultimi 10 anni, ci siamo anche avvicinati alla realizzazione di interi motori, nello specifico producendo una famiglia di turbo-elica, della potenza tra i 550 e i 1.300 cavalli, utilizzati in velivoli mono-motore o bi-motore per servizi di utilities, tipo aerotaxi, o di trasporto passeggeri locali. Questo per l’aviazione civile e ciò lo facciamo per lavoro. Invece, per missione e per passione, serviamo l’Aeronautica militare italiana e, in generale, le Forze armate». Vogliamo entrare nel dettaglio della vostra attività in questo ultimo campo? «Motorizziamo gli Eurofighter, motorizziamo i Tornado, ma ci prendiamo anche cura della manutenzione di questi motori. Così come facciamo per la stragrande maggioranza degli elicotteri delle Forze armate».Pertanto non solo motori per aerei, ma anche per elicotteri...«Forniamo ad Aeronautica, Esercito e Marina la maggior parte dei motori che vengono installati sugli elicotteri in servizio della flotta nazionale e poi ci preoccupiamo, come dicevo, anche della manutenzione. Sono tutti motori che vengono progettati, nell’insieme, da Ge Aerospace, quindi dalla nostra casa madre. In Italia, Avio Aero ha la responsabilità - secondo i casi - sia di produrre alcuni componenti e moduli, sia di assemblare e testare quelli destinati alla nostre Forze armate». Quanti sono e dove sono localizzati i siti produttivi di Avio Aero in Italia e all’estero? «Il nostro stabilimento-simbolo è quello di Rivalta di Torino, quello nato intorno al sito produttivo Fiat, dove vi è anche il nostro headquarter. Qui a Torino abbiamo anche una fonderia. Negli anni si è aggiunto uno stabilimento a Cameri, in provincia di Novara, dove produciamo parti tramite la stampa tridimensionale. Poi ci sono i siti del Sud Italia: Brindisi, parte della famiglia negli anni Ottanta, dove realizziamo componenti e curiamo l’assemblaggio e la manutenzione dei motori per le Forze armate; Pomigliano d’Arco (Napoli), un altro bellissimo stabilimento che abbiamo acquisito negli anni Novanta dall’ex-Alfa Romeo. Un orgoglio per il nostro Sud d’Italia, dove si fanno produzioni ad altissima tecnologia in cui siamo leader mondiali e che invito tutti a visitare. In aggiunta, abbiamo un centro di ricerca per tecnologie additive all’interno del Politecnico di Torino e un altro su sistemi di controllo per motori con il Politecnico di Bari. Fuori dall’Italia, invece, abbiamo uno stabilimento in Polonia, ex Fiat, con circa 600 addetti, e uno in Repubblica Ceca, a Praga, dove costruiamo i motori turboelica, ai quali accennavo prima. Molto recente, ancora calda, è l’acquisizione di Northstar Aerospace, un’azienda con 3 stabilimenti in nord-America - uno a Phoenix, uno a Chicago e l’altro a Windsor, Canada - che lavora principalmente per Boeing nel settore delle trasmissioni per elicottero. Quindi, da Torino, ci siamo espansi prima in Europa e poi abbiamo iniziato la nostra cavalcata verso ovest». Quanti dipendenti avete in totale?«In totale, tra tutti questi stabilimenti, circa 6.300». A quanto si attesta il fatturato di Avio Aero e ci sono prospettive d’incremento? «Per il 2025 prevediamo un fatturato oltre i 2 miliardi di dollari. La prima metà dell’anno è andata molto bene. Prevediamo crescita ancora a doppia cifra nel prossimo triennio di pianificazione. Quindi, prospettive molto solide, più veloci di quelle della crescita media dell’industria. Ciò è legato al fatto che il nostro posizionamento si è sviluppato da fornitori di componenti a fornitori di interi moduli e ora, iniziando a produrre anche motori interi, la nostra percentuale di partecipazione ai programmi è conseguentemente cresciuta». Ci illustra un esempio? «È molto semplice: in un motore di vecchia generazione, come il Ge90 (General Electric Ge90, ndr.), che fa volare il Boeing 777, abbiamo una partecipazione del 7-8%, ossia costruiamo il 7-8% di tutto il motore. Su quello che lo sostituirà, il Ge9X, che sarà montato sulla nuova versione del Boeing 777, ovvero il 777X, partecipiamo al 15%. Questo è il motivo per cui, nel prossimo triennio, prevediamo una crescita superiore rispetto a quella media dell’industria». Accanto a questo aumento a doppia cifra, si potrebbe pensare anche una crescita occupazionale? «Le prospettive sono sicuramente di crescita. Abbiamo un obiettivo, che normalmente raggiungiamo, quello di generare ogni anno circa il 5% di termini di produttività. Quindi, rispetto alla crescita del fatturato, una parte dei bisogni occupazionali li assorbiamo diventando più produttivi - e questo è quello che ci serve per ciò che ci serve per restare competitivi - altri li assumiamo dal mercato. Dal Covid in poi, l’employment rate nelle nostre fabbriche è costantemente cresciuto».In una nostra intervista, Giuseppe Cossiga, presidente di Aiad, l’Associazione delle aziende italiane della difesa e dell’aerospazio, ha sottolineato l’importanza del fatto che Avio Aero abbia mantenuto un management italiano…«Sicuramente, General Electric, dal momento dell’acquisizione nel 2013, è stata molto oculata nelle scelte sul management e nel capire le peculiarità culturali di operare in Europa e in Italia. E questa è stata anche la mia fortuna. Sono arrivato in Avio Aero perché Ge aveva deciso di trovare un leader italiano. Al tempo stesso, oggi, il nostro cfo (chief financial officer, ndr) è americano. Questo per noi è un vantaggio, perché è vero che per motivi culturali e di golden power, su cui abbiamo obblighi specifici nei confronti del governo, vogliamo e dobbiamo avere la capacità di restare italiani ed europei, con contratti militari e quant’altro, ma non vogliamo perdere nemmeno un millimetro dell’opportunità di essere parte di un gruppo fantastico come Ge Aerospace. Da questo punto di vista la presenza del nostro cfo americano è una marcia in più, che ci aiuta a stare ben connessi con la casa madre». A quanto ammontano i vostri investimenti in Italia? «Facendo una grande media, investiamo poco di meno di 200 milioni l’anno - direttamente o finanziati con fondi nazionali ed europei - tra ricerca e sviluppo e investimenti produttivi. Per fare un esempio, a marzo scorso Ge Aerospace ha annunciato investimenti per circa 80 milioni di euro in Europa per il 2025, di cui 55 destinati ai nostri stabilimenti italiani. Mi piace sottolineare che questi sono investimenti che, come Avio Aero, ci autofinanziamo e sono frutto dei nostri risultati. Sono fiero di aver dimostrato a Ge Aerospace che vale la pena continuare a investire in Italia. Nei fatti siamo un’azienda profittevole che si è sempre sostenuta anche nel complicato periodo della pandemia». Che rilevanza ricoprono le collaborazioni di Avio Aero con atenei e centri di ricerca ai fini dell’innovazione tecnologica e qual è il ruolo della filiera?«Non si riesce a innovare in mezzo al deserto. Per poter innovare serve una collaborazione stretta con gli atenei, fondamentali per la ricerca e l’innovazione su tecnologie ancora non mature che poi si svilupperanno negli anni diventando prodotti. È importantissimo collaborare anche con le piccole e medie imprese perché non si riesce a fare industria, come la facciamo noi, se non si ha intorno un tessuto industriale vivo. Mi piace far notare che abbiamo fatto uno sforzo per superare, collaborando con gli atenei, quello che secondo me è il punto debole del modello di ricerca italiano, cioè la frammentazione dei fondi per la ricerca, soprattutto quando si tratta di progetti molto ambiziosi. Per evitare ciò abbiamo creato un modello a cluster in cui abbiamo incoraggiato gli atenei che collaborano con noi a federarsi in un network, a unire le forze e coordinarsi. Un modello che si è rivelato così vincente che, recentemente, abbiamo prolungato per altri 5 anni». La sua agenda è complessa, scende da un aereo e sale su un altro. Com’è la vita del top manager? «Qualche sacrificio, necessariamente, bisogna farlo, soprattutto in termini del tempo che devo passare fuori casa. Ma non le nascondo che lavorare in quest’azienda è una grandissima soddisfazione. Per cui, se devo fare il bilancio, tra sacrifici e soddisfazioni, è nettamente positivo verso le soddisfazioni. Ho avuto il privilegio e la fortuna di aver iniziato a lavorare, quasi 30 anni fa, per General Electric, una delle più belle aziende al mondo, e ciò ha cambiato la mia vita. Ho cambiato sette-otto città - e ho cambiato anche moglie (sorride, ndr) - ma non ho intenzione di cambiare azienda. Sono proprio fortunato».
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